Ombre ed errori di una legge: il parere dei clinici
Shadows and errors of a law: the opinion of clinicians

ANDREA BALBI1, MASSIMO BIONDI2
E-mail: massimo.biondi@uniroma1.it
1Dipartimento di Salute Mentale ASL RmD, Regione Lazio, Roma
2Dipartimento di Neurologia e Psichiatria; Area di Psichiatria e Salute Mentale, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma


SUMMARY. A new Italian law (81/14) recently established dismission of all Psychiatric Forensic Hospitals and the transferring of old and new “forensic” patients to the local Mental Health Department, at time in many instances in the same common settings of acute psychiatric services, community and territorial psychiatry mixed with “common” psychiatric patients. The preoccupation is high for communality of psychopaths, insane criminal patients and drug-dependent violent patients together with young first-episode schizophrenic patients, anorexic girls, older depressive patients, and so on. This change already introduced several problems with strong preoccupation among operators, other patients and public opinion as concerns both treatment efficiency and safety of the cure.

KEY WORDS: forensic psychiatry, psychopathy, deinstitutionalization.


Lo psichiatra, lo psicologo e altre figure sanitarie sono impegnate da anni, con convinzione, passione e professionalità, nell’applicazione di una delle leggi più avanzate del mondo in tema di salute mentale (Legge 180/78), affrontando molte difficoltà, su ogni fronte. Ma, in tutti questi anni, hanno tenuto duro. La Legge 81/14 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari - OPG), da poco entrata in vigore, stabilisce la chiusura degli OPG. Sebbene condivisibile in alcuni punti e nei principî che l’hanno supportata, essa, nella realtà, determina numerosi problemi senza possibili soluzioni. Sembra il frutto di un lavoro improvvisato e dalle ricadute impreviste che ha seriamente preoccupato una larga parte degli operatori della salute mentale. Numerosi gli errori e le questioni che essa apre.
Da un punto di vista concettuale, un primo grave errore è l’equiparazione implicita del paziente psichiatrico all’“infermo di mente”, termine forense che indica le persone sofferenti definite dal giudice (sulla base della relazione di un perito) “socialmente pericolose”. L’Italia vantava di avere a fatica, dal 1978, separato il buio del concetto di “pericolosità” da quello di “disturbo mentale”, a vantaggio di molti pazienti ingiustamente colpiti dallo stigma. Con questa legge si rischia di ripiombare in un buio scientifico e culturale.
In realtà, negli OPG vi sono pazienti psichiatrici che hanno commesso reato ma anche deboli di mente, persone che hanno abusato di sostanze, psicopatici e antisociali, delinquenti che hanno utilizzato, con buoni avvocati, i vantaggi di pena previsti dalla riduzione o abolizione della capacità di intendere e volere. Farne per legge un unico gruppo è un errore diagnostico, clinico, terapeutico e sociale madornale che sembra cancellare, in un colpo solo, quasi cinquant’anni di ricerca sulla nosografia psichiatrica 1-3.
Un secondo errore è che la Legge 81/14 presuppone che, con un progetto terapeutico affidato al Dipartimento di Salute Mentale (DSM), tutte queste persone possano essere adeguatamente curate (senza “pericolo sociale”) nei comuni contesti di vita. La speranza non corrisponde alla fattibilità, come dimostrano decine di studi nel mondo4.
Naturalmente tutti sappiamo che i pazienti psichiatrici che partecipano nel DSM alle cure in senso stretto sono quasi tutti curabili e si elimina la pericolosità sociale (cioè il rischio di reiterazione del reato); ma soggetti aggressivi e violenti, personalità antisociali, cocainomani deliranti, persone con disturbo borderline con uso di sostanze e che rifiutano le cure saranno assolutamente incontrollabili. Il progetto terapeutico (decisivo nella cura di persone con schizofrenia, depressione, disturbo bipolare) per psicotici paranoidi e persone affette dalle altre patologie che poco rispondono alle terapie o non le accettano (già talora con difficoltà esecutive), in questi nuovi casi resterà un simpatico esercizio da tenere agli atti per evitare responsabilità medico-legali. Fughe e allontanamenti dal DSM e dalle cure saranno frequenti. Il DSM non può, per sua costituzione, offrire le stesse garanzie di una struttura di sicurezza.
Sappiamo, invece, che in alcuni casi un temporaneo contenimento ambientale è indispensabile per una riorganizzazione psicologica più stabile, base necessaria per un percorso terapeutico evolutivo.
Un terzo errore è l’incapacità di programmare risorse per l’intervento: il personale dei DSM in molte sedi oggi è ridotto di numero, causa quiescenze e mancati arruolamenti e ha un sovraccarico di lavoro già nella normale routine di assistenza a persone con sofferenza psichica normale. È una catastrofe annunciata.
Infatti, la conseguenza logica di questa legge è che se il progetto terapeutico sempre è adeguato per curare e guarire, gli eventuali atti criminali del paziente saranno responsabilità dei curanti che hanno mal fatto o mal eseguito il progetto terapeutico.
L’assurdità ideologica di tutto ciò è evidente. È contraria all’esperienza reale e non tiene conto dei limiti della possibilità di cura.
Ma non basta. Il legislatore si è spinto anche oltre. Per evitare che persone restassero in OPG a tempo indefinito (principio giusto) per mancanza di servizi territoriali (spesse volte squisitamente sociali) ha stabilito che, finito il tempo della misura di sicurezza, il paziente esca comunque. E se fosse ancora socialmente pericoloso, cioè avesse necessità di cure per non commettere il reato di nuovo (in alcuni casi questo sta succedendo)? Non importa. Uscirà e ci penseranno i DSM.
Un altro errore? Come faranno i DSM ad attuare questi nuovi obiettivi attribuitigli dalla legge? Di quali strumenti dispongono per trattare pazienti ritenuti ancora socialmente pericolosi, ma che per impossibilità di superare il massimo della pena edittale sono usciti dall’OPG? Gli operatori dovrebbero intervenire con le ordinarie norme e procedure, cioè, se il paziente accetta le cure, tutto bene. E se non le dovesse accettare? La legge è chiara: le cure sono volontarie.
Con quali risorse? Il legislatore non ha pensato che nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) già a corto di posti letto (nel Lazio ne mancano la metà dei necessari), nei Day Hospital (DH) e nei Centri di Salute Mentale (CSM), il giovane con un primo episodio di depressione, la persona che ha tentato il suicidio, talora il minore di 18 anni, saranno ospedalizzati assieme al pluriomicida che soffre di aggressività e violenza impulsiva o al cocainomane delirante. Le associazioni di pazienti e dei familiari protesteranno, ma sarà troppo tardi.
Certo il legislatore benpensante dirà che se questo paziente non accetta le cure è sempre possibile il trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Ma sappiamo bene che può essere applicato solo in una situazione di scompenso acuto (i termini di legge per effettuarlo sono stringenti, per 7 giorni, ripetibili altri 7 e non oltre), e non in situazioni croniche, con potenziale scompenso (per sospensione di cure, assunzione di sostanze, interazioni relazionali sentite come provocazioni dal paziente), tutte situazioni imprevedibili e incontrollabili.
Infine, le Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza (REMS). Avrebbero dovuto essere le strutture di sicurezza dedicate per curare questi pazienti infermi di mente che hanno commesso reati violenti. La maggior parte delle Regioni non le ha organizzate (o le ha organizzate in situazioni ambientali molto “fantasiose”: ex OP, ex SPDC), e, si osserva, inoltre, una estrema confusione su come applicare la componente sanitaria e quella di sicurezza: infatti, dovrebbe essere applicato il regolamento penitenziario, ma senza personale di polizia. In alcuni Paesi europei (Germania Svezia, solo per citarne alcuni) esistono gli Ospedali Psichiatrico-Forensi, strutture dedicate e con personale competente per valutare e curare questi specifici pazienti. Bastava non ignorare l’esperienza maturata in altri Paesi.
Chi attuerà in futuro nei DSM le misure di sicurezza? Chi proteggerà i pazienti psichiatrici che non hanno commesso reati dalle possibili ricadute di comportamenti aggressivi e violenti dei pazienti socialmente pericolosi nei CSM e negli SPDC dove saranno fianco a fianco?
Infine, ma non per gravità, il legislatore ha riportato il ruolo dello psichiatra a quello di mezzo secolo fa, un esperto della segregazione, con buona pace della Legge 180. Ombre ed errori di una legge, la 81/14, che ricadranno socialmente sulla cittadinanza, penalmente sugli operatori ma moralmente sul legislatore e i suoi consiglieri.
Cosa sarebbe servito per evitare questi errori? Poco, molto poco. Programmare strutture adeguate e idonee, sicure e dignitose; comparare le soluzioni di altri Paesi; garantire le cure per questi pazienti particolari in luoghi più sicuri come in molti altri Paesi e proteggere i cittadini; ascoltare gli esperti sul campo (i direttori dei DSM); consultare le società scientifiche, le associazioni di pazienti e familiari; dotare i servizi di risorse adeguate al compito5. Posizioni ideologizzanti e non scientifiche hanno prodotto una legge i cui effetti nefasti non possono che essere annunciati.
BIBLIOGRAFIA
1. Coid J, Ullrich S. Antisocial personality disorder is on a continuum with psychopathy. Compr Psychiatry 2010; 51: 426-33.
2. Fazel S, Wolf A, Palm C, Lichtenstein P. Violent crime, suicide, and premature mortality in patients with schizophrenia and related disorders: a 38-year total population study in Sweden. Lancet Psychiatry 2014; 1: 44-54.
3. Salekin RT, Worley C, Grimes RD. Treatment of psychopathy: a review and brief introduction to the mental model approach for psychopathy. Behav Sci Law 2010; 28: 235-66.
4. Scott CL (ed). Handbook of correctional mental health. Washington, DC: American Psychiatric Publishing, 2010.
5. Volterra V (a cura di). Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica. Milano: Masson, 2006.