Sui rapporti tra incestuosità e distruttività: spunti di riflessione da un caso peritale

Cristiano Barbieri1, Ignazio Grattagliano2

1Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pavia; 2Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione, Università “Aldo Moro” di Bari.

Riassunto. Introduzione. Comportamenti incestuosi sono spesso collocati in costellazioni familiari molto disfunzionali dal punto di vista sia della comunicazione tra i membri, sia dei ruoli e delle aspettative esistenti in famiglia. Il caso presentato rivela tutte queste caratteristiche. Metodi. A partire da un caso peritale, ritenuto di particolare interesse per il tema delle plausibili connessioni tra incestuosità e distruttuvità, gli autori formulano alcune considerazioni di ordine criminologico-clinico e psicologico-forense sui rapporti tra i due elementi. Discussione. La mancata elaborazione di antichi conflitti e di rivalità intrafamiliari, nonché il confronto tra culture ed esperienze di vita molto diverse in costellazioni familiari con simbolizzazioni differenti e, perciò, non consensuali, possono qualificare un contesto altamente “a rischio” per la commissione di reati di particolare distruttività. Conclusioni. Un’attenta ricostruzione storica, antropologica, documentale e l’esame del funzionamento individuale e dell’assetto relazionale dei vari soggetti coinvolti sono le premesse indispensabili per dare un senso complessivo a reati intrafamiliari di particolare complessità e di difficile decifrazione, come quelli esposti nel presente contributo scientifico.

Parole chiave. Abuso sessuale, distruttività, famiglia disfunzionale, incesto, legame invischiante.

On the relationship between incestuousness and destructivity: some reflection from an expert case.

Summary. Introduction. Incestuous behaviors are often placed in family constellations that are highly dysfunctional from the perspective of communication between members and also with regard to the roles and expectations held in the family. The expert case being presented reflects these characteristics. Methods. Beginning with an expert case of particular interest with respect to incestuousness and destructibility, the authors report considerations from a clinical criminological and forensic psychological-psychiatric point of view on the link between the two item. Conclusions. A careful historical, anthropological, documentary reconstruction, the examination of the relational set-up of the various subjects involved, and not only the clinical and psychodiagnostic aspects, are the indispensable premises, in order to make overall sense of crimes in families of particular complexity, difficult to decipher, such as those exposed in the present scientific work.

Key words Confusing bond, destructiveness, dysfunctional family, incest, sexual abuse.

Premessa

Il presente contributo prende spunto da un caso peritale di tentato omicidio, motivato da una relazione eterofila incestuosa zio-nipote e ha lo scopo di fornire alcuni elementi di riflessione sul fenomeno della violenza quale esito dell’interazione tra codici sotto-culturali del contesto sociale, assetti di personalità e tipologie relazionali articolate tra sfera simbolica e dimensione reale. In tali fattispecie, del resto, l’aggressività appare sottesa da un complesso intreccio di fattori bio-psico-sociali riguardanti costellazioni familiari, stereotipi di genere dovuti al ruolo e allo status sociale, legami affettivi di tipo invischiante, nonché problematiche psico-sessuali come quelle incestuose, tanto profonde quanto irrisolte e, proprio per questo, sovente distruttive.

Il caso qui presentato è stato scelto per una duplice ragione: in primo luogo, perché conferma l’esistenza di quel coacervo di fattori di ordine bio-psico-sociale che va a costituire la famiglia incestuosa come “blocco monolitico”1, nel quale le relazioni tra i membri si qualificano non solo per isolamento e autarchia, ma anche per una segretezza che accomuna tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo nel decorso e nelle derive dell’incesto: chi lo vive e non riesce a rivelarlo (come la vittima); chi lo nega o lo mistifica (come il carnefice); chi non riesce a riconoscerlo come tale e a intervenire (come le madri); chi finge di non vedere e di non sapere (come i fratelli)2, con tutte le possibili conseguenze di tipo distruttivo: sul singolo, sulla coppia genitoriale e sul complessivo nucleo familiare; in secondo luogo perché la vicenda sembra porsi in piena continuità di senso e di significato con quella fattispecie incestuosa c.d. “per procura”, nella quale l’identità di genere degli abusatori (del padre e dello zio) si somma alla consanguineità della vittima (la figlia-nipote)3.

Il caso

La ricostruzione della presente fattispecie è basata sulla documentazione giudiziaria inerente il reato di tentato omicidio tra due fratelli (rispettivamente padre e zio della vittima) motivato da un rapporto incestuoso di tipo simbolico tra il primo e la figlia e di tipo reale tra il secondo e la nipote. Tutte le informazioni contenute nel fascicolo processuale (cfr. rilevamenti di polizia giudiziaria con allegati accertamenti tecnici; documentazione sanitaria riguardante la degenza ospedaliera della vittima e i successivi trattamenti terapeutici; consulenza tecnica di tipo medico-legale per la Procura della Repubblica effettuata sulla vittima a sei mesi di distanza dai fatti di causa; verbali di sommarie informazioni rese all’Autorità Giudiziaria dall’imputato, dalla vittima e da tutti i testimoni; verbali d’udienza; sentenza del primo grado di giudizio) sono state poi raffrontate con le conoscenze della letteratura scientifica citata nella bibliografia del presente contributo e nelle maggiori banche dati internazionali (segnatamente: PubMed e BioMed Central).

I fatti risalgono alla seconda metà del secolo scorso; l’ambiente è quello di un paese rurale del Centro-Nord Italia; il nucleo familiare originario è costituito da una coppia di contadini semi-analfabeti, ma padroni di un’ampia proprietà terriera. Dalla loro unione nascono due figli. Il primo, dopo le scuole medie, inizia a lavorare con il padre nell’azienda di famiglia, si sposa con una coetanea e genera altri due figli: un maschio (che seguirà la sua attività) e una femmina (che al contrario studierà fino al conseguimento di un diploma). Il secondo, più giovane, per contrasti con il fratello, di ordine sia economico (divisione dell’asse ereditario), che relazionale (il fratello maggiore avrebbe voluto che lavorasse nella proprietà come “suo” dipendente), emigra all’estero, dove, nell’arco di una ventina d’anni, diventa il padrone di alcuni ristoranti. Tra i due fratelli i rapporti restano formali e rari (telefonate saltuarie, auguri per le festività, ma nulla di più). Tra lo zio (all’estero) e i nipoti (in Italia) i contatti sarebbero stati sempre indiretti, cioè mediati dai genitori.

La ragazza, contrariamente alla volontà del padre – che, dopo le scuole medie, avrebbe voluto farla lavorare nell’azienda agricola come suo fratello –, grazie al sostegno della madre riesce a diplomarsi regolarmente, seppur con un rendimento scolastico appena sufficiente. Tuttavia, rifiutandosi di seguire le indicazioni paterne, ella viene anche criticata, stigmatizzata e associata allo zio, il fratello “traditore” del padre, che aveva sì “fatto fortuna” all’estero, ma che, in concreto, aveva rifiutato la famiglia d’origine e la tradizione lavorativa della stessa.

Dopo il diploma, ella va a conoscere lo zio. Egli è un uomo di mezz’età, che da tanti anni vive in un contesto socio-culturale totalmente diverso da quello di provenienza; in esso, non solo si è affermato sul piano lavorativo, raggiungendo un certo benessere economico, ma ha fatto esperienze di vita che lo avrebbero, a suo dire, “maturato” (per es., convivenze con partner etero-sessuali, esperienze di tipo anche bisessuale, utilizzo sporadico a scopo ricreativo di cannabis e di alcool, etc.).

La nipote è una giovane ragazza proveniente da un ambiente sotto-culturale nel quale il ruolo sociale e il potere economico sono i principali strumenti per qualificare, positivamente o negativamente, non solo lo status, ma anche l’identità personale (durante le scuole medie e superiori, ella non aveva mai assistito a un concerto, non aveva mai visitato un museo, non era mai stata a teatro, perché il padre-padrone ne condizionava la vita, per indirizzarla a lavorare nella proprietà di famiglia).

Lo zio, da un certo punto di vista, la introduce in un mondo tutto diverso e le fa fare esperienze di vita mai provate sino a quel momento (le regala un’auto sportiva; cena con lei tutte le sere nei suoi locali; la porta a teatro, ai musei, ai concerti; la presenta come la “sua figlioccia”, etc.); al punto che, dopo qualche tempo, ella ne diventa l’amante. La ragazza, fino a quel momento, non aveva mai avuto alcuna storia sentimentale, o sessuale, perché i suoi rapporti con il gruppo dei pari erano stati sempre condizionati negativamente dal diktat paterno.

La relazione tra lo zio e la nipote prosegue senza problemi fino a quando ella conosce un cameriere della stessa età, nord-africano, islamico. Gradatamente, il suo legame con lo zio muta, perché si innamora del cameriere, il quale ricambia le sue attenzioni. Lo zio, rendendosi conto di quanto accaduto, accetta il mutamento e riprende i contatti con una sua “vecchia fiamma”, mentre la ragazza inizia a convivere con il nuovo compagno.

Dopo qualche tempo, ella decide di tornare in Italia. Il padre, di fronte alla mutata situazione, non solo rimprovera aspramente la figlia, ma ne aggredisce verbalmente il compagno, anche con insulti di tipo razzista. Quest’ultimo, vuoi per difendersi, vuoi per vendicarsi, svela il pregresso rapporto di tipo incestuoso tra lo zio e la nipote.

Qualche tempo dopo tale rivelazione, il padre telefona al fratello e lo invita a tornare in Italia per “sistemare i problemi della divisione dell’eredità”. Durante il pranzo domenicale, organizzato per celebrare la riunione di tutti i membri della famiglia, scoppia un grave alterco tra i due fratelli: da un lato, il padre accusa apertamente lo zio di aver violentato sessualmente sua nipote; dall’altro, lo zio rimprovera al padre tutti i limiti del suo ambiente socio-familiare e tutte le manchevolezze del suo rapporto affettivo ed educativo con la figlia. Nel corso del diverbio, il padre, afferrato un coltello da cucina presente sul tavolo da pranzo, tira un fendente alla gola del fratello e gli provoca la lesione sub-totale del nervo ricorrente destro.

La Procura della Repubblica è inizialmente convinta che l’aggressione sia stata originata dal conflitto derivato dalla divisione della proprietà e, prima del rinvio a giudizio dell’indagato, cioè del padre, dispone una consulenza tecnica finalizzata alla diagnosi differenziale tra la lesione personale grave e il tentato omicidio. Durante tale consulenza, però, emergono tutti i retroscena della vicenda incestuosa.

Discussione

Non si entra nel merito delle problematiche di ordine diagnostico-differenziale tra fattispecie di reato diverse, ma contigue, lesione personale grave versus tentato omicidio, già oggetto di un precedente approfondimento4, ma, partendo dal caso presentato, si intende proporre qualche spunto di riflessione sui rapporti tra incestuosità (cioè dimensione incestuosa) e aggressività (cioè forza distruttiva), con peculiare riferimento a determinati ambienti socio-culturali.

I contesti dell’incesto, le famiglie incestuose e i legami invischianti

Uno dei paradigmi di lettura dell’incesto disegna uno scenario familiare nel quale la lontananza e il distanziamento dalla vittima diventano fattori determinanti nella costruzione del rapporto incestuoso, in quanto l’abusante la vede come un nuovo oggetto sessuale5-7. Sovente, si tratta di soggetti poco capaci di stabilire relazioni significative all’esterno della famiglia; dato, questo, assai importante, perché i legami deboli favoriscono la cristallizzazione dei ruoli e dei comportamenti, nonché la riproduzione dei codici familiari disfunzionali nella comunicazione interpersonale, come nel caso esaminato. La rigidità cognitiva, la sospettosità, la mancanza di abitualità alle relazioni, all’ascolto, al sentire l’altro con i suoi sentimenti e con le sue emozioni, ne impedisce la reale comprensione; al punto che la colpevolizzazione della vittima stessa, alla fine, ne condiziona il comportamento8. Pertanto, le situazioni di violenza intra-familiare e, in particolare, di incesto diventano così «un brodo di cultura per i sentimenti di colpa e vergogna»9. In altri termini, costituiscono un sistema nel quale mancano veri legami affettivi; tant’è che il padre che commette incesto è generalmente un uomo instabile, privo di autocontrollo, con complessi di inferiorità che gli impediscono di instaurare relazioni valide con i suoi pari e lo portano a fallire nell’espletamento dei compiti e delle funzioni dell’età adulta, fino a confondere i ruoli all’interno della famiglia10. Con e nell’incesto, perciò, l’adulto tramuta in realtà il sogno infantile di sedurre il genitore. Infatti, mentre il minore può solo fantasticare comportamenti sessuali o incestuosi, gli adulti invece devono comprendere la differenza tra i fantasmi infantili e la concretizzazione degli stessi, decifrandone il significato effettivo e assumendosi la responsabilità di non consentire il passaggio all’atto.

Nel nostro caso, sappiamo che i problemi per la ragazza sono iniziati nel periodo adolescenziale, quando le sarebbe stato assegnato un destino dal quale, in qualche misura, ella avrebbe tentato di affrancarsi sull’esempio dello zio, che a suo tempo era riuscito ad autonomizzarsi dal retaggio familiare, a differenza del fratello, cioè del padre-padrone. Questo dato pare meritevole di adeguata attenzione in quanto la vicenda sembra rinviare vuoi a un incesto verificatosi realmente e giocato tutto sulla seduzione nel rapporto tra zio e nipote, vuoi a uno di tipo fantasmatico, simbolico e non consumato tra padre e figlia L’adolescenza, del resto, è l’epoca del cambiamento, della trasformazione e, volendo usare una metafora, può essere paragonata a un “viaggio”; viaggio verso l’ignoto, verso “l’altro da sé”, rappresentato dal mondo degli adulti che affascina e, al contempo, spaventa11. Infatti, nelle società tradizionali il passaggio all’età adulta avveniva attraverso riti iniziatici, che riconoscevano non tanto la pubertà fisiologica, quanto quella sociale, accompagnando il minore all’assunzione del ruolo di adulto. Spesso erano esperienze cruente (per es., si basavano su lesioni, mutilazioni, privazioni, oppure allontanamenti dal nucleo genitoriale e affidamento ad anziani saggi, il cui il compito era quello di trasmettere l’arte del vivere attraverso l’esperienza del freddo, del silenzio, del buio), ma finalizzate a offrire al/alla ragazzo/a la possibilità di mettersi alla prova e, quindi, di sentirsi e di essere considerato degno di entrare nel mondo degli adulti. Rappresentavano dunque il viaggio verso la crescita e l’autoconoscenza.

Nella società attuale, al contrario, non sono più istituzionalizzati né riti iniziatici, né cerimonie pubbliche per sancire l’ingresso nel mondo adulto, se si escludono forme di ritualità autoreferenziali e frammentate, elaborate dagli stessi ragazzi, ma che non hanno riconoscimenti precisi e collettivi; a eccezione, forse – e ciò riporta a quanto avvenuto nel caso giunto alla nostra osservazione –, dell’inizio dei rapporti sessuali; nel senso che il primo rapporto sessuale può assumere la valenza di un rito iniziatico, in quanto simbolizza il passaggio dall’autoerotismo alla sessualità condivisa, realtà fino a quel momento ignota, in quanto proibita; inoltre, può anche rappresentare una prova generale per la conferma della propria identità di genere12-16.

In quest’ottica, si richiama altresì il fatto che, spesso, il vissuto delle vittime di incesto è quello di essere “il collante unico” della famiglia, tenuto conto che questa è anche la sorgente dell’identità dei singoli membri, cioè il contesto nel quale si originano e si fondono le varie e complesse sfaccettature dello status, del ruolo e delle aspettative individuali, nonché la sede dove avvengono processi di omologazione psico-sociale tramite le relazioni inter-soggettive. Infatti, nel caso in oggetto è la vittima che fa incontrare i due fratelli (rispettivamente autore e vittima del reato), che si riuniscono grazie a lei, sia pur con un esito drammatico per tutti i membri della famiglia; esito che rappresenta il portato di conflitti tanto vecchi, quanto mai sopiti, cioè di rancori che si ravvivano ed esplodono nuovamente a causa della figlia/nipote.

L’espansione del senso di colpa, come nei casi di incesto, mette in crisi l’Io della vittima ed è fonte di angosce continue. Sappiamo, del resto, che ogni desiderio amoroso, anche e soprattutto quello di natura perversa, tende alla fusione totale con l’altro e verso l’altro come diverso da sé, che può riassumersi nel detto: “ti amo perché sei altro da me, ti odio perché sei non me”. Le situazioni incestuose, in particolare, esemplificano molto bene tali dinamismi. Se, infatti, nei casi di stupro c.d. ordinari la vittima si sente estranea a qualsiasi rapporto con l’aggressore, in quelli di incesto la stessa si trova in una relazione molto più complessa con il partner con cui ha rapporti sessuali e, anche quando sente di odiarlo – sebbene questo non si verifichi sempre –, non può non provare tensioni contrastanti e sentimenti ambivalenti; tant’è che, quando la vittima percepisce la gravità di ciò che le è accaduto, inevitabilmente si sente coinvolta e, se rivela la sua esperienza, la reazione degli altri membri (per es., la madre, i fratelli, i parenti, che la accusano di essere la vergogna della famiglia) rischia di “bloccarla” e di “fissarla”, cioè di confermarla nei suoi sensi di colpa e nei processi di stigmatizzazione ed esclusione dall’ambito familiare. Anche laddove si insista nel decolpevolizzarla e nell’indicarle come il partner sia l’effettivo responsabile, o come la famiglia sia collusiva e complice con l’aggressore, dentro di lei resta comunque un quid che le ricorda anche la sua responsabilità, specialmente quando sentimenti, emozioni, pensieri e corporeità sono entrati in gioco in un impasto assai pericoloso. Addirittura, appare peggiore l’eventualità nella quale la reazione si traduca nel silenzio del contesto familiare, silenzio che potrebbe essere letto come il disperato tentativo se non di negare, quantomeno di occultare, o al limite di dimenticare ciò che è successo.

Inoltre, com’è noto17, la sessualità adulta (come linguaggio della passione) costituisce una violazione del mondo infantile (come linguaggio della tenerezza), perché ciò che nell’amore di un adulto sorprende e spaventa il bambino è appunto l’odio. Nei casi di abuso intrafamiliare, del resto, la realtà dell’adulto irrompe nella delicata struttura psichica del minore e fa cortocircuitare la differenza sottile, ma fondamentale, tra pensiero e azione, tra fantasia interna e realtà esterna, tra desiderio e realizzazione. Questo cortocircuito è aggravato da una confusione tra i desideri propri e quelli altrui, con la conseguenza che è la vittima, in genere, a vivere il senso di colpa al posto dell’aggressore. Da questo punto di vista, perciò, la condotta erotica dell’adulto sul minore risulta qualificabile come perversa, perché in essa le differenze fondamentali vengono negate e abolite, segnatamente a quelle di sesso e di generazione18,19. In questa prospettiva, all’introiezione del senso di colpa dell’adulto da parte del minore, provocato dall’identificazione del primo con il secondo, si aggiunge l’angoscia prodotta dalla minaccia dell’abbandono, poiché la scoperta dell’incesto e la separazione dovuta all’allontanamento dell’aggressore e/o all’istituzionalizzazione della vittima integrano pur sempre la tanto temuta dissoluzione del nucleo familiare.

Il binomio incesto-aggressività

L’incesto e l’aggressività, segnatamente quella intrafamiliare, sono due facce della stessa medaglia, nel senso che non vi può mai essere il primo in assenza della seconda e viceversa. Infatti, pur premettendo che il caso presentato non integra il reato di incesto, poiché il rapporto giuridico tra l’aggressore e la vittima è di parentela in linea collaterale di terzo grado, ma non di affinità in linea retta, né di ascendenza, né di discendenza*, esso esemplifica pur sempre sia quella dimensione “incestuale” nella quale la violenza «attacca in profondità la qualità propria degli esseri, nei loro corpi e nella loro psiche, nella loro autonomia e nella loro identità, nei loro bisogni e nei loro desideri»20, sia quella «sottocultura che confonde la forza con la violenza, la virilità con l’ipersessualità, l’autorevolezza con l’autoritarismo», per cui «il problema non è sessuale, ma di violenza esercitata dall’adulto padrone su moglie e figlie e trasmessa – come valore culturale da imitare – ai figli»21,22.

Pertanto, atteso che il fenomeno dell’incesto risulta molto più ampio e molto più complesso del reato d’incesto, come ben illustrato dal caso in esame, interpretazioni più recenti tendono a vedere nella condotta incestuosa un tentativo di riaffermare la propria supremazia nell’ambito familiare, una violenta rivendicazione di potere, oltre che un’espressione di problematiche sessuali. Molteplici possono essere le ipotesi e le chiavi di lettura di un simile comportamento, che evoca aspetti primitivi e arcaici. Per Horney (1932), tipico dell’uomo sarebbe appunto il terrore di essere rifiutato e deriso, terrore connesso a un’angoscia di inadeguatezza sessuale, emotiva, economica, per cui gratificazione e indipendenza sarebbero ottenute dal medesimo con il controllo della donna23.

Non va comunque dimenticato che la costellazione di potere appare rovesciata nella visione junghiana del patriarcato, nella quale l’Anima, figura simbolica femminile nell’uomo, respinta dall’uomo e proiettata nella donna, rende quest’ultima più potente sotto forma di “Grande Madre”, lasciando così l’uomo in veste di bimbo, cioè in una situazione nella quale si assiste a un capovolgimento di potere e di dipendenza; di conseguenza, l’uomo potrebbe affermare il suo dominio svalutando sadicamente la donna.

D’altro canto, Freud24 ha evidenziato come l’interdizione dell’incesto rappresenti il nucleo attorno al quale si articola il complesso edipico e, successivamente, la sua risoluzione. Se la prima scelta oggettuale del bambino è certamente incestuosa, poiché è indirizzata verso un partner proibito (padre, madre), in seguito questo desiderio, lecito e necessario per lo sviluppo della personalità del minore stesso, dovrà trasformarsi: l’oggetto d’amore dovrà necessariamente essere un “Altro”, ricercato all’esterno della famiglia. Ecco perché nel gruppo totemico vigono diversi tabù, cioè molteplici divieti, tra i quali quello di non contrarre matrimonio se non all’esterno del gruppo. In caso contrario, la comparsa di una serie di nefaste conseguenze, in tutti i soggetti coinvolti nell’esperienza, diventa una drammatica realtà, bene descritta in letteratura25-29; secondo questa, del resto, nelle vittime di incesto può svilupparsi ogni tipo di disturbo psichico (da quelli depressivi, al disturbo da stress post-traumatico; da quelli emotivi, a quelli sessuali; da quelli alimentari, a quelli c.d. psicosomatici), oltre che fisico (per es., malattie sessualmente trasmesse, diverse tipologie di lesività organica, gravidanze non pianificate), unitamente a situazioni psico-sociali di rilievo comunque clinico (per es., interruzione più o meno volontaria delle gravidanza stessa; nella prole nata da incesto, significativo rischio di comparsa di emofilia, malattia di Tay-Sachs, sordità, etc.).

Un’ulteriore traiettoria di riflessione sul binomio incesto-aggressività è rappresentata dal ruolo dell’altro genitore, segnatamente della madre nei casi di incesto padre-figlia. Spesso queste madri sono state anch’esse vittime di violenze e per questo non sono in grado di accorgersi dell’abuso sessuale che subiscono i figli e di difenderli efficacemente30. Oppure risultano “madri collusive”, perché la loro distanza emotiva può giocare un ruolo di stabilizzazione e di rafforzamento del legame incestuoso; al contrario del padre, che appare una figura più affettiva, dalla quale cercare amore; tant’è che la bambina rimane vittima di questo gioco perverso, del quale percepisce l’illiceità (anche le più piccole la avvertono), ma al quale non può sottrarsi, perché pur sempre costretta. Infatti, in una relazione ipo-affettiva e disempatica con la madre, il tentativo di confidarsi con lei o è sminuito, o è rifiutato. Oppure ancora nell’atto incestuoso può esservi un’esplicita squalifica della figura materna, per cui la bambina gioca a fare la parte della madre con l’adulto, cioè il padre, in una confusione di ruoli, compiti e funzioni che verosimilmente le pregiudicano il raggiungimento di un adeguato assetto identitario, con tutte le possibili conseguenze, di ordine non solo psico-sociale, ma anche clinico31-33. Ecco perché, in qualunque forma l’incesto si consumi, la violenza materna non si esprime tanto con un acting-out, ma piuttosto con un atteggiamento o di rifiuto, o di disinvestimento del figlio, per cui, mentre il soggetto abusante, inserito nella perversione del vincolo, sfrutta a proprio uso e consumo questo disagio, il soggetto collusivo invece rafforza l’iter della violenza agita contro la dimensione di genere34. E proprio a causa di queste dinamiche la violenza può consumarsi per anni, prima che qualcuno, dall’esterno, colga i segnali di disagio della vittima.

Conclusioni

Il fenomeno dell’incesto chiama in causa un divieto così specifico che può essere compreso, secondo alcuni35,36, soltanto superando la sua natura impensabile, le sue molteplici modalità e la sua stessa stigmatizzazione sociale, poiché, se per gli studiosi dell’antropologia della parentela l’obiettivo principale della proibizione dello stesso sarebbe quello di stabilire il principio dello scambio delle donne nel gruppo sociale, le famiglie incestuose esaminate in psicoterapia dimostrerebbero che la condotta incestuosa provoca confusioni simboliche nel sistema di parentela e questa sarebbe la ragione essenziale per cui essa è universalmente proibita36.

Non a caso, è stato osservato37 che l’incesto rappresenta un genocidio dell’identità, perché distrugge la filiazione, il rapporto con il corpo, la sessualità, l’autostima, la fiducia negli altri e inoltre, il più delle volte, condanna al sacrificio coloro che hanno osato denunciarlo, considerando altresì che, in genere, la violenza sessuale intrafamiliare viene celata e che, oltre ai problemi di comunicazione che ne impediscono la rivelazione, la vulnerabilità di chi è affetto da una disabilità costituisce un ulteriore fattore di rischio38.

A tutto questo si aggiunga poi che sarebbe la necessità della miscellanea genetica ad aver contribuito all’instaurazione dell’esogamia e alla proibizione dell’incesto, dal momento che, nella sfera biologica, come in quella psicologica, culturale e sociale, opererebbe il duplice principio di unità/diversità39.

Le conseguenze indotte dalla violenza incestuosa costituiscono quadri clinici diversificati, variabili a seconda dell’età e del contesto, includendo sia fattori di rischio sia di protezione. Più giovane è l’età della vittima e maggiore è il rischio di sviluppare traumi psichici complessi, con numerose comorbilità psichiatriche e somatiche sia nei minori sia negli adulti40,41, comorbilità che spazia dai disturbi dell’umore42 a quelli psicosomatici43, da quelli alimentari44 a quelli sessuali45, da utilizzarsi non solo come indicatori per screening, ma anche in prospettiva terapeutica46.

Nel caso presentato, “dietro” a – ma sarebbe forse più corretto dire “a monte” di – un atto di rilevante aggressività fisica è emerso gradatamente un vero e proprio universo, che, se sul piano simbolico richiama ciò che riguarda la sfera del “perturbante”47, su quello reale integra le diverse dimensioni dell’incesto: da quella del “padre-padrone” (che concepisce i figli come sua proprietà e vorrebbe deciderne il destino in funzione del genere di appartenenza e dell’utilizzo lavorativo nell’ambito intrafamiliare), a quella della “madre collusiva” (che non riesce a spingersi oltre una generica e limitata opera di supporto allo studio della figlia in fase evolutiva); da quella dello “zio viveur” (che, pur emancipandosi dalla famiglia di origine e dai rischi in essa connaturati, sviluppa uno stile di vita tipo stato limite, oscillando tra una polarità narcisistica e una istrionica)48,49, a quella della “figlia affascinata” (che, per cercare di autonomizzarsi dal nucleo familiare, idealizza lo zio quale sostituto paterno e così ne diventa l’amante, salvo poi tentare un affrancamento dallo stesso che la farà però ricadere nel marasma della violenza di matrice incestuosa della famiglia di origine).

Nessuno dei protagonisti si è salvato dagli esiti distruttivi del fenomeno incestuoso: il padre è stato condannato a una significativa pena detentiva per il tentato omicidio del fratello; la madre ha sviluppato una forma depressiva che, con il tempo, si è cronicizzata e l’ha resa, a tutti gli effetti, totalmente dipendente dal figlio, personaggio questo apparentemente marginale nella vicenda, ma anch’egli vittima di un ineluttabile retaggio familiare del quale ha avuto poca o nulla contezza; lo zio, guarito con gravi esiti permanenti, è tornato a vivere all’estero e ha interrotto ogni rapporto con tutti gli altri parenti; la figlia, dopo aver lasciato il compagno, è andata a fare volontariato in un paese straniero. Parrebbe quasi la conclusione di un “noir”, nel quale alla fine nulla può più tornare come prima, perché non c’è mai stato in precedenza un vero e proprio ordine, più o meno consolidato50,51, ma vi erano, quali matrici della distruttività, soltanto ambiguità e confusività mascherate52-54.

La complessiva vicenda, perciò, risulta paradigmatica del fatto che “riprendere a vivere” dopo il caos dell’incesto non è soltanto un “sopravvivere”, ma implica tutta una serie di interventi sia sui fattori di vulnerabilità e di resilienza, sia sulle ferite identitarie provocate da tale esperienza55-57; interventi del tutto assenti nella presente fattispecie, ma sempre e comunque imprescindibili in casi siffatti.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Racamier PC. Il genio delle origini. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1993.

2. Vegetti Finzi S. L’incesto e le conseguenze sull’infanzia. In: Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’infanzia e l’adolescenza (eds). Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. Firenze: Istituto degli Innocenti, 1998.

3. Heritier F. Les deux soeurs et leur mère. Antroplogie de l’inceste. Paris: Edition Odile Jacob, 1994.

4. Barbieri C, Tattoli L, Bosco C, Capello F, Grattagliano I, Di Vella G. Crime as an outcome of conflicts between subcultural and symbolic dimensions. Proceedings of the American Academy of Forensic Sciences, 75th Anniversary Scientific Conference, Orlando (Florida), February 13-18, 2023; XXIX: 808.

5. Mannheim H. Criminal justice and social reconstructions. New York: Oxford University Press, 1946.

6. Weinberg KS. Incest Behavior. New York: Citadel Press, 1955.

7. Thomas E. Le viol du silence. Paris: Aubitier, 1986.

8. Fattah EA. La victime est-elle coupable? Montréal: Press de l’Université de Montréal, 1971.

9. Prandi M. Gli intrecci della colpevolezza nelle situazioni di incesto. In: UDI e Centro Donna Ascolta Donna (eds). Incesto. Atti del seminario 9-10 Maggio 1992. Roma: Udi Romana La Goccia, 1992.

10. Barry RJ. L’inceste, le dernier tabou. Revue Internationale de Police Criminelle 1985; 389: 147-60.

11. Novelletto A, Biondo D, Monniello G. L’adolescente violento. Milano: Franco Angeli, 2000.

12. Erikson E. Gioventù e crisi d’identità. Roma: Armando Editore, 1980.

13. Miller PH. Teorie dello sviluppo psicologico. Bologna: Il Mulino, 1994.

14. Palmonari A. Psicologia dell’adolescenza. Bologna: Il Mulino, 1999.

15. Tonoro G. Adolescenza e identità. Bologna: Il Mulino, 1999.

16. Petrone L, Troiano M. Adolescenza e disagio. Roma: Editori Riuniti, 2001.

17. Ferenczi S. Confusione delle lingue tra adulti e bambini. In: Scritti (1932), Volume III. Rimini: Guaraldi Editore, 1974.

18. Chasseguet-Smirgel J. I due alberi del giardino. Milano: Feltrinelli, 1991.

19. Rossi R. L’enigma dell’incesto. In: UDI e Centro Donna Ascolta Donna (eds). Incesto. Atti del seminario 9-10 Maggio 1992. Roma: Udi Romana La Goccia, 1992.

20. Racamier PC. Incesto e incestuale. Milano: Franco Angeli, 2003.

21. Merzagora I. L’incesto. Aggressori e vittime, diagnosi e terapia. Milano: Giuffrè Editore, 1986.

22. Alberici E, Birkhoff J. Incesto: storia d’amore e di vergogna. Rassegna Italiana di Criminologia 2005; 1: 11-28.

23. Horney K. Psicologia femminile. Roma: Armando Editore, 1973.

24. Freud S. Totem e tabù. In: Musatti CL (ed.). Opere, (1912-1914), Vol. 7. Torino: Bollati Boringhieri, 1977.

25. Dinnerstein D. The Mermaid and the Minotaur. New York: Harper and Row, 1976.

26. Ceccarelli F. Il tabù dell’incesto. Torino: Einaudi, 1978.

27. Caputo I. Mai devi dire. Un’inchiesta coraggiosa che affronta il più scabroso dei tabù: l’incesto. Milano: Corbaccio, 1995.

28. Bal Filoramo L. La relazione incestuosa. Roma: Borla, 1996.

29. Gabel M, Lebovici S, Mazet P. Il trauma dell’incesto. Torino: Centro Scientifico Editore, 1997.

30. Malacrea M. Trauma e riparazione: la cura nell’abuso sessuale all’infanzia. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1998.

31. Monteleone J. Gli indicatori dell’abuso infantile. Gli effetti devastanti della violenza fisica e psicologica. Torino: Centro Scientifico Editore, 1999.

32. Howitt D. Pedofilia e reati sessuali contro i bambini. Torino: Centro Scientifico Editore, 2000.

33. Sgroi SM. Handbook of clinical intervention in child sexual abuse. Lexington: Lexington Books, 1982.

34. Razon L. Le lien mère-fille dans l’inceste: violence et répétition. Neuropsychiatr Enfance Adolesc 2013; 61: 101-5.

35. Ben Salem S, Bras N, Renaudet-Calvo C. Silence around incest victims. Soins 2021; 858: 51-7.

36. Barry A. La confusion des incestes dans les théories et dans la réalité. Essaim 2021; 47: 137-49.

37. Romano H. Incest, a genocidal crime. Rev Infirm 2022; 283: 22-4.

38. Clavagnier I. Disability, a factor of vulnerability to incest. Rev Infirm 2022; 283: 39-42.

39. Lani-Bayle M, Braud M. Comment vivre après l’inceste? Le Journal des Psychologues 2022; 393: 24-3.

40. Thestrup G. Incest and sexual abuse. A retrospective study of 285 persons referred to ambulatory treatment of the consequences of incest and sexual abuse. Ugeskrift for Laeger 2001; 153: 6751-5.

41. Fossard O. Psychopathological consequences of incestuous violence. Rev Infirm 2022; 283: 29-32.

42. Pribor EF, Dinwiddie SH. Psychiatric correlates of incest in childhood. Am J Psychiatry 1992; 1: 52-6.

43. Felitti VJ. Long-term medical consequences of incest, rape and molestation. South Med J 1991; 3: 328-33.

44. Duray C, Nielens N. Séquelles psychopathologiques consécutives aux abus sexuels: mécanismes de prise de conscience et de resilience et impact sur le comportement alimentaire. Acta Psychiatr Belg 2020; 120: 5-17.

45. Zoldbrod AP. Sexual issues in treating trauma survivors. Curr Sex Health Rep 2015; 7: 3-11.

46. Gul H, Gulb A, Yurumezc E, Öncüd B. Voices of adolescent incest victims: a qualitative study on feelings about trauma and expectations of recovery. Arch Psychiatr Nurs 2020; 2: 67-74.

47. Barbieri C, Rocca G, Grattagliano I. L’Unheimilch quale Wegmarken tra Eros e Thanatos. Riflessioni da un singolare caso peritale. Rassegna Italiana di Criminologia 2022; 1: 78-85.

48. Callieri B. Il paziente borderline sulla linea di confine tra mondo isterico e mondo narcisista. In: Sarteschi P, Maggini C (eds). Personalità e psicopatologia. Volume I. Pisa: ETS Editrice, 1990.

49. Callieri B. Il paziente borderline: appunti di psicopatologia e di nosologia. In: Ferracuti F (ed). Trattato di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense. Volume 16 - La psichiatria forense speciale. Milano: Giuffrè Editore, 1990.

50. Barbieri C. Il noir: genere letterario e cinematografico o stile di vita? Per una criminologia noir. In: Verde A, Barbieri C (eds). Narrative del male. Dalla fiction alla vita, dalla vita alla fiction. Milano: Franco Angeli, 2010.

51. Barbieri C. 36 Quai des Orfèvres: esemplificazione narrativa del percorso criminoso dalla gelosia alla vendetta. Rassegna Italiana di Criminologia 2014; 4: 266-76.

52. Barbieri C. La coppia ambigua: dalla confusione affettiva al crimine. Rassegna Italiana di Criminologia 2008; 1: 182-95.

53. Barbieri C, Grattagliano I, Suma D. Il fenomeno della distruttività nella coppia tra perversione e perversità: riflessioni su di una casistica. Rivista Italiana di Medicina Legale e del Diritto in Campo Sanitario 2020; 2: 787-801.

54. Barbieri C, Janiri L, Grattagliano I. Violent relationships or perverse relationships: reflections from the theoretical point of view on a series of cases requiring the evaluation of an expert in forensic psychiatry. Rassegna Italiana di Criminologia 2023; 1: 57-64.

55. Ayoun P. Vivre après le chaos incestueux (pas seulement survivre). Neuropsychiatr Enfance Adolesc 2008; 56: 269-72.

56. de Becker E. Inceste et facteurs de resilience. Ann Med Psychol 2009; 167: 597-603.

57. Mazoyer A-V, Martineau J-P. Traumatisme de l’inceste et destin du féminin. Ann Med Psychol 2011; 169: 383-6.