La doppia vittoria di Endimione

A cura di Eleonora Del Riccio
Storica dell’arte
E-mail: eleonoradelriccio@gmail.com





Nel 1600 furono celebrate le nozze tra Ranuccio Farnese, fratello del cardinale Odoardo, e Margherita Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII. Qualche anno prima, in vista di questo illustre matrimonio, fu commissionato ai fratelli Carracci il ciclo di affreschi che avrebbe dovuto incorniciare la splendida loggia porticata, probabilmente una sala da musica, posta al piano nobile di Palazzo Farnese e realizzata tra gli anni Settanta e Ottanta del ’500 dall’architetto Giacomo della Porta su progetto del Vignola.
Il tema degli affreschi raccontava dei trionfi dell’Amore Sacro e dell’Amore Profano, trionfi che si accordavano e si completavano vicendevolmente nella grande scena posta al centro della volta.
In quest’ottica, le storie che furono dipinte intorno al perimetro della scena centrale non sono altro che il percorso da intraprendere al fine di poter far conciliare l’Amore Sacro e quello Profano, l’Afrodite Urania e quella Pandemia di platonica memoria (Simposio, Discorso di Pausania).
All’interno di questa scelta iconografica operata probabilmente da Giovanni Battista Agucchi rientra anche la scena con il sonno di Endimione, il bellissimo pastore di cui Diana si era innamorata.
Non volendo perdere l’amato, la dea aveva chiesto a Zeus di far cadere l’uomo in un sonno perpetuo al fine di preservarne la giovinezza e la bellezza fino alla fine dei tempi. Zeus l’aveva accontentata e così Diana – più spesso ricordata nel mito come Selene, la personificazione della luna – ogni notte si rifugiava, piena d’amore, nella spelonca dove Endimione dormiva.
La storia è romantica tanto che anche John Keats, tra gli altri, dedicò un poemetto mitologico a quest’episodio:

A thing of beauty is a joy for ever:
Its loveliness increases; it will never
Pass into nothingness; but still will keep
A bower quiet for us, and a sleep
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing
.
È interessante notare come questa storia si sia prestata a essere celebrata da un poeta romantico come Keats e da un pittore attento e misurato come Annibale Carracci. Inevitabilmente influenzato dalla visione della volta michelangiolesca, dalla tenerezza di Correggio e da un’urgenza coloristica totalizzante come quella di Tiziano o Veronese, Annibale non poteva fare altro che reinterpretare il mito in chiave cattolica. Diana è infatti la rivelazione di tutto ciò, con la sua fisionomia a metà tra una Maddalena penitente o una Madonna accorata sul corpo esanime del Figlio tratto giù dalla croce e l’esempio della statuaria antica studiata e ristudiata in tutte le sue forme da Annibale, dal fratello Agostino e dagli scolari.
E poi c’è Endimione, un’ottima riuscita pittorica del Fauno Barberini e così bell’esempio di tutte quelle figure addormentate che erano state di certo viste dai pittori come, per esempio, l’Arianna dei Vaticani o, ancora meglio, il rilievo di epoca adrianea con l’Endimione addormentato dei Musei Capitolini.
La storia è doppiamente romantica perché il sonno di Endimione è buono, ristoratore e clemente. Salva l’uomo dall’invecchiamento e lo sottrae al destino a cui tutti siamo condannati. Un destino evidentemente considerato insopportabile dagli antichi che, se da un lato rispettavano i vecchi sileni, ammiravano la saggezza del vecchio Socrate o la fedeltà del vecchissimo Argo, non potevano tollerare l’idea di sfiorire, di perdere la forza e la desiderabilità che si ha quando si è giovani.
Eppure, la storia di Endimione è anche triste. L’uomo non farà nessuna esperienza, non sperimenterà il mondo fuori dall’Elide, non continuerà a far pascolare le sue pecore e non conoscerà la sua discendenza. Eh sì, proprio così, perché dall’unione con Diana nasceranno ben cinquanta figlie!
Si sente spesso dire che l’unico modo per sconfiggere la morte è avere dei figli, se così fosse Endimione l’avrebbe vinta due volte: salvandosi dalla vecchiaia per volere divino e procreando con molta più ambizione della maggior parte degli uomini
bibliografia di riferimento
• Ginzburg S. La Galleria Farnese. Milano: Mondadori Electa, 2008.
• Ferrari A. Dizionario di Mitologia. Torino: UTET, 1999.
• Keats J. Endymion. 1817, Book 1, vv. 1-5.
• Ovidio. Le Metamorfosi. Milano: BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 1994.
• Platone. Simposio. Torino: Einaudi, 2014.