Il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari:
a new deal per la salute mentale?
Closing forensic psychiatric hospitals in Italy: a new deal for mental health care?

MASSIMO CASACCHIA1,2, MAURIZIO MALAVOLTA2, VALERIA BIANCHINI2, LAURA GIUSTI2,
VITTORIO DI MICHELE
3, PATRICIA GIOSUÈ4, MIRELLA RUGGERI5, MASSIMO BIONDI6,
RITA RONCONE
2, DIRETTIVO SEZIONE ITALIANA WORLD ASSOCIATION FOR PSYCHOSOCIAL
REHABILITATION (WAPR)
*
1Presidente della Sezione Italiana della Word Association for Psychosocial Rehabilitation (WAPR)
2Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università dell’Aquila
3Dipartimento di Salute Mentale, Pescara; Centro di Salute Mentale, Penne (PE)
4Dipartimento di Salute Mentale, Teramo; Centro di Salute mentale, Atri (TE)
5Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Sezione di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona, Università di Verona
6Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma
*Corinna Biancorosso, Roberto Bosio, Renata Bracco, Barbara D’Avanzo, Anna Felcher, Errico Landi, Patrizia Lorenzetti,
Anna Meneghelli, Antonella Mastrocola, Davide Motto, Federico Origlia, Roberto Pardini, Augusto Righi, Martine Vallarino, Wilma Xocco


RIASSUNTO. Il 31 marzo 2015 è entrata in vigore la Legge 81/2014 che ha decretato la definitiva e storica chiusura dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia. Con tale legge viene tracciato un nuovo assetto assistenziale che prevede la messa in funzione di strutture alternative ai vecchi ospedali, quali le Residenze per Emissione delle Misure di Sicurezza (REMS), ma soprattutto viene promosso un nuovo approccio curativo-riabilitativo nei confronti della persona affetta da disturbo mentale autrice di reato, pericolosa socialmente, approccio finalizzato al recupero sociale con tempi misurati sui bisogni assistenziali personalizzati. Dopo aver descritto sinteticamente quanto accade all’estero, il lavoro evidenzia gli aspetti positivi della legge che, nel suo complesso, è da considerare innovativa e ineludibile. Vengono passate in rassegna le principali criticità, quali: la mancata riforma del codice penale; l’equazione ritenuta non corretta tra infermità mentale e malattia mentale e pericolosità sociale; l’accertamento della pericolosità sociale, in base alle sole qualità soggettive della persona; la creazione delle REMS, ritenute costose e impostate principalmente su criteri di sicurezza e meno su quelli della cura e della riabilitazione, il ritardo nella loro costruzione e il ricorso a strutture residenziali alternative; i confini incerti della responsabilità professionale. Vengono poi proposte diverse azioni che possono sostenere l’applicazione della Legge 81: azioni informative rivolte alla popolazione; azioni formative per gli operatori; potenziamento dell’attenzione sulla popolazione forense; attuazione di protocolli d’intesa e collaborazione con la magistratura. Viene sollecitato un impegno fattivo delle società scientifiche nell’affrontare tale tematica, con particolare riferimento alle società che si occupano di riabilitazione, coinvolte nelle problematiche relative all’identificazione dei percorsi di cura e riabilitazione che seguono al superamento degli OPG.

PAROLE CHIAVE: psichiatria forense, riabilitazione psicosociale, strutture residenziali.

SUMMARY. The date of March 31, 2015, following the Law 81/2014, has marked a historical transition with the final closure of the six forensic psychiatric hospitals in Italy. This law identifies a new pathway of care that involves small-scale high therapeutic profile facilities (Residenze per la Esecuzione della Misura di Sicurezza, REMS) instead of the old forensic psychiatric hospitals. The Law promotes a new recovery-oriented rehabilitation approach for the persons with mental disorders who committed a criminal offence, but lack criminal responsibility and deemed as socially dangerous. After a brief description of what happens abroad, this article highlights the positive aspects of the law that, as a whole, has to be considered innovative and unavoidable. The main debated problems are also reviewed, including the lack of changes to the Criminal Code; the improper equation between insanity and mental illness and social dangerousness; the evaluation of “socially dangerousness”, based solely on “subjective qualities” of the person, assessed out of his/her context, without paying attention to family and social conditions suitable for discharge; the expensive implementation of the REMS, mainly based on security policies and less on care and rehabilitation, the delay in their construction, and the search for residential alternatives structures; the uncertain boundaries of professional responsibility. Finally, several actions are suggested that can support the implementation of the law: information programs addressed to the general population; training activities for mental health professionals; systematic monitoring and evaluation of the outcomes of the care provided to the forensic psychiatric population; implementation of Agreement Protocols and a better cooperation with the judiciary. Scientific societies dealing with psychosocial rehabilitation need to be involved in such issues relating to the identification of the best care and rehabilitation pathways, which should be implemented following closure of forensic psychiatric hospitals.

KEY-WORDS: forensic psychiatry, psychosocial rehabilitation, residential facilities.

Introduzione
La Legge 30 maggio 2014 n. 811 ha posto fine al lungo cammino per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG)2-4, percorso intrapreso nel 20085, stabilendo:
1. la proroga della chiusura degli OPG al 31 marzo 2015, pena il commissariamento delle Regioni;
2. la possibilità per le Regioni entro il 15 giugno 2014 di rivedere i programmi presentati per la realizzazione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) al fine di provvedere alla riqualificazione dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM), di contenere il numero complessivo di posti letto da realizzare nelle REMS e di destinare le risorse alla realizzazione o riqualificazione delle strutture pubbliche;
3. la predisposizione e l’invio obbligatorio al Ministero della Salute e alla competente autorità giudiziaria entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 15 luglio 2014, dei percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissione di ciascuna delle persone ricoverate negli OPG alla data di entrata in vigore della legge, chiarendo le ragioni che sostenevano l’eccezionalità della prosecuzione del ricovero in OPG;
4. l’accertamento della pericolosità sociale in base alle qualità soggettive della persona e non in base alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (art. 133 2c n. 4 c.p.) e all’assenza di un piano terapeutico-riabilitativo;
5. la durata delle misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle REMS, non superiore alla pena detentiva prevista per il reato commesso;
6. la presentazione di un report sullo stato di avanzamento della dismissione degli OPG entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 30 settembre 2014;
7. l’istituzione entro 30 giorni dall’approvazione della legge di un Tavolo per il superamento degli OPG, che relazioni in Parlamento.

La legge ha decretato, pertanto, la fine degli OPG italiani, che devono essere chiusi e sostituiti da altre strutture che abbiano caratteristiche curative e riabilitative.
Una sola struttura, l’OPG di Castiglione delle Stiviere, fra le 6 presenti sul nostro territorio (Aversa, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia) si discostava positivamente nella valutazione della Commissione ministeriale guidata dal senatore Ignazio Marino del 20106, con una presenza esclusivamente sanitaria, senza agenti di polizia penitenziaria, con interscambi con tutti i DSM regionali ed extraregionali, struttura considerata un osservatorio nazionale di genere per le pazienti psichiatriche autrici di reato7.
Per il 31 marzo 2015 era, infatti, prevista la chiusura degli OPG, dopo successive proroghe8-10, che hanno contribuito a creare incertezza sulla natura e sull’organizzazione delle strutture che avrebbero accolto gli infermi autori di reato11.
A fine settembre 201412 negli OPG erano ospitati in totale 826 pazienti, 476 considerati dimissibili e 36 non valutabili (Tabella 1). Si nota un diverso “carico” assistenziale per le diverse Regioni (Tabella 1), con una maggiore numerosità di casi nelle Regioni più popolose, alcune fra queste già in affanno nel seguire, con scarse risorse, bacini di popolazione molto ampi. Fra le motivazioni che portavano i 314 internati a essere considerati “non dimissibili” si registravano le seguenti motivazioni: cliniche (40,2%), pericolosità sociale (16,9%), non valutato/da rivalutare (14,9%), in attesa di provvedimento definitivo (5,6%), altro (22,4%)12. Fa sicuramente riflettere la proporzione dei “non dimissibili”, intorno al 40% della popolazione internata, per la quale i principali motivi di “non dimissibilità”, quali condizioni cliniche e pericolosità sociale, appaiano strettamente correlati, lasciando intendere una condizione di importante gravità clinica. Il dato più sorprendente, però, riguarda le persone ritenute “dimissibili”, che erano/sono ancora internate in OPG. Il dato potrebbe essere spia della difficoltà per questi pazienti di trovare un’accoglienza, cioè un posto letto libero in strutture riabilitative territoriali, sia perché tali strutture sono già oberate dall’assistenza di persone con lento turn-over e sia, forse, per la ritrosia ad accogliere persone ritenute “diverse”, in quanto autori di reato.
Nei 6 istituti esistenti gli internati avevano commesso nella maggioranza dei casi reati contro la persona e, in minima parte, contro il patrimonio. Inoltre, il 20% degli internati non era più socialmente pericoloso ma, pur dimissibile, era in attesa di trovare una collocazione terapeutica adeguata ai propri bisogni assistenziali. A dicembre 201413 è stato registrato un ulteriore decremento degli internati (761 in totale, di cui 678 uomini e 83 donne).
La chiusura è stata a lungo attesa, quale importante pietra miliare della psichiatria italiana, ulteriore passo nella costruzione di una psichiatria di comunità basata sull’alleanza tra utenti, familiari e operatori, con l’obiettivo di affrontare le malattie mentali gravi senza ricorrere agli OPG, sulla scorta del percorso iniziato con la Legge 1803,14.
Scopo del lavoro
Il presente lavoro si inserisce in un ampio dibattito in corso nel nostro Paese sull’applicazione della Legge 81, come contributo di stimolo e di riflessione critica per gli operatori dei DSM e per le istituzioni, che devono confrontarsi in termini quantitativi e qualitativi con i problemi sociali, assistenziali e organizzativi che la definitiva chiusura degli OPG comporta. Il lavoro riporta in parte quanto emerso dal Convegno “Comportamento aggressivo in psichiatria e superamento degli OPG: nuovo ruolo del DSM tra integrazione socio-sanitaria e responsabilità professionale”, svoltosi a L’Aquila il 12-13 dicembre 2014, organizzato dalla World Association for Psychosocial Rehabilitation (WAPR) Italia. In particolare, la WAPR nella sua sezione italiana, quale società scientifica si occupa di riabilitazione psichiatrica, avverte la necessità di impegnarsi, coerentemente con i suoi scopi societari, nel percorso culturale e scientifico di dismissione degli OPG e nell’identificazione di strategie riabilitative efficaci che promuovano la recovery e l’inclusione sociale delle persone affette da disturbi mentali autrici di reati. Di seguito, descriveremo brevemente, innanzitutto, quanto accade fuori dal nostro Paese in merito alla legislazione forense, per trarne utili indicazioni.



FUORI DAL NOSTRO PAESE…
In Europa, nel corso degli ultimi due decenni, è in atto un processo di re-istituzionalizzazione, con incremento dei posti letto di psichiatria forense e con un aumento della durata dei trattamenti forensi15,16. Un progetto europeo “Long-Term Forensic Psychiatric Care” (LFPC), presente sul web con un proprio sito (www.lfpc-cost.eu), sta lavorando a partire dalla variabilità dei programmi di trattamento e cura che si riscontra per via di diversi ordinamenti giuridici, di differenti politiche e risorse nei Paesi dell’Unione Europea.
Tre gruppi di lavoro italiani si stanno occupando dei tre principali filoni del progetto europeo:
1. definizione delle caratteristiche dei pazienti che ricevono trattamenti di lunga durata (Ilaria Lega, Istituto Superiore di Sanità, coordinatrice per l’Italia);
2. individuazione di buone prassi per i pazienti con trattamenti di lunga durata allo scopo di abbreviarne i tempi (Franco Scarpa, psichiatra, USL 11 Toscana, OPG Montelupo Fiorentino, coordinatore per l’Italia);
3. individuazione dei bisogni dei pazienti e miglioramento della qualità di vita (Luca Castelletti, psichiatra, Azienda Ospedaliera Poma, OPG Castiglione delle Stiviere, coordinatore per l’Italia).

Diciannove Paesi europei partecipano a tale progetto (Belgio, Cipro, Germania, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Croazia, Irlanda, Italia, Lituania, Lettonia, Macedonia, Olanda, Polonia, Portogallo, Serbia, Slovenia, Regno Unito), con lo scopo di sviluppare politiche costo-efficaci nei servizi psichiatrici forensi, e pratiche basate su trattamenti a lungo termine, ottimizzando la qualità della vita dei pazienti, che potrebbero necessitare di un’assistenza continuativa, durante tutto l’arco della vita.
Attualmente, per esempio, in Germania le persone con disturbi mentali autrici di reato sono soggette a una speciale legislazione, che fa riferimento a un atto del 1933, “Dangerous Habitual Offenders and their Detention and Rehabilitation Act”15. Autori di reato affetti da malattia mentali, che non si stima possano recidivare, vengono ricoverati in ambienti psichiatrici; autori di reato affetti da malattie mentali, che si stima possano recidivare, vengono ricoverati obbligatoriamente in ospedali psichiatrici “speciali”, forensi. Autori di reato con una dipendenza da sostanze, per i quali sono stati stilati concreti progetti terapeutici, vengono inviati in specifici “Centri di Disintossicazione”, all’interno degli ospedali psichiatrici forensi. Nell’aprile 2007 è stata introdotta una nuova legislazione per aumentare la sicurezza della popolazione e per permettere un più stretto monitoraggio delle persone autrici di reato e affette da disturbi mentali, uscite dagli ospedali forensi o dal sistema giudiziario 15. Sulla base di questa legislazione, è possibile stilare dei cosiddetti “ordini di terapia”, obbligando le persone a seguire trattamenti psicofarmacologici, psicoterapici o socio-terapeutici, a presentarsi per controlli medici regolari, in libertà vigilata, per la quale non presentarsi ai “controlli”, segno di scarsa adesione al trattamento, porta alla violazione della stessa libertà vigilata. È stato implementato un “Centro ambulatoriale forense” che si occupa altresì di vigilare sull’obbligo di non assumere sostanze e di monitorare, in senso più ampio, il rischio di recidivismo 15.
La Gran Bretagna, l’Irlanda e i Paesi scandinavi adottano la prospettiva molto pragmatica di verificare se l’autore di reato è affetto da un disturbo psichiatrico, piuttosto che focalizzarsi sulla sua responsabilità in merito al reato17. In Olanda, gli autori di crimini con disturbi di personalità, valutati come un serio pericolo per gli altri e con ridotta responsabilità in relazione al reato commesso, ricevono un verdetto “combinato”: un periodo in carcere con un successivo periodo di trattamento in un ospedale penale che prevede restrizioni, sulla scorta di un sistema di trattamento terbeschikkingstelling (TBS), su disposizione del Governo, del Ministero della Giustizia. Il TBS, che ha il doppio obiettivo di proteggere la società e di riabilitare l’autore di reato, può essere imposto per 2 anni, ma può essere prolungato, con una media di permanenza degli internati di 4 anni. L’ospedale/sistema TBS, che dispone di reparti ad alta sicurezza e che fornisce anche “assistenza extramuraria” e supervisione sul territorio, sembra avere dato buoni risultati in termini di riduzione del recidivismo 18.
Viene fatta risalire al 15 luglio 2005 la nascita della psichiatria forense in Giappone, con l’applicazione del Medical Treatment and Supervision Act (MTSA)19, dato che, in precedenza, autori di reato con malattie mentali venivano ricoverati obbligatoriamente negli stessi ospedali psichiatrici in cui erano accolte persone con disturbo mentale, che non avevano commesso reati. Il primo obiettivo di una valutazione psichiatrica sulla base del MTSA è di rispondere a 3 quesiti principali per quanto riguarda l’autore di reato: 1) persistente presenza di una malattia mentale, come al momento del reato; 2) possibilità di trattamento, ovvero stima che l’autore di reato risponda al trattamento; 3) valutazione se sussistano fattori che impediscono la reintegrazione della persona nella società e possano condurre al recidivismo. Gli autori di reato affetti da disturbi mentali vengono ricoverati obbligatoriamente in unità psichiatrico-forensi e seguiti, se non sottoposti a regime di ricovero ospedaliero, secondo 3 tipologie di servizi: 1) supervisione psichiatrica in libertà vigilata; 2) trattamento medico erogato obbligatoriamente in ambulatori e cliniche designate dal MTSA; 3) servizi di assistenza sociale forniti dallo stesso centro di salute mentale e supporto territoriale nella comunità in cui la persona vive.
Negli stessi Stati Uniti si assiste a un cambiamento di prospettiva, considerato che il sistema giudiziario, che sembrava interessato solo a valutare la colpevolezza dell’imputato, sta progressivamente prendendo consapevolezza della mancanza in tale sistema di approcci terapeutici e riabilitativi, soprattutto per le persone autrici di reato con una malattia mentale20, in base a una “giurisprudenza terapeutica”21. Scopo della giurisprudenza terapeutica è quello di promuovere una società più civile e giusta basandosi sulla legge come agente terapeutico, in cui i giudici sono soggetti attivi nella soluzione dei problemi. Molti Stati hanno istituito delle corti basate su tale concetto, con l’obiettivo di evitare la criminalizzazione della persona affetta da disturbi mentali e il recidivismo attraverso la creazione di programmi speciali. Tali programmi speciali, basati su una popolazione selezionata di persone affette da malattie mentali, autrici di reati non efferati, offrono counselling individuale e di gruppo, gestione dei farmaci, counselling per abuso di sostanze, alloggi a basso costo e servizi sociali a fronte di una stretta sorveglianza. In caso di mancato rispetto del programma di regole, le persone subiscono delle sanzioni o rientrano in carcere. Le sanzioni possono essere applicate per l’uso di droghe, per la non frequenza di gruppi di terapia o per il non rispetto di appuntamenti in programma. Per il completamento del programma, per essere considerato di successo, i clienti devono aver rispettato il programma terapeutico che gli era stato assegnato, devono assumere farmaci, non assumere sostanze, rispettare gli impegni di studio o lavoro assegnati 20. Il successo di tali programmi sembra attribuibile alla stretta supervisione mensile dei “clienti”, all’aiuto che ricevono nell’ottenere una casa e nella gestione dei farmaci.
ASPETTI POSITIVI DELLA LEGGE
C’era accordo unanime che gli OPG dovevano essere superati in modo radicale da strutture terapeutiche alternative e da nuovi percorsi assistenziali-terapeutici che tengano conto delle diverse tipologie diagnostiche delle persone internate che, una volta dimesse, sono prese in carico dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e dal DSM, quando di pertinenza psichiatrica.
La legge ha previsto la creazione delle REMS22 a carattere riabilitativo. Le REMS, ciascuna con una dotazione massima di 20 posti letto, di esclusiva competenza sanitaria, prevedono il rispetto di requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi, questi ultimi fondati sui principi del governo clinico (governance clinico-assistenziale), in base ai quali le organizzazioni sanitarie devono impegnarsi per il miglioramento continuo della qualità dei servizi e del raggiungimento di standard assistenziali elevati, garantendo contemporaneamente la massima sicurezza (Allegato A del Decreto 1 ottobre 2012 22).
La Legge 81/2014 presenta molti aspetti positivi:
1. il ricorso all’OPG e, dopo il 1° aprile 2015, alle REMS deve essere considerato come una misura transitoria, adeguatamente motivata, finalizzata al recupero della persona e al superamento della pericolosità sociale, condizione per un sereno inserimento della persona nel suo contesto esistenziale;
2. la permanenza della persona autrice di reato in OPG in questa fase residuale, e successivamente nelle REMS, non può essere superiore alla durata del massimo della pena edittale prevista per il reato commesso, ponendo fine ai cosiddetti “ergastoli bianchi”;
3. l’istituzione di un organismo di coordinamento per il superamento degli OPG, che ha il compito di monitorare periodicamente l’impegno delle Regioni a mettere in atto tutte le misure terapeutiche e organizzative per:
a) individuare percorsi alternativi per i nuovi pazienti autori di reato con pericolosità sociale;
b) dimettere le persone non più socialmente pericolose presso strutture riabilitative o presso il loro domicilio, con la presa in carico diretta da parte dei DSM.

Un limite di tale approccio è tuttavia l’essersi concentrati prevalentemente sulle modalità applicative della legge e non aver predisposto un monitoraggio che consenta di costruire una visione d’insieme delle strategie terapeutiche e dei problemi risultanti dall’applicazione della legge stessa.
ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGGE
La Legge del 30 maggio 2014 n. 81 ha suscitato un ampio dibattito su alcuni aspetti problematici; fra questi, di seguito verranno riportate cinque principali criticità.
La mancata riforma del Codice Penale
Le più evidenti criticità sono relative alla mancata riforma del Codice Penale e delle misure di sicurezza, dell’imputabilità con la cancellazione della pericolosità sociale psichiatrica, delle perizie e dei periti23,24. Senza queste modifiche, che consentono di garantire cure adeguate in strutture riabilitative a chi soffre di una grave malattia mentale evitando, nel contempo, che entrino nei circuiti sanitari persone con pericolosità sociale non derivante da malattia, la situazione potrebbe tendere a peggiorare24. In tal senso, viene evidenziata la necessità di migliorare l’assistenza psichiatrica nelle carceri, dove persistono condizioni disumane e nelle quali ancora non vengono garantiti modelli operativi per cure adeguate24.
I rapporti controversi tra l’incapacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale e la malattia mentale
La seconda criticità consegue al fatto che il provvedimento non è considerato risolutorio per via della complessa situazione relativa agli autori di reato affetti da un vizio totale o parziale di mente e/o socialmente pericolosi per l’elevato rischio di recidiva di condotte antisociali24. Peraltro, la legge collega automaticamente l’incapacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale ai malati con disturbi mentali autori di reato, come già evidenziato da Balbi e Biondi25, facendo, di conseguenza, intendere che debbano essere tutti di competenza del DSM. La legge stabilisce, infatti, che i DSM si facciano carico di tutti i residenti nelle aree di loro competenza, senza prevedere protocolli d’intesa o strumenti più vincolanti che regolino la presa in carico congiunta di casi che non possono essere trattati dai servizi psichiatrici. In realtà, nell’OPG sono presenti tipologie diverse di persone autrici di reato, oltre quelle con patologia mentale, per esempio, quelle con gravi disturbi cognitivi, gravi ritardi mentali, malattie degenerative, disturbo da sostanze, doppia diagnosi e personalità antisociali. Tali patologie dovrebbero essere gestite da servizi all’interno della ASL, appropriati per la massima competenza e qualificazione che le diverse patologie esigono. In particolare, nelle dipendenze e nelle doppie diagnosi è evidente che i Servizi per le Tossicodipendenze (SerT) debbano essere coinvolti con i servizi psichiatrici nella gestione di tali pazienti particolarmente complessi.
L’accertamento della pericolosità sociale in base alle qualità soggettive della persona
Un terzo aspetto che ha suscitato molta perplessità, anche tra gli stessi magistrati, è che la valutazione della pericolosità sociale, in base alla nuova legge, prevede un accertamento «sulla base delle qualità soggettive della persona», senza tener conto di fattori cosiddetti “oggettivi”, quali l’ambiente socio-economico o il contesto familiare. Questa parte della legge è molto contestata e anche il presente lavoro critica tale aspetto. È noto che molti comportamenti abnormi siano influenzati dal contesto socio-economico e probabilmente anche un atto delittuoso criminale può essere fortemente influenzato dai determinanti sociali 26,27. Un recente studio italiano su un piccolo campione di soggetti provenienti dagli OPG di Aversa, Secondigliano e Castiglione delle Stiviere ha confermato un livello socio-economico medio-basso dei pazienti, per la maggioranza celibi28. Si auspica, pertanto, che la legge venga rivista e che possano essere presi in considerazioni anche i fattori ambientali e contestuali. La presenza di una buona rete sociale, per esempio, potrebbe orientare verso una prognosi migliore e quindi, soprattutto nei casi di pericolosità sociale “attenuata”, il perito potrebbe proporre la dimissione.
REMS, pre-REMS e non REMS…
Il quarto argomento molto dibattuto, che riflette diversi orientamenti e “scuole di pensiero”, ha riguardato l’identificazione di strutture alternative all’OPG, identificate dalla legge come REMS.
Una prima considerazione critica è relativa ai costi, piuttosto elevati. La loro costruzione può sottrarre risorse preziose, che invece potrebbero essere utilmente utilizzate per potenziare i DSM, attualmente già molto sofferenti sul piano delle risorse25. Del resto, i DSM hanno avuto, hanno e avranno il gravoso compito di prendere in carico nel territorio, oltre l’utenza già presente, anche tutte le persone con patologia psichiatrica autrici di reato, una volta dimesse dalle REMS.
Una seconda considerazione è relativa alla proposta di una loro utilizzazione solo per specifiche categorie di persone, particolarmente problematiche, per le quali sarebbe difficile una gestione nel percorso assistenziale ordinario, come, per esempio:
– persone con disturbi mentali resistenti alle terapie, in cui si possa supporre che i sintomi psicotici fossero alla base del comportamento criminale;
– persone con disturbi mentali che assumano sostanze e con tratti di impulsività incontrollata;
– persone con disturbi mentali che abbiano commesso atti criminali di particolare crudeltà;
– persone che presentino note di personalità antisociale e di psicopatia in cui il ravvedimento sembrava problematico, con elevato rischio di reiterare reati.

Una terza considerazione critica rispetto alle REMS deriva dal timore che tali strutture possano diventare dei “piccoli OPG”, incapaci di garantire percorsi assistenziali-riabilitativi, riflettendo il latente conflitto fra trattamento e punizione, evidenziato nella psichiatria forense29. Del resto, il problema della residenzialità psichiatrica nel nostro Paese è stato più volte affrontato, evidenziando un basso turn-over degli utenti e una notevole difficoltà alla dimissione e al reinserimento nella comunità30-32. Il rispetto dei requisiti dell’Allegato A. del Decreto 1 ottobre 201222 dovrebbe garantire la presenza di personale qualificato, aggiornato sulle questioni medico-legali, competente in riabilitazione e con alta formazione specifica, mettendo al riparo da tali rischi. Il carattere riabilitativo delle REMS potrebbe essere ribadito da una modifica nella loro stessa denominazione, quale “Residenze terapeutico-riabilitative con garanzia di sicurezza”.
Peraltro, una quarta considerazione è relativa al ritardo nella costruzione delle REMS, rispetto ai termini stabiliti dalla legge per la chiusura degli OPG. Si è assistito a una corsa convulsa delle Regioni “per mettersi in regola” entro i termini stabiliti dalla legge. L’Organismo di Coordinamento per il Superamento degli OPG, presieduto dall’on. Vito Di Filippo, aveva, infatti, sottolineato la necessità di individuare, con urgenza, soluzioni residenziali “transitorie”, in strutture da identificare e allestire in tempi contenuti, per garantire il rispetto della scadenza temporale fissata dalla legge, assicurando, comunque, i necessari e appropriati interventi terapeutico-riabilitativi in favore dei soggetti ospitati. Molte Regioni avevano già pianificato l’individuazione delle strutture transitorie di cura con i requisiti di sicurezza, idonee ad accogliere i pazienti che provengono dagli OPG e gli eventuali nuovi ingressi, entro i termini previsti, fermo restando il proseguimento del programma parallelo di realizzazione delle strutture definitive 33.
Sulla base della Relazione sullo stato di attuazione delle iniziative per il superamento degli OPG del dicembre 201412, si è osservato, però, una notevole variabilità a livello regionale. La Provincia Autonoma di Bolzano, il Friuli-Venezia Giulia, l’Emilia-Romagna e la Campania hanno garantito il rispetto dei termini. Alcune Regioni, quali Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, hanno identificato Castiglione delle Stiviere quale sede delle loro REMS, sede identificata dalla stessa Regione Lombardia.
In questi anni sono state messe in atto molte misure di sicurezza che non hanno utilizzato gli OPG. Diversi sono gli esperimenti di identificazione di strutture alternative. Un esperimento è quello del DSM di Trieste, che aveva già in precedenza identificato il carcere come alternativa al ricovero in OPG, portando all’attenzione la necessità di reparti psichiatrici, altamente qualificati all’interno delle carceri, carceri che peraltro accolgono un’ampia popolazione (circa il 20%) di reclusi affetti da malattie mentali, ritenuti imputabili34,35.
Un altro esperimento di identificazione di misure di sicurezza alternative, per esempio, fra i numerosi attivati sul territorio nazionale, è quello avviato nel novembre 2012 come progetto sperimentale derivante da una collaborazione tra il DSM dell’Azienda ULSS 21 di Legnago, diretto dal dottor Tommaso Maniscalco, e l’Associazione don Giuseppe Girelli Casa San Giuseppe-Sesta Opera, di Ronco all’Adige. L’esperienza considera, di fatto, di un progetto di riconversione di un Centro Servizi in cui già venivano accolti ospiti con problemi giudiziari in una struttura comunitaria ad alta specializzazione per la cura e la riabilitazione di pazienti provenienti da Ospedale OPG, per un massimo di 18 persone. I progetti di cura di Casa Don Girelli durano 24 mesi e sono quindi finalizzati al rientro nella comunità di appartenenza dell’utente al termine del periodo di cura. Tale comunità accoglie solo pazienti a bassa pericolosità, con criteri selettivi molto alti.
I confini incerti della responsabilità professionale
Per ultimo, rimane, inoltre, da chiarire l’ambito della responsabilità professionale. L’operatore ha delle responsabilità dirette nell’assistenza di queste persone. L’attuale normativa, però, «non esclude la sussistenza di un generale potere/dovere di sorveglianza, a carico del sanitario e, più in generale, del personale che ha in cura il paziente, atto a prevenire azioni autolesive o eterolesive del paziente, in presenza di specifiche condizioni, oggettivamente e soggettivamente apprezzabili, idonee a fondare in tal senso un rischio prevedibile» (Cass. Sez. IV Sent. 6 novembre - 4 marzo 2004 n. 10430).
Se un paziente non seguisse il percorso terapeutico, se dovesse allontanarsi e commettere un reato che cosa succederà? E ancora, la responsabilità professionale andrà oltre le mura delle strutture residenziali, una volta che la persona ha terminato il percorso terapeutico-riabilitativo in REMS? E in relazione al trattamento, qualora rifiutasse le cure, una volta terminato il periodo di detenzione nelle REMS, che fare? Un’ipotesi realistica è che, poiché non è possibile la detenzione oltre la pena edittale, in presenza di pericolosità, non cessino le misure di sicurezza, anche a domicilio o in libertà vigilata.
QUALI AZIONI PER APPLICARE LA LEGGE 81?
Azioni informative rivolte alla popolazione
Durante il Congresso dell’Aquila 2014 è emersa, ed è stata ampiamente condivisa, la necessità che le società scientifiche si impegnassero, d’intesa con i DSM, a promuovere azione informative rivolte alla popolazione sulle innovazioni legislative attraverso i media nazionali, in modo da preparare le famiglie e l’ambiente sociale di provenienza del malato mentale autore di reato ad accoglierlo con la massima serenità possibile, superando paure e atteggiamenti discriminatori.
Quale informazione fornire? È dimostrato che la popolazione mantiene un forte tasso di diffidenza verso le persone affette da disturbi mentali quando l’informazione è troppo rassicurante e buonista36. La percezione da parte della popolazione generale del comportamento violento di persone affette da disturbi mentali gravi rappresenta inoltre un’importante causa di stigma. Non è sufficiente affiggere un manifesto con la scritta “La persona affetta da un disturbo mentale è un buon vicino di casa” per vincere lo stigma36. La più efficace modalità per vincere la diffidenza e ridurre lo stigma è rappresentata dalla percezione della buona qualità dei servizi di salute mentale, che garantiscano un trattamento efficace e una presa in carico pronta e adeguata36-40 rivolta a tutte le persone affette da un disturbo mentale. È peraltro incontrovertibile che le persone con malattie mentali gravi non trattate comportano un serio rischio di violenza41.
Azioni formative per gli operatori
La legge 81/2014 prevede dei fondi specifici “dedicati” per la formazione degli operatori, con particolare riferimento a quelli che dovranno occuparsi in prima persona, nei vari setting terapeutici, delle persone con disturbo mentale autori di reato. Tali persone hanno gli stessi diritti ai migliori trattamenti, alla luce delle attuali evidenze scientifiche, rispetto alla popolazione psichiatrica, in modo che siano aiutati a raggiungere i loro obiettivi di vita, con un supporto professionale decrescente.
Identificazione dei fattori di rischio
La letteratura scientifica ha identificato una serie rilevante di fattori di rischio42-46 che possono essere colti nell’ambito di un profondo rapporto di conoscenza tra operatori e utente, condizione necessaria per cogliere anche nella storia della persona comportamenti aggressivi, impulsivi, che potrebbero spiegare in parte la relazione, non scontata, tra disturbo mentale e atti aggressivi e violenti. Tale indagine può assumere sia un valore preventivo di un’eventuale azione violenta, prima che venga compiuta dalla persona con disturbo mentale riducendo il rischio di reati, sia di eventuali recidive relativo al reato commesso.
Sarà sicuramente utile nella pratica clinica l’impiego di strumenti standardizzati che permettano il rilevamento precoce del rischio di comportamenti violenti e la loro gestione qualora dovessero presentarsi45,47-50.
Diversi lavori scientifici hanno indagato il complesso rapporto tra violenza e sintomi psicotici51-55. I fattori di rischio vengono differenziati in “dinamici”, ovvero modificabili (comportamento ostile, abuso recente di sostanze, farmaci e alcol, scarsa adesione ai trattamenti psicologici e psicofarmacologici, impulsività) e “statici”, quali i precedenti con la legge56,57, la storia familiare di violenza58, essere stato vittima di abusi fisici e sessuali57. Alcuni disturbi della personalità di un comportamento violento, indipendentemente dalla sintomatologia associata alla schizofrenia59. Suggestivi sono gli studi  di neuroimaging e dei correlati neurocognitivi dell’aggressività e della violenza nella schizofrenia60,61, che riportano, tra i fattori predisponenti, deficit nella capacità di riconoscere le espressioni facciali emotive degli altri, interpretate come minacciose e ostili62,63, nelle capacità di mentalizzazione64. Di recente, è stato ipotizzato che la violenza non derivi tanto dalla categorizzazione diagnostica, né dalla strutturazione psicotica, quanto da un mediatore intermedio che è la rabbia55. Pertanto la dimensione della “rabbia” appare come fattore di rischio58, sebbene non l’unico, per un comportamento aggressivo, da valutare e da gestire.
Gli interventi psicosociali
In merito agli interventi psicosociali efficaci condotti in ambiente psichiatrico-forense, la letteratura internazionale può essere considerata di “nicchia”, non è particolarmente ricca ed è metodologicamente acerba (bassa numerosità dei campioni, metodologie di intervento descritte scarnamente, aperta dichiarazione di non aver ricevuto training sulla somministrazione degli interventi, ecc.). Gli interventi applicati sono incentrati sull’aderenza alla terapia psicofarmacologica 65, sulla gestione della rabbia66, sulla meditazione mindfulness67, su interventi psicoeducazionali68-70, sui trattamenti metacognitivi71,72. È molto prematuro parlare di chiare prove di efficacia in tale campo73, e tale presupposto potrebbe condizionare molto i trattamenti riabilitativi sui quali condurre le azioni formative e la loro successiva applicazione.
Nel nostro Paese, in questi anni si sono registrati molti esiti favorevoli nelle persone con malattie mentali autrici di reato, che, una volta dimesse, hanno trovato un loro soddisfacente inserimento sociale, successi per i quali non è stata prodotta una testimonianza scientifica adeguata. Rispetto ai contributi prodotti nel nostro Paese, sono state descritte con accuratezza le componenti strutturali e di processo dell’assistenza erogata nell’OPG di Castiglione delle Stiviere7. Gli specifici aspetti ambientali, di “milieu”, e la molteplicità degli interventi non permettono di enucleare “il gradiente attivo” degli stessi interventi, non riportati in termini di esito. In questi anni l’unico indicatore di esito della popolazione internata in OPG è stato “negativo”, rappresentato dal recidivismo. Sarà necessario “riallineare” i trattamenti psicofarmacologici e psicosociali e trasferire a questa popolazione con “speciali” bisogni di cura le innovazioni prodotte nei due rispettivi ambiti, psicofarmacologico e psicosociale, avendo tale popolazione gli stessi diritti di cura di tutti gli utenti dei servizi di salute mentale.
Peraltro, si è consapevoli che non sarà sufficiente l’incremento della competenza tecnica, in quanto lo stigma e la discriminazione sono ancora presenti negli stessi operatori. Sarà infatti importante che gli operatori instillino nei loro utenti speranza di cambiamento nel futuro74 e che credano autenticamente che le persone autrici di reato possano raggiungere i loro obiettivi di vita, nell’ambito del concetto della recovery.
Incrementare il monitoraggio e la valutazione
Le persone internate negli OPG italiani sono state oggetto di una relativa attenzione a livello scientifico, pur con buoni contributi principalmente epidemiologici7,75-78. Allo stato attuale, emerge l’esigenza di dedicare maggiore attenzione a tale popolazione per poter avere elementi oggettivi sui quali programmare, monitorare e valutare l’assistenza erogata.
A partire dal 2012, l’Istituto Superiore di Sanità ha coordinato il progetto “Valutazione dei pazienti ricoverati negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) finalizzata a proposte di modifiche degli assetti organizzativi e di processo”, il cui obiettivo principale era la raccolta di informazioni affidabili sulla diagnosi psichiatrica, il funzionamento personale e sociale e i bisogni dei pazienti psichiatrici autori di reato79. Tali informazioni, indispensabili per predisporre interventi terapeutico-riabilitativi appropriati e individualizzati, volevano andare a caratterizzare i bisogni di salute di questi pazienti, per i quali la riforma del servizio psichiatrico-forense italiano prevedeva una risposta alternativa all’OPG. Il progetto, finanziato dal Ministero della Salute, è stato condotto in collaborazione con gli OPG di Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa e Napoli Secondigliano e con il DSM di Messina, in contiguità territoriale con l’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto. Il progetto OPG-ISS ha messo a punto una specifica batteria di strumenti di valutazione ed effettuato un training per la sua somministrazione con gli operatori partecipanti al progetto. Sotto l’impulso di tale progetto è stata effettuata la validazione della versione italiana della Camberwell Assessment of Need - Forensic Version, CANFOR 80.
Il progetto, che ha concluso la sua prima fase dopo tre anni di attività, permetterà, attraverso i dati desunti dall’impiego di strumenti di valutazione standardizzati, di identificare le caratteristiche dei pazienti presenti negli OPG e di elaborare progetti terapeutico-riabilitativi appropriati alle condizioni cliniche e alle risorse del singolo paziente e il monitoraggio e la valutazione degli interventi attuati79.
La WAPR-Italia conviene sulla necessità di promuovere ricerche sul campo. Durante il Convegno della Società a L’Aquila, la Prof.ssa Mirella Ruggeri, Direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Verona, ha presentato il “Progetto PERSONE- PERcorsi nei Servizi degli autori di reatO: aNalisi dei bisogni ed Esiti”, il cui Comitato Scientifico e Organizzativo è rappresentato da Andrea Balbi, Massimo Casacchia, Walter Di Munzio, Antonio Mastroeni, Mirella Ruggeri, Franco Veltro. Obiettivo del progetto è identificare i percorsi di cura territoriali di 3 diverse coorti di soggetti: le persone dimesse dall’OPG prima della promulgazione della Legge 81; le persone dimesse dall’OPG dopo la promulgazione della Legge 81 e i nuovi autori di reato dichiarati infermi di mente. Il Progetto PERSONE stima di poter acquisire tempestivamente conoscenze sulle caratteristiche della storia di vita di tali persone, degli interventi che verranno svolti, sulle problematicità che emergeranno e su tutto il complesso delle azioni e scelte che gli operatori ivi operanti dovranno compiere in seguito al superamento degli OPG. Il Progetto PERSONE ha inoltre l’obiettivo di aiutare gli amministratori e i clinici che desiderino avere informazioni sui percorsi intrapresi dalle persone con disturbi mentali autrici di reato, di poter trarne dati oggettivi per migliorare progressivamente l’assistenza a tale specifica popolazione, in termini di valutazione dei bisogni di risorse strutturali e di personale, di formazione e di coinvolgimento dell’assistenza socio-sanitaria. Il Progetto, che sta raccogliendo buone adesioni, con l’attuale partecipazione di 30 DSM, potrà contribuire all’identificazione delle “buone pratiche”, che permettono buoni esiti.
Attuazione di protocolli d’intesa, collaborazione con la magistratura e attenzione al ruolo del Consulente Tecnico di Ufficio
Molteplici positive esperienze italiane avviate nei DSM italiani, finalizzate alla reale inclusione sociale delle persone, hanno visto l’attuazione di protocolli di intesa, come, per esempio, quelli già attivi a Como81, in Liguria82, nel Veneto83, strumenti di grande utilità per attuare e coordinare gli interventi giudiziari, sanitari e di ordine pubblico.
Nell’ambito delle politiche di integrazione fra istituzioni, di recente, la Conferenza Unificata del 26 febbraio 201584 ha sollecitato accordi con le Prefettura in merito alla «sicurezza ed alla vigilanza perimetrale» e accordi fra le Regioni, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la magistratura, in merito all’applicazione delle misure di sicurezza detentive, la loro trasformazione e l’eventuale applicazione di misure di sicurezza, anche in via provvisoria, non detentive. È previsto il costante coinvolgimento degli Uffici Esecuzione Penale Esterna (UEPE) territorialmente competenti per «la definizione delle modalità e procedure di collaborazione interistituzionale per la contemporanea gestione sia del percorso terapeutico-riabilitativo individuale interno alla struttura, che di quello di reinserimento esterno». È previsto «invio all’Autorità Giudiziaria competente dei progetti terapeutico-riabilitativi individuali finalizzati all’adozione di soluzioni diverse dalla REMS (per tutte le persone ed entro 45 giorni dal loro ingresso) da parte del Servizio delle predette strutture, con il concorso dell’Azienda Sanitaria competente per la presa in carico territoriale esterna e dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, come già previsto per tutti i presenti in OPG alla data di entrata in vigore della legge 30 maggio 2014, n. 81» 84.
Un nodo rilevante, non ancora risolto, è legato all’accuratezza delle previsioni di pericolosità, che suggerisce una revisione del ruolo del consulente tecnico d’ufficio (CTU) e del medico del servizio sanitario nella valutazione della pericolosità sociale.
Il parere clinico non strutturato rimane ancora l’unica forma di valutazione della pericolosità sociale fra molti esperti nazionali di settore. L’opinione del clinico e/o del gruppo curante diviene, in tale approccio, discrezionale rispetto a quale tipo di informazioni o fattori di rischio prendere in considerazione o tralasciare per la formulazione di un giudizio di predizione del comportamento violento45.
Indubbiamente la formulazione di un parere, in funzione ausiliaria del magistrato, sulla pericolosità sociale (di cui all’art. 203 del C.P.) per il soggetto riconosciuto infermo di mente al momento del fatto-reato e successivamente in sede di riesame della pericolosità sociale dello stesso, pone al perito una serie di insidie legate alla complessità del singolo caso, all’incertezza prognostica del quadro clinico, alle inevitabili criticità proprie della previsione del comportamento futuro di un qualsiasi soggetto 85.
Peraltro, molto chiara è la distinzione tra un colloquio clinico e un colloquio peritale, caratterizzato quest’ultimo dalla relatività del segreto circa le informazioni acquisite, dal carattere valutativo, dal diritto di riferire quanto ritiene utile ai fini della tutela dei propri interessi, dal diritto di rifiutare (senza essere punito) i colloqui e l’esecuzione di test, laddove il colloquio clinico è caratterizzato dal segreto professionale e da obiettivi valutativi/terapeutici 86.
Il ruolo del CTU andrà ben distinto pertanto dal ruolo dello psichiatra del DSM, che non potrà essere chiamato a definire la pericolosità sociale o meno del proprio assistito. Non è, infatti, da sottovalutare il possibile atteggiamento difensivo, in merito alla responsabilità dell’operatore che, di fatto, inficia spesso la certificazione della cessazione della misura di sicurezza, obbligando la persona in cura a esserne ancora sottoposta. Il rischio è che il confondimento dei ruoli e compiti fra magistratura e sistema sanitario possa divenire, così, presupposto per lo stesso fallimento dei progetti di cura, annullando di fatto la chance riabilitativa ed evolutiva delle persone.
IL CONTRIBUTO DELLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE
Quale ruolo devono assumere le società scientifiche in questo cammino verso il superamento degli OPG? Diversi autori richiamano il loro necessario coinvolgimento2,25, in nome della competenza tecnico-scientifica che esprimono e della loro rappresentatività.
La Società Italiana di Psichiatria (SIP) ha sempre mantenuto un atteggiamento di attenzione costante e di approfondimento sul problema degli OPG e nel contempo della salute mentale in carcere. Nel maggio 2007 ha promosso uno studio descrittivo-osservazionale, esteso a tutto il territorio nazionale e volto a definire – oltre alla prevalenza dei disturbi psichici – modalità e possibilità di accesso alle cure, nonché i conseguenti servizi assistenziali erogati. L’indagine, in collaborazione con le Società Italiane di Criminologia, di Medicina Legale e di Psichiatria Forense, aveva l’ambizione di giungere a definire – con la maggior parte degli addetti del settore – alcune indicazioni da utilizzare come linee-guida, raccomandazioni e proposte per il miglioramento continuo della qualità delle attività psichiatriche svolte negli istituti penitenziari, valutando nel contempo la progressiva sensibilizzazione degli operatori dei DSM, nell’auspicio di formulare strategie e percorsi diagnostico-terapeutici coerenti e condivisi. Il 24% dei detenuti richiedeva di effettuare una visita psichiatrica. Il 38,5% dei detenuti con disturbi psichiatrici era seguito da un servizio prima della carcerazione: in particolare nel 24,0% dei casi dal SerT, nell’11,1% dal DSM; il 3,4% era seguito da entrambi i servizi 87.
Già qualche anno fa, la SIP sottolineava il paventato maggior carico di responsabilità e di impegno che comportava per i DSM la gestione sul territorio — dai Centri di Salute Mentale ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, alla residenzialità di varia intensità — di pazienti particolarmente complessi sotto il profilo della sicurezza, come quelli che dimessi dagli OPG o, in particolare, quelli che non vi saranno inviati in conseguenza del processo di superamento 2. La responsabilità degli psichiatri dovrebbe restare soprattutto una responsabilità di cura, e non tramutarsi in una responsabilità di custodia, pena il ritorno a una missione neomanicomiale e neocustodialistica2,14, sollecitando un impegno fattivo delle società scientifiche nell’affrontare tale tematica.
È naturale che anche le società scientifiche, che hanno come principale obiettivo di intervento la riabilitazione psichiatrica, come la WAPR, siano coinvolte nelle problematiche relative all’identificazione dei percorsi di cura che seguono al superamento degli OPG.
CONCLUSIONI
Sarà necessaria una buona dose di flessibilità nell’applicazione della Legge 81 del 2014 a livello regionale, in base alle situazioni oggettive che sono diverse da Regione a Regione. È, comunque, iniziata una nuova era, che idealmente segue alla Legge 180, durante la quale si dovrà con determinazione perseguire l’obiettivo di curare e aiutare le persone affette da disturbi mentali e autrici di reato al di fuori di istituzioni concentrazionali, sul territorio, con il coinvolgimento delle reti familiari e sociali e delle migliori risorse tecnico-scientifiche, e di monitorarne con accuratezza i processi e gli esiti.
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