Osservazioni psichiatrico-forensi sulle imputazioni e condanne
agli psichiatri per il comportamento violento del paziente


Charges and convictions of psychiatrists for the violent behavior of the patient:
psychiatric-forensic remarks

GIANCARLO NIVOLI1, LILIANA LORETTU1, BERNARDO CARPINIELLO1, PAOLO MILIA1,
FEDERICA PINNA
1, andrea lepretti1, CRISTIANO DEPALMAS1, ALESSANDRA M.A. NIVOLI1
E-mail: llorettu@uniss.it

1Clinica Psichiatrica, Università di Sassari


RIASSUNTO. Nel presente lavoro vengono formulate osservazioni psichiatriche, cliniche e forensi sulla gestione del comportamento violento sulla persona (CVP) attuato da pazienti psichiatrici. Lo studio è il risultato della personale esperienza clinica e forense degli autori, chiamati come esperti in contesti legali e giudiziari in tema di valutazione e gestione di pazienti psichiatrici con CVP. Sono state evidenziate 12 osservazioni psichiatrico-forensi: 1) il CVP è un evento multideterminato; 2) il rischio di CVP può variare rapidamente nel tempo in quantità e qualità; 3) non esistono metodologie per una sicura previsione del CVP nel singolo caso clinico; 4) non esistono farmaci con l’indicazione di “guarire” il CVP; 5) non esistono provvedimenti terapeutici che neutralizzano sempre, rapidamente e senza recidive i CVP; 6) esistono ipotesi cliniche per valutare il CVP; 7) esistono principi di vittimologia per valutare il CVP; 8) esistono reazioni emotive che possono influire sulla valutazione e gestione clinica e forense del CVP; 9) la responsabilità dello psichiatra è da valutare al momento dei fatti; 10) la responsabilità dello psichiatra deve essere contestualizzata nel singolo caso clinico; 11) necessità di precisare le singole responsabilità professionali degli psichiatri che hanno curato un paziente; 12) necessità di precisare i criteri di inizio, fine e qualità della posizione di garanzia. Queste dodici osservazioni psichiatrico-forensi presentano importanti implicazioni cliniche nella valutazione e gestione del CVP in pazienti psichiatrici e possono essere alla base per la futura ricerca di raccomandazioni, in un contesto giudiziario, di buona pratica clinica in tema di imputazione e condanna agli psichiatri in relazione al CVP dei pazienti.

PAROLE CHIAVE: comportamento violento, pazienti psichiatrici, psichiatria forense.


SUMMARY. Purpose of the present study is to point-out a number of psychiatric-forensic remarks about the management of violent behavior against the person (VBP) amongst psychiatric patients. The study is the authors’ personal contribution based on clinical and forensic experience as experts in the management of psychiatric patients with VBP. Twelve psychiatric-forensic remarks have been highlighted in the present study: 1) VBP is a multifactorial event; 2) the risk of VBP against the person may change rapidly over time in quantity and quality; 3) there are no methods for reliable prediction of VBP in a single clinical-case; 4) there are no medications with an indication of “heal” the VBP; 5) there are no therapeutic measures that neutralize always, quickly and without recurrences VBP; 6) there exist clinical hypotheses to assess VBP; 7) there exist principles of victimology to assess VBP; 8) there are emotional reactions that can affect the evaluation and clinical and forensic management of VBP; 9) the responsibility of the psychiatrist has to be evaluated at the moment of the events; 10) the responsibility of the psychiatrist must be contextualized in the single clinical-case; 11) there is the need to clarify the individual professional responsibility of psychiatrists who treated a patient; 12) there is the need to clarify the criteria for the definition of the guarantee role. The above-mentioned twelve psychiatric-forensic remarks have implications in the assessment and management of psychiatric patients with violent behavior. They may constitute a basis for further discussion aiming to obtain consensus amongst psychiatrists about good clinical practice and forensic implication in the management of psychiatric patients with VBP and to avoid charges and convictions.

KEY WORDS: violent behavior, psychiatric patients, forensic psychiatry.

INTRODUZIONE
Il comportamento violento del paziente sulla persona (CVP) (percosse, lesioni personali, omicidio tentato e attuato) è uno degli eventi umani più drammatici e dolorosi che si possono incontrare nella pratica psichiatrica1-3. È inoltre una delle cause più frequenti nelle aule giudiziarie di imputazione e condanna penale e civile dello psichiatra. La responsabilità professionale dello psichiatra nei confronti di un paziente a rischio di CVP è un tema ricco di criticità con contrastanti interpretazioni, della buona pratica clinica, delle leggi e delle sentenze nel loro variare nel tempo. In ragione di quanto precede è parsa utile la formulazione di osservazioni psichiatrico-forensi in tema di CVP messo in atto dal paziente. È auspicabile che tali osservazioni possano promuovere consenso clinico e scientifico degli psichiatri con lo scopo di aumentare la beneficialità del paziente, migliorare la formazione professionale dello psichiatra e facilitare la comprensione dell’evento di violenza a tutti i protagonisti (magistrati, avvocati, periti, consulenti, familiari del paziente, ecc.) che in differenti ruoli accusano, difendono e giudicano lo psichiatra. Non è compito delle presenti osservazioni attuare un esame critico delle definizioni, delle varie forme, delle differenze tra normalità e patologia di interesse psichiatrico della violenza 4; della evoluzione storica e clinica del concetto psichiatrico, criminologico e giuridico di pericolosità5; dei criteri di valutazione e di gestione del rischio del comportamento violento6; dei fattori associati, non associati e protettivi in tema di comportamento violento7,8; della responsabilità medica e psichiatrica in tema di specifiche sentenze civili o penali9,10. Le osservazioni che seguiranno si basano sulla letteratura e sull’esperienza psichiatrico-forense degli autori.
OSSERVAZIONI PSICHIATRICO-FORENSI
Per ognuna delle 12 osservazioni di seguito enunciate vi sarà una componente di evidenza clinica assistenziale o gestionale accompagnata da specifiche osservazioni forensi formulate sulla base delle più frequenti imputazioni e condanne penali e civili agli psichiatri. Nella parte forense sarà utilizzata una esemplificazione e una terminologia più aderente al linguaggio utilizzato in un’aula giudiziaria in tema di responsabilità professionale dello psichiatra che non all’assistenza psichiatrica al paziente.
1. Il CVP è un evento multideterminato
Le cause del CVP sono molteplici: biologiche, psicologiche, sociali, culturali, circostanziali. Non sono quindi legate a una sola e unica causa diretta ma sono in relazione a numerose variabili (costellazione di variabili) che interagiscono tra loro e si integrano in una stessa persona con modalità dinamiche che variano nel tempo6. Il disturbo psichico può essere presente o assente e, quando presente, può essere (solo se vi è un nesso di causa tra CVP e disturbo psichico) una tra le numerose variabili (con importanza da valutare nel singolo caso clinico) che partecipa alla multideterminatezza dell’evento11-13. Concretamente, non è corretto sotto l’aspetto scientifico e forense affermare: “quel paziente ha ucciso la moglie perché affetto da schizofrenia delirante con contenuto persecutorio”. Non tutti i pazienti con questo disturbo psichico uccidono la moglie e poi, per uccidere la moglie, non vi è bisogno di avere un disturbo psichico. Concretamente la valutazione scientifica e forense del caso che precede è complessa, si svolge attraverso tappe progressive e deve contemplare due distinte necessità: l’esame del disturbo psichico e l’esame del comportamento violento. Si tratta di esami che implicano conoscenze scientifiche e cliniche molto differenziate 8. L’esame del disturbo psichico comprende almeno tre approfondimenti: 1. diagnosi categoriale (per es., schizofrenia con disturbo delirante a contenuto persecutorio); 2. diagnosi dimensionale (per es., impulsività e aggressività); 3. diagnosi dinamica (per es., la proiezione della propria aggressività è attribuita ad altre persone e alla moglie). L’esame del CVP comprende altre tre tappe di approfondimento: 4. diagnosi eziologica (per es., il nonno e il padre erano stati condannati per maltrattamento familiare: apprendimento sociale plurigenerazionale della violenza); 5. diagnosi dinamica (per es., sentimento di inferiorità nei confronti del sesso femminile legata a impotenza sessuale con reattività di controllo sadico e distruttivo (“prima che tu mi domini e mi distrugga, io ti domino e ti distruggo”); 6. diagnosi vittimologica, cioè il legame tra aggressore e vittima (per es., la moglie prima di essere uccisa lo ha insultato: “sei un fallito e un impotente”). L’esame prosegue con altre due tappe: 7. le reazioni emotive dei protagonisti dell’evento di violenza; 8. la formulazione di un piano di valutazione e trattamento (di cui la diagnosi e la terapia psichiatrica sono solamente una parte) che sia fattibile e monitorabile.
1.a. Inadeguatezza clinica e forense dei ragionamenti semplicistici ed errati in tema di relazione tra disturbo psichico e CVP
Se lo psichiatra stabilisce sempre un rapporto di causa unica e diretta tra disturbo psichico e CVP non v’è da stupirsi che chi giudica la sua responsabilità professionale accetti questa sua interpretazione che può determinare una serie di gravi errori clinici e scientifici. Allo psichiatra infatti può essere richiesto di “guarire” il disturbo psichico (deriva giuridica dall’obbligo di cura all’obbligo di guarigione, con attribuzione allo psichiatra del ruolo di colui che fa miracoli e non di medico che cura con i limiti propri della medicina). Inoltre, in questa visione qualsiasi minima imprecisione o errore dello psichiatra (indipendentemente dal nesso causale) può essere pretestata (attraverso la “razionalizzazione” che fa seguito al principio del “senno del poi”) come causa del CVP (“se lo psichiatra avesse curato bene il paziente, il paziente non sarebbe stato violento”).
1.b. Inadeguatezza clinica e forense di una “psichiatrizzazione” di tutti i casi di CVP
La “psichiatrizzazione” di tutti i CVP porta, in primo luogo, a una gestione insufficiente e dannosa della beneficialità del paziente (si cura il disturbo psichico e non si tratta il comportamento violento) e in secondo luogo, sotto l’aspetto forense, ad assunzioni eccessive e inadeguate di responsabilità professionali.
2. Il rischio del CVP può variare rapidamente nel tempo per quantità e qualità
Il rischio di CVP non rimane costante nel tempo ma può variare anche rapidamente come qualità e quantità per numerose motivazioni14. Le circostanze psico-sociali possono stimolare il soggetto, attraverso la realtà o la percezione soggettiva, a sperimentare gravi ingiustizie subite, frustrazioni dolorose al proprio ruolo e visibilità sociale, minacce alla propria identità ideale. L’incontro con la vittima può avvenire nell’ambito di una circostanzialità scatenante: vi sono vittime che agevolano il loro omicidio (victim precipitated homicide), quali per esempio i mariti violenti che provocano in cucina la moglie armata di coltello dicendole minacciosi: “prova a uccidermi se hai il coraggio”. Il CVP può anche essere legato o utilizzato a fini suicidari come, per esempio, negli omicidi di massa (mass murder) ove si manifesta con platealità la triade omicidiaria-suicidaria (desiderio di uccidere, di essere ucciso e di uccidersi) o nei suicidi a mezzo delle forze dell’ordine (suicide by cops), in cui il soggetto ricerca il proprio suicidio provocando la reazione omicidiaria delle persone che minaccia concretamente di uccidere.
2.a. Necessità di monitorare, quando è presente una giustificazione clinica, il rischio di CVP
Lo psichiatra dopo una prima valutazione, se è presente una motivazione clinica (per es., il paziente ha nuovamente profferito gravi minacce di morte e ha acquisito un’arma letale) deve monitorare ancora il rischio di CVP.
2.b. Necessità di accettare sotto il profilo clinico, forense ed emotivo personale che il CVP può essere imprevedibile e inevitabile
Non può essere attribuito allo psichiatra il ruolo di “infallibile” (per la prevedibilità) o “protettore onnipotente” (per la evitabilità) e di accusarlo di non saper predire e cambiare il futuro soprattutto servendosi in quest’accusa del “senno del poi” che permette di individuare sempre, a fatto avvenuto, soprattutto per i profani, le cause che hanno provocato il CVP.
3. Non esistono metodologie per una sicura previsione del CVP nel singolo caso clinico
La valutazione del rischio di CVP può essere effettuata in generale attraverso due metodologie: clinica e attuariale15. La metodologia clinica è basata sul colloquio clinico col paziente nel corso del quale lo psichiatra raccoglie informazioni anamnestiche personali e familiari, pratica un esame psichiatrico, raccoglie informazioni per la formulazione di una diagnosi e terapia (disturbo psichico) e per una valutazione e trattamento (comportamento violento). Nel corso di tale processo metodologico clinico lo psichiatra può avvalersi dell’esame del linguaggio non verbale del paziente e delle reazioni emotive che il paziente stimola in lui e delle reazioni emotive che lui come valutatore e terapeuta stimola nel paziente. La metodologia attuariale consiste nell’esaminare il paziente attraverso l’uso di interviste strutturate, questionari standardizzati, reattivi mentali di livello e di proiezione, che hanno lo scopo specifico di valutare i dati nel modo più obiettivo possibile (età, sesso, razza, qualità e quantità dei reati precedenti, uso di droghe, quantificazione dei segni e sintomi psicopatologici) e di stabilire su queste basi, a livello statistico, un giudizio sul rischio di CVP del soggetto esaminato. Questi due metodi di valutazione del rischio del CVP possono essere praticati in modo singolo o integrati l’uno all’altro con differenti modalità 16. In qualsiasi caso è essenziale tener presente che i due metodi descritti non sono in grado di permettere una sicura previsione del CVP nel singolo caso clinico.
3.a. Necessità di valutare il rischio del CVP
Lo psichiatra deve applicare una metodologia (e documentarla in cartella clinica) che comprenda un esame delle variabili che l’evidenza clinica condivisa riconosce come fattori preventivi a livello clinico o statistico (per es., precedenti comportamenti violenti, anche legati ad abuso di alcol e sostanze).
3.b. Necessità di adottare misure preventive per ridurre il rischio di CVP in rapporto alla sua gravità
Le misure preventive non possono essere applicate sempre e indiscriminatamente a tutti i pazienti con il massimo grado di intensità. Dovrebbero infatti essere attuate qualora il caso lo richieda, in relazione alla gravità del rischio del singolo soggetto al momento dell’esame clinico e sulla base di una obiettiva e valida motivazione clinica.
4. Non esistono farmaci con l’indicazione di “guarire” il CVP
La farmacoterapia del CVP è ricca di criticità. Non esistono farmaci con l’indicazione specifica per “guarire” il CVP. Inoltre, le sostanze farmacologiche impiegate in psichiatria agiscono sul sintomo o sui “pattern” sintomatologici (non sempre eliminandoli totalmente) e inoltre tra un sintomo e il comportamento violento vi è la complessa valutazione del nesso causale. L’agitazione psicomotoria può essere un sintomo aggredibile farmacologicamente ma la maggior parte dei casi di CVP non avviene con l’aggressore in uno stato di agitazione psicomotoria di competenza psichiatrica. La disciplina psichiatrica, a differenza di altre discipline mediche, necessita, a livello forense, di un fattore di correzione a causa di una sua maggiore complessità. Il CVP non può essere paragonato all’affezione internistica del diabete. Per quest’ultimo esistono, a differenza del CVP, precisi esami obiettivi condivisi per la diagnosi (per es., la glicemia) e specifici farmaci o sostanze efficaci per la terapia (per es., l’insulina).
4.a. Necessità di introdurre un fattore di correzione nella valutazione della farmacoterapia per il CVP rispetto ad altre farmacoterapie mediche
La complessità dell’evento multideterminato, la difficoltà di trattare sintomatologie non facilmente obiettivabili con mezzi farmacoterapici poco efficaci sul sintomo, il complesso legame clinico e forense di causalità tra sintomo e CVP implicano l’introduzione di un fattore di correzione allo scopo di valutare, con criticità, la reale responsabilità farmacoterapica dello psichiatra.
4.b. L’errore farmacologico deve essere valutato nella sua quantità e qualità e in relazione al nesso causale nel singolo caso clinico
Un ragionamento del tipo: “lo psichiatra ha errato nel somministrare la dose del farmaco… Quindi è colpevole del fatto che il paziente ha ucciso un’altra persona…” risulta inaccettabile sotto il profilo clinico e forense qualora non si accerti l’entità dell’errore e il suo nesso causale con il CVP. A questo ragionamento errato possono collaborare periti e consulenti che rispondono, anche per incapacità professionale, a quesiti parziali: “è giusto o sbagliato scalare questo farmaco in questo modo?”. Il perito e il consulente debbono sapere che la domanda è stata fatta in un preciso contesto ed è in riferimento a quel preciso contesto che devono calibrare la risposta.
5. Non esistono provvedimenti terapeutici che neutralizzano sempre, rapidamente e senza recidive tutti i CVP
Nessun provvedimento terapeutico è in grado di neutralizzare il CVP in tutti i casi clinici con rapidità e senza rischio di recidive con carattere di imprevedibilità e inevitabilità17. Provvedimenti terapeutici come i vari tipi di isolamento e di contenzione fisica non possono che essere applicati secondo specifiche indicazioni e per un tempo molto limitato e rappresentano un provvedimento di urgenza. Interventi terapeutici di breve durata come le tecniche per tranquillizzare (talk down), per fare verbalizzare la sofferenza (talk up), per gestire la rabbia senza abolirla18, per la pacificazione19, per il negoziato emotivo20, per la mediazione21, per la gestione psicologica delle situazioni di crisi22, per il trattamento delle personalità difficili23, non sempre sono applicabili e, quando applicate, non sempre offrono nell’immediatezza risultati terapeutici concreti.
5.a. Necessità che lo psichiatra di fronte a un rischio di CVP reale e imminente suggerisca provvedimenti terapeutici
Utile che i provvedimenti siano documentati, proporzionali alla gravità del rischio, fattibili e monitorabili.
5.b. Necessità che lo psichiatra, quando è il caso e dopo valutazione del rischio-beneficio, avverta e suggerisca misure di protezione per la probabile vittima
L’avvertimento e la protezione della vittima sono temi complessi, oggetto di diatribe giuridiche forensi e cliniche. Tra le numerose criticità ricordiamo la possibile violazione del segreto professionale, la differenza tra il possibile (tutti possono essere vittime) e il probabile (solo qualcuno sarà vittima in realtà ), la ritrattazione e negazione di minacce e verbalizzati di morte da parte del protagonista (con conseguenti rivendicazioni e denunce contro lo psichiatra), le criticità tra il dovere di avvertire ( duty to warn) e il dovere di proteggere (duty to protect).
6. Ipotesi cliniche per valutare il CVP
Sono presenti in letteratura numerose ipotesi cliniche di ricerca sul CVP che mettono in luce la multideterminazione dell’evento di violenza interpersonale e spiegano questo fenomeno senza la necessità di coinvolgere psicopatologie di interesse psichiatrico come descritte nei manuali statistici e diagnostici più diffusi (DSM-5 e ICD-10). Tra queste ipotesi cliniche di ricerca possiamo segnalare le seguenti:
• nell’apprendimento sociale è illustrata la capacità di imparare a livello sociale una “violentizzazione” del comportamento (al posto di una socializzazione) e la presenza di sottoculture della violenza che valorizzano l’uso dell’omicidio come modalità socialmente accettata e valorizzata per la risoluzione di conflitti personali24,25;
• nel guadagno primario e secondario è tracciato un paragone tra il guadagno primario e secondario nella malattia mentale e il guadagno primario e secondario nel CVP (ottenere quello che si desidera, soddisfare desideri non leciti);
• i cicli della violenza illustrano sequenze di eventi concatenati tra aggressore e vittima che si ripetono in modo ciclico: facili da prevedere ma difficili da trattare;
• gli schemi ripetitivi concernono la riproduzione fedele delle caratteristiche di personalizzazione (signature), messa in scena (staging), modalità operativa (modus operandi), eccesso specifico di violenza per uccidere (over killing) del soggetto violento;
• nei percorsi strutturati sono descritte numerose tappe, facilmente identificabili, sulle quali si articola il processo di violenza e sulle quali si può intervenire a livello di trattamento;
• nei viraggi del comportamento violento l’obiettivo della violenza può rapidamente spostarsi da una persona a un’altra o da se stessi a un’altra persona e da un’altra persona a se stessi;
• gli aloni progressivi mettono in luce come emozioni di base della violenza (rabbia) possano progressivamente ampliarsi sino a giungere all’omicidio;
• la multifattorialità limitata e specifica riprende il concetto di evento multideterminato della violenza ma il numero dei fattori eziologici è ristretto a pochi e in specifici campi di violenza (aggressione sessuale, aggressioni in famiglia). In tal modo è possibile un trattamento mirato su questi fattori limitati che possono integrarsi tra loro (teoria della confluenza) o presentare un fattore più determinante degli altri (teoria della priorità del fattore);
• la riattuazione si basa sul presupposto che l’aggressione attuale rappresenta una elaborazione simbolica di fatti (abusi, umiliazioni, traumi psichici) che l’aggressore ha subito in giovane età.
• nelle dinamiche criminali e dinamiche di violenza si assiste a un’integrazione tra eziologia della criminalità e della violenza (comportamento predatorio che evolve in omicidio);
• i facilitatori che possono stimolare il CVP sono numerosi, aspecifici e debbono essere valutati nel singolo caso clinico (abuso di droghe, di alcol, disturbo psichico, sottocultura di violenza);
• i segni premonitori possono precedere l’agito di violenza, sono numerosi, aspecifici, possono riunirsi in costellazioni più significative (disimplicazione esistenziale prima dell’omicidio passionale);
• nella comunicazione simbolica l’aggressore in modo simbolico (dove una cosa significa anche e soprattutto un’altra cosa) comunica, anche se spesso non compreso, il suo desiderio di violenza su uno specifico obiettivo (per es., prima pugnala le ostie e poi pugnala il prete);
• le minacce rivestono, oltre quello basale di una aggressività da decifrare, significati assai diversi (da una generica richiesta di aiuto a un fine strumentale delinquenziale) e necessitano di adeguata interpretazione;
• le interpretazioni simboliche permettono, partendo dalla narrazione della storia da parte dell’aggressore, di rinarrare la stessa storia arricchita di quanto l’aggressore ha tenuto nascosto a se stesso e agli altri (un giovane descrive l’omicidio della nonna ma in realtà, senza esserne consapevole, descrive la madre che, per formazione reattiva, professa di amare anche se ha tutti i motivi per odiarla)26.

Dalle ipotesi cliniche descritte emergono importanti criticità: presentano diversità, anche contraddittorie, tra loro; sono spesso legate a campioni di popolazione limitati; presuppongono un legame tra aggressore e vittima molto individualizzato e variabile nel tempo; hanno un valore statistico che non è ancora approfondito; necessitano di validazione con metodologia scientifica; le loro conclusioni debbono essere condivise da comunità scientifiche; offrono interpretazioni della realtà non facilmente obiettivabili clinicamente o accettabili in un’aula giudiziaria.
6.a. Utilità, nella formazione professionale dello psichiatra, della conoscenza e approfondimento delle ipotesi cliniche di ricerca
Alcune ipotesi cliniche di ricerca possono acquisire valore clinico e scientifico più valido e divenire in questo modo evidenze cliniche condivise (pur essendo anche quest’ultime non prive di criticità).
6.b. Non adeguatezza forense delle ipotesi cliniche di ricerca a essere utilizzate come evidenze cliniche condivise quali criteri per la valutazione della responsabilità professionale dello psichiatra
Secondo la giurisprudenza lo psichiatra non è giustificato, nella sua pratica, ad adottare diagnosi e terapie che si fondino su ipotesi cliniche di ricerca non validate scientificamente. Sarebbe un fatto non facilmente comprensibile che lo psichiatra imputato e condannato perché ha usato certe ipotesi cliniche di ricerca sia poi automaticamente imputato e condannato perché non le ha utilizzate.
7. Esistono principi di vittimologia per valutare il CVP
La profonda comprensione clinica del CVP implica l’acquisire informazioni sull’aggressore e sulla vittima27. È utile che lo psichiatra disponga di informazioni scientifiche sul concetto di vittime preferenziali (facilmente vittimizzabili su base statistica), di vittime che mentono (consapevoli e non consapevoli di mentire), di vittime per vocazione (facilmente vittimizzabili su base personologica), di legami patologici tra aggressore e vittima (collusioni di psicopatologie), di viraggio da vittima ad aggressore (la vittima che diventa aggressore), di coesistenza di vittima e aggressore (lo stesso soggetto è aggressore e vittima), di assistenza della vittima in emergenza (cosa fare e non fare in situazione di crisi), di psicoterapia alle vittime (per evitare il danno psichico), di gestione della recidiva vittimologica (tecniche per ridurre la rivittimizzazione), di uso terapeutico dei meccanismi psicologici di difesa dell’aggressore e della vittima (per formulare interventi terapeutici sulla psicopatologia specifica di aggressore e vittima).
7.a. Utilità clinica per lo psichiatra di conoscere la vittimologia
Lo psichiatra può integrare le informazioni specifiche di vittimologia con informazioni di tipo psichiatrico, psicologico, sociologico e giuridico.
7.b. Utilità clinica e forense dei centri di vittimologia
Questi centri dovrebbero disporre di competenze diversificate per l’assistenza (psichiatra, psicologo, medico legale, giurista), di procedure standardizzate per la valutazione (rilevazione del danno fisico e psichico della vittima) e l’accesso a strutture di preparazione della vittima al processo (per esplicitare e rendere operativi alla vittima i suoi diritti e contenere le sue difficoltà, anche emotive, al processo e, in genere, nel contenzioso giudiziario).
8. Esistono reazioni emotive che possono influire sulla valutazione e gestione clinica e forense del CVP
Di fronte a un aggressore, una vittima o un individuo con disturbo psichico si possono provare reazioni emotive (che stimolano pensieri e comportamenti) non sempre adeguate e che possono alterare la corretta valutazione e gestione del CVP. A queste reazioni emotive si possono fare risalire almeno tre distinte motivazioni, di interesse psichiatrico, non sempre facilmente separabili le une dalle altre28:
1. Reazioni emotive legate a una risposta “umana” e fisiologica di carattere generale. Per es., reazioni emotive di odio, rabbia, nei confronti di delitti crudeli ed efferati o reazioni emotive di disperazione, colpa stimolati dalle vittime di violenza.
2. Reazioni emotive più specifiche legate alle caratteristiche psichiche dell’aggressore, della vittima e della persona che valuta, che gestisce e che giudica il CVP. Per es., la psichiatrizzazione dell’aggressore e la colpevolizzazione della vittima sono meccanismi psicologici attraverso cui ci si può difendere dal “pericoloso”, dal “non accettabile”, dal “non dicibile”, e mantenere efficienti importanti aree psicologiche di sicurezza comportamentale (“solamente una persona con disturbo psichico può uccidere… Io non ho disturbo psichico… Quindi io non sarò mai, soprattutto per caso e senza la mia volontà, un assassino…; La vittima si è messa in pericolo da sola… Io non mi metterò mai in pericolo come ha fatto la vittima… Io non sarò mai una vittima”). Pur non entrando nel merito dell’accettabilità di queste interpretazioni, della loro veridicità o della loro sostituzione o integrazione con altre spiegazioni, resta il fatto incontrovertibile che la “psichiatrizzazione” dell’aggressore e la “colpevolizzazione” della vittima rappresentino due grandi problemi che intralciano il trattamento dell’aggressore e della vittima.
3. Reazioni emotive legate a specifici conflitti di chi valuta e gestisce il CVP: per es., la difficoltà a valutare un’aggressione sessuale violenta su una ragazza di 16 anni da parte di una psichiatra che ha una figlia di 16 anni che è stata violentemente aggredita e stuprata. Nell’ambito della gestione trattamentale del CVP a stretto contatto interpersonale con aggressore e vittima si può creare una molteplice varietà di reazioni emotive complesse29,30 fortemente ansiogene, sino a divenire cognitivamente destrutturanti per tutti i protagonisti (confusione tra i conflitti dell’aggressore e i conflitti di chi lo cura; collusioni inconsapevoli con il paziente che possono stimolare in quest’ultimo il compimento di atti di violenza; identificazioni proiettive non consapevoli all’aggressore, alla vittima, al giudice; stimolazioni di recidive nell’aggressore e nella vittima con l’utilizzo non consapevole del proprio sadismo e masochismo).
8.a. Gli operatori della salute mentale devono saper riconoscere e gestire le proprie reazioni emotive nei confronti dei pazienti psichiatrici
Avere coscienza che le reazioni emotive esistono, saper attribuire loro un nome e un contenuto, conoscerne le conseguenze negative e saper sfruttare quelle positive nel trattamento del paziente è un utile patrimonio scientifico e clinico, nella gradualità di competenze di tutti gli operatori della salute mentale.
8.b. Utilità che gli operatori della salute mentale sappiano riconoscere e gestire le proprie reazioni emotive nei confronti dei pazienti con CVP
È da considerare l’opportunità che gli operatori della salute mentale che continuano a presentare dannose reazioni emotive nei confronti dei protagonisti del CVP, nonostante i vari e progressivi interventi formativi (corsi di formazione sulle reazioni emotive, discussione sul caso clinico, discussioni in équipe, psicoterapia personale sulle proprie reazioni emotive) dirigano le loro professionalità o vengano diretti (da chi ne ha il potere) su altri campi della salute mentale per maggiore beneficialità dei pazienti.
9. La responsabilità dello psichiatra è da valutare al momento dei fatti
L’operato dello psichiatra deve essere valutato sulla base delle numerose variabili presenti al momento delle decisioni: le informazioni disponibili sul paziente, la complessità della sintomatologia, spesso in evoluzione e non chiaramente indicativa di una precisa diagnosi, la diversa fattibilità delle ipotesi di trattamento, le priorità nella specifica situazione. Anche se queste valutazioni avvengono dopo i fatti, e cioè a posteriori, in realtà debbono essere riferite al momento dei fatti.
9.a. La non validità clinica e forense del giudizio formulato “col senno del poi”
Dopo che un paziente ha commesso un atto di violenza, tutte le persone, soprattutto i profani nel campo medico psichiatrico, sono capaci di trovare non solo le cause del CVP ma anche gli errori commessi dai curanti.
9.b. La necessità della valutazione del nesso di causalità
Deve essere valutato se vi è un legame tra quanto ha fatto o non ha fatto lo psichiatra e il CVP messo in atto dal paziente. Lo psichiatra può aver messo in atto uno o più gesti di “non buona pratica clinica” ma queste sue mancanze possono essere del tutto irrilevanti ai fini dell’aumento del rischio del CVP. Il nesso di causalità può essere esaminato attraverso varie metodologie e in tempi brevi può essere valutato attraverso il ragionamento controfattuale: “se lo psichiatra avesse fatto correttamente quello che doveva fare, il CVP messo in atto dal paziente si sarebbe verificato?” Se la risposta è affermativa, allora non esiste il nesso causale.
10. La responsabilità dello psichiatra deve essere contestualizzata nel singolo caso clinico
Lo psichiatra deve basare il proprio operato su solide basi scientifiche e cliniche. Diagnosi e terapia suggerite da manuali e trattati di psichiatria a diffusione nazionale e internazionale, attenzione alle linee-guida e protocolli riconosciuti da società scientifiche, inveterate acquisizioni di capacità cliniche specifiche in centri di eccellenza su specifici campi del sapere, costituiscono dati fattuali giustificativi di buona pratica clinica. Tuttavia, i principi di buona pratica clinica devono essere contestualizzati in quello specifico psichiatra, con quelle specifiche esperienze cliniche e formazione, con quel particolare paziente, in quell’irripetibile contesto psicopatologico e psicosociale in cui il fatto si è verificato in concreto.
10.a. Necessità di contestualizzare il caso clinico
Questa necessità porta a un’accettazione critica delle linee-guida per i seguenti motivi: sono costruite con una metodologia che tiene in scarsa considerazione i pareri degli esperti nella pratica quotidiana; sono legate a specifiche scuole di pensiero non sempre condivise; si riferiscono a pazienti ideali altamente selezionati in contesti di cura ideale per assistenza alberghiera, sociale e farmacologica; non tengono conto dei pazienti complessi presenti nella pratica quotidiana; possono essere influenzate da priorità d’ordine economico-gestionale-assicurativo; sono diverse nelle indicazioni tra loro; spesso mutano i loro principi nel tempo; possono essere utilizzate per una psichiatria difensiva che non privilegia la beneficialità del paziente.
10.b. Necessità di rispettare le evidenze cliniche condivise
L’agire dello psichiatra deve basarsi su evidenze cliniche condivise contestualizzate nel caso specifico ed è utile che siano documentate in cartella clinica (per evitare l’obiezione forense: “tutto ciò che non è stato scritto non è stato fatto”).
11. La responsabilità professionale dei singoli “attori”
Sotto il profilo clinico e forense è utile precisare le responsabilità di ognuno dei partecipanti alla cura di un paziente.
11.a. Necessità di precisare le responsabilità dei singoli
La precisazione di ruoli e di responsabilità di ognuno deve: essere ufficializzata per iscritto, resa nota alle persone interessate, resa pubblica, rispettare le qualifiche professionali, essere applicata in concreto nel quotidiano, essere oggetto di discussioni e chiarificazioni ufficializzate tra le persone interessate. In questo modo si evita quanto temuto da molti psichiatri: le imputazioni a pioggia su tutti quando la giustizia accusa senza discrimine i curanti, nonché i lunghi, dispendiosi e aggressivi rimpalli di responsabilità in tribunale tra tutte le persone venute a contatto con il paziente.
11.b. Valorizzazione del principio dell’affidamento e dell’autonomia vincolata
Ogni membro dell’équipe può, con le dovute cautele, fare affidamento sulla buona pratica clinica degli altri, deve poter compiere qualificate azioni terapeutiche che, tuttavia, sono vincolate a direttive generali provenienti da persone che hanno il potere di formularle e non esimono il singolo da una sua specifica responsabilità. Concretamente, se un subordinato riceve una direttiva palesemente contro le più elementari regole di buona pratica clinica, ha il diritto e il dovere di rifiutarsi di eseguirla. In un tribunale non si può giustificare una condotta non corretta in campo medico affermando: “Ho fatto la cosa sbagliata perché me l’ha ordinata il superiore”.
12. La responsabilità professionale e la posizione di garanzia
La posizione di garanzia dello psichiatra verso un paziente implica due distinti doveri: curare e proteggere. Quando inizia uno scambio terapeutico iniziano i doveri: ripetere i farmaci in ricetta prescritta da un altro sanitario significa entrare (assunzione) in posizione di garanzia. L’uscita dalla posizione di garanzia (dismissione), soprattutto in paziente con CVP, deve rispettare la continuità terapeutica: non è sufficiente una lettera di dimissioni se non seguita da un contatto diretto tra medici. La lettera potrebbe infatti non arrivare o non essere letta, o letta in ritardo, dal responsabile. Il contenuto della posizione di garanzia può variare tra i doveri di “avvertire” sino a quello più impegnativo di “proteggere” la vittima.
12.a. Necessità dello psichiatra di conoscere quando si assume e quando si dismette la posizione di garanzia
Lo psichiatra deve conoscere questi due fondamentali momenti della posizione di garanzia.
12.b. Necessità che lo psichiatra e chi lo valuta conoscano il contenuto della posizione di garanzia
Per ridurre il rischio del CVP allo psichiatra non possono essere richiesti, in modo diretto e soprattutto pretestuoso, ruoli per cui non è qualificato.
CONCLUSIONI
Le osservazioni psichiatrico-forensi che precedono possono rappresentare uno stimolo di approfondimento critico per la ricerca di una condivisione sempre maggiore sul piano clinico e scientifico tra gli psichiatri sulla gestione del rischio di CVP al fine di una più ampia beneficialità per tutti i protagonisti, attivi e passivi, dell’evento di violenza.
Il presente lavoro presenta importanti limiti metodologici che devono essere tenuti presente: il mancato campionamento con criteri specifici, la numerosità campionaria, l’assenza di un disegno previo, la mancanza di inferenze statistiche che impediscono la generalizzabilità dei risultati. Tuttavia, queste osservazioni hanno un valore generale e possono essere allargate e approfondite, in tema di gestione del CVP, a livello personale e istituzionale con protocolli operativi, algoritmi decisionali, specifiche divisioni di ruoli terapeutici, schemi di procedure e obiettivi di intervento, indicazioni preventive e gestionali delle situazioni di crisi, corsi di formazione su specifici temi di valutazione e gestione del CVP, arricchimenti con metodologie attuariali dei risultati clinici, utilizzo critico e approfondimento scientifico di ipotesi cliniche di ricerca. Pur nella considerazione dei necessari approfondimenti critici attuali, delle correzioni future, del mutare delle ideologie psichiatriche e dei principi di legge e della possibilità per ogni psichiatra di ampliare i suoi compiti nella gestione del CVP è da rilevare che queste osservazioni forensi (e ipotesi di buona pratica clinica) già allo stato attuale permettono di:
• offrire al paziente e ai protagonisti dell’evento di violenza un’alta qualità di beneficialità in tema di cura e protezione;
• offrire allo psichiatra uno schema di comportamenti obiettivi di buona pratica clinica soddisfacendo il suo diritto-dovere di conoscere, prima di essere imputato, i criteri precisi sui quali è giudicata la sua responsabilità professionale;
• suggerire che in un’aula giudiziaria non siano esclusivamente altre persone (avvocati, giudici, medici legali, periti, consulenti) a decidere quali siano le evidenze cliniche condivise sulle quali giudicare lo psichiatra in tema di CVP.

Infine, queste osservazioni psichiatrico-forensi dovrebbero stimolare un dialogo costruttivo fra tutti i protagonisti dell’evento clinico e giudiziario del CVP messo in atto dai pazienti allo scopo di una sempre maggiore beneficialità per tutte le persone interessate, nel pieno rispetto delle realtà scientifiche condivise e delle leggi vigenti.



Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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