La guerra come fatto psichico

Angela Iannitelli1, Massimo Biondi2

1Società Psicoanalitica Italiana, 2Sapienza Università di Roma.

Riassunto. La guerra è questione complessa e, come tale, osservabile e studiabile da diversi vertici, tra i quali quello politico, economico, antropologico, sociologico, etnologico, etologico, storico e psicologico. L’interesse della psichiatria verso la guerra ha una radice storica, basti pensare al terreno di confronto tra psichiatri e psicoanalisti, sulle “nevrosi di guerra”, al Congresso Psicoanalitico di Budapest del settembre del 1918. L’interesse attuale è sui meccanismi psichici operanti nel fenomeno guerra e sulle conseguenze che il trauma collettivo produce in acuto, in cronico e nelle generazioni successive.

Parole chiave. Guerra, psichiatria, psicoanalisi, psicopatologia, trauma.

War as a psychic fact.

Summary. War is a complex issue and, as such, observable and studyable from different perspectives, including political, economic, anthropological, sociological, ethnological, etological, historical and psychological. Psychiatry’s interest in war has a historical root, just think of the Psychoanalytic Congress held in Budapest in September 1918, on “war neuroses”. Current interest is directed to psychic mechanisms operating in the war phenomenon and on the consequences that collective trauma produces in acute, chronic and in subsequent generations.

Key words. Psychiatry, psychoanalysis, psychopathology, trauma, war.

La guerra, intesa come «lotta armata tra due o più stati»1, o come «lotta armata e sanguinosa tra gruppi organizzati»2, definizione quest’ultima che rimanda a una visione più ampia del fenomeno, è questione complessa e, come tale, osservabile e studiabile da diversi vertici, tra i quali quello politico, economico, antropologico, sociologico, etnologico, etologico, storico e psicologico.

Gli umani, nel corso della loro millenaria storia, mai, forse, hanno vissuto senza una guerra in atto, locale o regionale, da qualche parte nel mondo.

Di fronte all’orrore della guerra molto più vicina, che ci circonda, ci attraversa e muta il nostro abituale modo di stare al mondo, il pensiero rischia l’annichilimento o il contagio da parte di forze istintuali che sembrano maggiormente autorizzate, dalla realtà esterna, a esprimersi. È questa la ragione per la quale riteniamo che, per gli psichiatri, un confronto con le riflessioni di studiosi che hanno provato a comprendere le forze psichiche in gioco nel fenomeno guerra possa essere molto utile anche per comprendere come queste forze si esprimano e si embrichino nell’espressione psicopatologica del singolo. Si veda, a questo proposito, un recente Focus sulla guerra, pubblicato su Rivista di Psicoanalisi3-8. Quali, le radici? Esiste una pulsione, spinta o istinto, variamente proposta, nel bagaglio filogenetico e ontogenetico, che sospinge all’aggressione tra simili? E questa sarebbe “buona”9 oppure bisognerebbe parlare piuttosto di specifica “distruttività” umana10?

Da un vertice osservazionale più strettamente psichiatrico, si pensi alla “nevrosi di guerra”, alle sue variegate declinazioni cliniche e a come quadri sintomatologici, per molti aspetti simili a quelli descritti da Freud e da altri valevoli psicoanalisti subito dopo la Grande Guerra11, si stiano esprimendo nella seconda fase della pandemia come conseguenze del trauma collettivo, fattore patogeno psichico di estrema gravità12. Trauma collettivo transgenerazionale al pari di quello che la guerra/le guerre attuali provocheranno non solo nelle persone direttamente esposte al conflitto ma anche negli osservatori che, in un mondo globalizzato, sono passivamente testimoni della morte e del morire.

Il punto di osservazione che scegliamo per i nostri scopi è quello più strettamente legato alla ricerca psicoanalitica, riferendoci soprattutto a quei risultati utili per la nostra tesi e cioè che la guerra è una questione psichica e che subordinare questa lettura a quella economica, politica e storica, negando la visione del fattore principe che muove tutti gli altri e che con gli altri si camuffa, ne impedisce la comprensione, la valutazione e ne riduce enormemente le possibili strategie di risoluzione. Come dice Bespaloff a proposito della guerra più importante tra tutte, la prima delle prime, la guerra di Troia: «Giacché alla fine – e contrariamente a quanto sostengono i nostri economisti – i popoli che si fanno la guerra per conquistare i mercati, le materie prime, le terre fertili e le loro risorse combattono innanzitutto e sempre per Elena. Omero non ha mentito»13.

Gli studi di Franco Fornari a questo proposito sono di straordinaria attualità e a essi, soprattutto, ci riferiremo, consigliandone una rilettura più accurata. È lo strumento psicoanalitico quello che più di altri ci consente di «osservare l’influenza che l’inconscio in genere esercita sulle modalità di vivere le opzioni politiche o le modalità in cui inconsciamente la guerra è fantasticata dagli uomini»14.

La scelta di entrare in guerra e la guerra di per sé attivano sistemi difensivi e angosce psicotiche che possono compromettere il giudizio di realtà, collocandoci nell’ambito della psicopatologia. Per alcuni autori di formazione psicoanalitica, infatti, la guerra può essere considerata una psicosi. Si pensi al significato simbolico del nome Enola Gay, la madre di Paul Warfield Tibbets Jr., pilota del B-52 che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, o al messaggio inviato dal generale Groves a Truman subito dopo Hiroshima: “Baby is born”. Anche solo l’analisi di questa suggestiva singolarità simbolica, ci ricorda Fornari, è spiegabile secondo le leggi della psicoanalisi: «Quando una realtà distruttiva viene coperta da simboli d’amore esiste la possibilità che ciò costituisca una operazione destinata a coprire profonde angosce depressive o persecutive e che tale occultamento abbia in sé grande probabilità di predisporre colui che lo fa a distorsioni gravi nell’esame di realtà e quindi a non trovarsi nelle condizioni di poter prevedere correttamente le conseguenze possibili dei suoi atti»14. La guerra allora, nel suo significato di elaborazione paranoica del lutto, sarebbe la difesa estrema ad angosce depressive e persecutorie e la dottrina di McNamara, l’espressione di una “paranoia vera e propria”. Quindi, per ricordare Melanie Klein, un primo e semplice meccanismo di difesa dell’Io nella fase schizo-paranoide verrebbe enormemente ingigantito ed espresso, tramite la guerra, come un maldestro tentativo terapeutico di curare le angosce psicotiche collettive14-16. Alla luce di tali considerazioni, importante e politicamente forte appare la sottolineatura che Fornari fa della responsabilità del singolo nella guerra e della sua “alienazione nello stato”, richiamandoci a un impegno individuale e politico sempre, e soprattutto in questi angosciosi mesi.




Nel carteggio tra Freud e Einstein in “Warum Krieg”, del 1932, tradotto in “Perché la guerra”, la domanda alla quale i due studiosi provano a dare risposta è: «C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?»17. Già prima della vigilia della seconda guerra mondiale, nel 1915, in “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”, Freud aveva affrontato i temi dell’aggressività, della distruttività e della morte nella loro dimensione collettiva18. Potremmo forse anche pensare la guerra – in quanto espressione potente della pulsione distruttiva, massima spinta alla distruttività pantoclastica – come coazione a ripetere, necessaria all’espressione dell’universale trauma collettivo dell’umanità, trauma transgenerazionale della guerra, modalità processuale di espressione della pulsione di morte?

In quest’ottica, potremmo leggere gli infiniti esempi di eroi, martiri o giovani soldati che hanno gioito e gioiscono nell’“andare in guerra” o al fascino per la guerra di alcuni condottieri. Un esempio, tra tutti, quello del generale Patton: «Un uomo che faceva poco per nascondere che amava la guerra e lui stesso ammetteva che solo sul campo di battaglia riusciva a esprimere se stesso; nei periodi di pace era lui stesso infatti a dichiarare di vivere un profondo disagio che lo rendeva quasi un disadattato»19. Su questo aspetto, la letteratura classica può venirci incontro. Sembrerebbe proprio che la vita necessiti della morte per poter esprimere il desiderio. Solo rischiando la vita stessa quest’ultima assume valore. Ed è proprio in questo impasto pulsionale, tra pulsione di morte nella sua componente distruttiva e pulsione di vita, attrazione/repulsione4, che possiamo trovare la fonte della gioia della guerra, dell’“andare in guerra”: è dal godimento inconscio della guerra che si libera la pace come causa del desiderio. Dopo Ettore, Achille, Paride, dopo di loro, i giovani continuano a desiderare la guerra, i loro corpi sono presi e straziati in un ritorno a una unione cosmica che li rende parte di un tutt’uno: «Come cade una quercia o un pioppo o un alto pino, che i falegnami sui monti tagliano con le bipenni affilate per farne una cinghia; così giacque disteso davanti al carro e ai cavalli, rantolando e stringendo la polvere insanguinata»20. Il fascino per la guerra sembra trovare un corrispettivo, in termini poetici, nelle parole di Bespaloff quando afferma: «La guerra stessa è la via che conduce all’unità nel gigantesco divenire che crea, disintegra, ricrea i mondi, le anime e gli dei. Alla vita che divora essa restituisce un’importanza suprema. Giacché la guerra ci toglie tutto, quel Tutto, che si fa di colpo presente attraverso la tragica vulnerabilità delle singole esistenze di cui è composto, diventa inestimabile». E ancora: «Costretto a essere forte o a morire, l’uomo scopre un modo nuovo, più ardito, più ostinato, di amare la vita». Ma, a questa visione ineluttabile e tragica, non possiamo non contrapporre la speranza impegnata che echeggia nelle parole di Freud: «Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra»17.

Bibliografia

1. Guerra. La Piccola Treccani, vol. V. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995.

2. Bouthoul G. Le guerre – Elementi di Polemologia. Milano: Longanesi Edizioni & C, 1961.

3. Martini G, Pierri M, Romano S. Introduzione a Focus. Rivista di Psicoanalisi 2023; 69: 163-74.

4. Campanile P. «Perché guerra?» o «perché la guerra?». Il quinto passo compiuto da Freud. Rivista di Psicoanalisi 2023; 69: 175-90.

5. Sarno M. Una nota su Franco Fornari e la guerra. Rivista di Psicoanalisi 2023; 69: 191-204.

6. Neri C. Rancore. Rivista di Psicoanalisi 2023; 69: 205-10.

7. Dei F. “Warum Frieden”: i regimi morali della guerra. Rivista di Psicoanalisi 2023; 1: 211-22.

8. Scotto di Fasano D. Intervista a Paolo Rumiz. Oggi mi toglie il sonno questo odore fetido di guerra. Rivista di Psicoanalisi 2023; 69: 223-42.

9. Lorenz K. L’Aggressività. Il cosiddetto male. Milano: Il Saggiatore, 2021.

10. Fromm E. Anatomia della distruttività umana. Milano: Mondadori, 1981.

11. Freud S, Ferenczi S, Abraham K, Simmel E, Jones E. Prefazione di Vegetti Finzi S. Psicoanalisi e guerra. Milano: Mimesis Edizioni, 2021.

12. Biondi M, Iannitelli A. CoViD-19 e stress da pandemia: “l’integrità mentale non ha alcun rapporto con la statistica”. Riv Psichiatr 2020; 55: 131-6.

13. Bespaloff R. Sull’Iliade. Milano: Adelphi Edizioni, 2018.

14. Fornari F. Psicanalisi della guerra. Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1966.

15. Riolo F (a cura di). Teorie psicoanalitiche a confronto. Un’indagine assiomatica. Rivista di Psicoanalisi 2021; 67: 791-965.

16. Camassa P, Bongiorno D, Bruno C, et al. Melanie Klein. Rivista di Psicoanalisi 2021; 68: 866-80.

17. Freud S, Einstein A. Riflessioni a due sulle sorti del mondo. Nuova edizione di “Perché la guerra?”. Torino: Bollati Boringhieri Editore, 1989.

18. Freud S. Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. OSF vol. 8. Torino: Bollati Boringhieri, 1978.

19. Riggi F. I grandi condottieri della seconda guerra mondiale. Roma: Newton Compton Editori, 2021.

20. Omero. Iliade. Milano: Rizzoli, 1999.