Psicopatologia esplicativa del disturbo ossessivo-compulsivo:
una veduta postrazionalista
Explicative psychopathology of obsessive-compulsive disorder: a postrationalist point of view
GHERARDO MANNINO
Istituto di Epistemologia Applicata e Scienze della Mente (ISEA), Roma

RIASSUNTO. Mentre la psicopatologia descrittiva del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è ormai ben definita, manca ancora un soddisfacente modello di psicopatologia esplicativa, capace cioè di illustrare i meccanismi psicologici che generano la fenomenologia ossessiva. I principali tentativi di delineare un tale modello si rifanno soprattutto all’approccio noto come terapia cognitiva, secondo cui il DOC sarebbe la conseguenza di una serie di cognizioni disfunzionali (per es., sopravvalutazione del rischio o dell’influenza della propria mente sulla realtà). Secondo il modello cognitivo postrazionalista, invece, alla base del DOC vi sarebbe una caratteristica struttura di personalità ravvisabile non solo in soggetti con DOC ma anche in quelli che mai svilupperanno sintomi. Nei soggetti sintomatici, però, questa organizzazione di personalità (l’Organizzazione di Significato Personale “Ossessiva”) si declinerebbe in modo decisamente più rigido. In particolare, si assiste a una cristallizzazione della cosiddetta attitudine diacronica, nei cui termini si può spiegare gran parte della fenomenologia ossessiva.

PAROLE CHIAVE: disturbo ossessivo-compulsivo, psicopatologia esplicativa, terapia cognitiva, modello cognitivo postrazionalista, diacronia.


SUMMARY. While descriptive psychopathology of obsessive-compulsive disorder (OCD) is now well-established, there is still a lack of a satisfying model of explicative psychopathology that explains the mechanisms that generate obsessive phenomenology. The main attempts to delineate such a model are based on cognitive therapy: according to this approach OCD is a consequence of dysfunctional beliefs (i.e. overestimation of the risk or of the influence of one’s own mind on the reality). On the contrary, according to postrationalist cognitive approach, OCD would be based on a characteristic personality structure, which could be identified not only in patients with OCD but also in those who will never develop symptoms. In symptomatic individuals this organization (“Obsessive” Personal Meaning Organization) is more rigidly structured. In particular, there is crystallization of so-called diachronic attitude, wich is the key to explain most of the symptoms.

KEY WORDS: obsessive-compulsive disorder, explicative psychopathology, cognitive therapy, postrationalist cognitive model, diachrony.
INTRODUZIONE
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), un quadro un tempo ritenuto piuttosto raro, è in realtà un disturbo relativamente frequente, fonte di marcato disagio e a volte decisamente invalidante. A ciò bisogna aggiungere che solo una percentuale di pazienti risponde alla terapia farmacologica (1) e che comunque, anche in questi casi, la risposta appare parziale. Di conseguenza l’intervento raccomandato non si basa solo sui farmaci, ma è costituito da un’associazione di terapia farmacologica e di psicoterapia (generalmente terapia cognitivo-comportamentale) (1).
Per tutte queste ragioni sarebbe estremamente utile disporre di un articolato modello psicopatologico del DOC, capace di guidare lo sviluppo di interventi psicoterapeutici ancora più mirati ed efficaci. Tuttavia, mentre la psicopatologia “descrittiva” del DOC appare da tempo ben definita (2), manca ancora un soddisfacente modello psicopatologico “esplicativo”, capace cioè di illustrare i meccanismi psicologici che generano la fenomenologia ossessiva.
Uno dei primi tentativi di formulare un modello esplicativo del DOC risale a Freud, che a più riprese nel corso della sua carriera ha poi arricchito e modificato le idee iniziali (3-5). A Freud va senz’altro riconosciuto il merito di aver considerato le ossessioni e le compulsioni, non come un fenomeno senza senso, ma come espressioni il cui significato poteva essere decifrato alla luce delle esperienze del paziente, sia precoci che recenti (4). Tuttavia, a fronte di un modello esplicativo piuttosto articolato, di fatto poi la psicoanalisi non ha dimostrato una particolare efficacia nel trattamento di questo disturbo (6).
In tempi più recenti, i tentativi di delineare un modello esplicativo del DOC si sono rifatti, più o meno direttamente, soprattutto all’approccio noto come terapia cognitiva. Infatti, secondo questa veduta alla base dei diversi disturbi emozionali vi sarebbero soprattutto delle distorsioni cognitive capaci di generare delle vere e proprie convinzioni irrazionali (irrational beliefs) o comunque disfunzionali.
Tra gli assunti disfunzionali tipici dei soggetti con DOC vi sarebbero, per esempio, convinzioni irrealistiche circa la propria capacità di influenzare gli eventi esterni (per es., “avere certi pensieri può condurre ad eventi catastrofici”) (7) oppure un’ipervalutazione circa la propria responsabilità (inflated responsibility) intorno a pensieri in realtà innocui e ubiquitari (per es., “pensare di fare qualcosa equivale a farlo” oppure “non prevenire qualcosa equivale ad averlo causato”, ecc.) (8).
Il cosiddetto filone postrazionalista della terapia cognitiva (9) segue, invece, una strada diversa. Infatti, individua, alla base del DOC, non tanto delle specifiche distorsioni quanto piuttosto una caratteristica “configurazione personologica: l’Organizzazione di Significato Personale (OSP) Ossessiva”. Si tratta di una struttura di personalità in realtà ravvisabile anche in soggetti normali ma che nei pazienti si declina però in modo decisamente più rigido che nei primi, rendendoli così predisposti allo scompenso psicopatologico. Questa relativa continuità tra normalità e psicopatologia di una stessa configurazione personologica risalta anche meglio alla luce dell’ultimo inquadramento delle OSP in termini di dimensioni effettuato da Guidano (10) alla fine degli anni ’90. Anche l’organizzazione Ossessiva è stata così concettualizzata in termini nuovi, che non cancellano i precedenti ma li arricchiscono.
L’ORGANIZZAZIONE
DI SIGNIFICATO PERSONALE “OSSESSIVA”
IN TERMINI DI DIMENSIONI
Per effettuare questo nuovo inquadramento, Guidano (10) ha fatto ricorso a due dimensioni psicologiche: l’una già nota in letteratura, la field-dependence/field-independence (11,12) e l’altra inedita, la inwardness/outwardness.
Il concetto di field-dependence/field-independence, in origine, era stato introdotto alla fine degli anni ’40 dallo psicologo americano Herman Witkin per cercare di dar conto dei differenti stili percettivi delle persone e più precisamente della maggiore o minore capacità di un individuo di separare un certo elemento dallo sfondo (o campo) nel quale questo è inserito (11).
Col tempo, però, Witkin et al. avevano ampliato il significato di questa dimensione, estendendone l’applicazione anche all’ambito delle relazioni interpersonali. Infatti, è emerso da una serie di ricerche che i field-independent avrebbero un approccio più impersonale, mostrandosi meno interessati alle opinioni degli altri (da cui si fanno anche meno influenzare), mentre i field-dependent manifesterebbero un approccio più interpersonale, ponendo una grande attenzione ai segnali di carattere sociale e preferendo situazioni interattive (12).
In definitiva, si può dire che i soggetti field-dependent siano caratterizzati da un approccio più affettivo, contestuale e interpersonale mentre, al contrario, i soggetti field-independent manifestino un atteggiamento maggiormente cognitivo, generale e impersonale.
L’altra dimensione, la inwardness/outwardness, si riferisce invece alle modalità di un individuo di mettere a fuoco la propria esperienza: infatti, i soggetti inward avrebbero una lettura di quest’ultima dall’interno, vale a dire in presa diretta, in quanto possiedono emozioni di base (basic feelings) ben definite e vissuti con un forte carico sensoriale; al contrario, i soggetti outward, avendo emozioni basiche meno definite, metterebbero a fuoco la propria esperienza dall’esterno, ricorrendo quindi a un punto di vista e a criteri esterni (10).
La differenza tra polarità inward e polarità outward si comprende ancora più facilmente se si fa riferimento alla diversa modalità con cui un individuo può attuare la propria regolazione emozionale: infatti, i soggetti inward, avvertendo stati emozionali univoci e definiti, si troverebbero impegnati soprattutto nella gestione degli aspetti quantitativi dell’attivazione emozionale (intensità, andamento temporale, ecc.) (13), mentre – al contrario – i soggetti outward, dovendo fronteggiare stati emozionali meno univoci e definiti, si troverebbero impegnati soprattutto in un lavoro di interpretazione di questi ultimi (14).
Ora, se si dispongono in un piano le due dimensioni fin qui descritte in modo che siano l’una ortogonale all’altra, ne risulta uno schema grazie al quale ogni OSP è prontamente individuata sulla base della polarità posseduta su ciascuna delle due dimensioni: in questo modo, per esempio, l’OSP “Ossessiva” risulterà caratterizzata dalle polarità outward e field-independent.
In pratica ciò significa che, secondo questa veduta, un soggetto con OSP “Ossessiva” avrà, a un tempo, degli stati emozionali poco definiti e che avranno bisogno per essere interpretati di un ricorso a criteri esterni (outwardness) e un tipo di regolazione emozionale basato soprattutto su modalità cognitive e impersonali (field-independence). Alla luce di questa particolare combinazione di polarità diventa piuttosto immediato capire meglio una serie di caratteristiche dell’OSP “Ossessiva”: per es., il perché dei possibili dubbi che un soggetto ossessivo nutre circa i propri vissuti (outwardness) così come la sua necessità di interpretarli alla luce di una serie di principi generali di ordine morale o giuridico (field-independence).
È evidente, quindi, come questa formulazione in termini di due dimensioni permetta di compiere un notevole salto di astrazione nella comprensione dell’OSP “Ossessiva” (così come naturalmente nella comprensione anche delle altre OSP). Per di più, si tratta di un inquadramento suscettibile di ulteriori ampliamenti.
LA DIMENSIONE “DIACRONIA/SINCRONIA”
Di recente, per esempio, per dar meglio conto di ulteriori analogie tra le diverse OSP, è stata proposta un’ulteriore dimensione: la “Diacronia/Sincronia” (15,16). Si tratta di un concetto che prende in considerazione il diverso modo con cui si può articolare la dinamica tra la necessità di avvertire una continuità della propria esperienza (e in definitiva della propria immagine di sé) nel corso del tempo e il bisogno di avvertirne anche un’unitarietà momento per momento.
Ora, un primo gruppo di soggetti, quelli con attitudine “diacronica” (dal greco dia cronos= attraverso il tempo), nel riferire la propria esperienza a sé, darebbe la precedenza a quegli elementi che hanno sperimentato come stabili. Di conseguenza anche l’immagine di sé viene a essere ancorata agli ingredienti persistenti nel tempo. Al contrario, un secondo gruppo di soggetti, quelli con un’attitudine “sincronica” (dal greco sin cronos= nello stesso tempo), tenderebbe a privilegiare l’unitarietà della propria esperienza e dell’immagine di sé momento per momento, piuttosto che la continuità nel tempo di singoli ingredienti.
Ora, se alle due dimensioni proposte da Guidano (inwardness/outwardness e field-dependence/field-independence) si aggiunge la nuova dimensione “Diacronia/Sincronia”, avendo cura di disporre le tre dimensioni l’una ortogonale all’altra, si ottiene una griglia tridimensionale che individua otto nuovi spazi . Quattro di questi corrispondono alle OSP finora individuate.
In questo nuovo schema, l’Organizzazione “Ossessiva” risulta ora individuata dalle polarità outward, field-independent e diachronic. Le principali caratteristiche che contrassegnano l’attitudine diacronica sono: il bisogno di continuità, il monitoraggio di singoli ingredienti esperienziali, la ricerca del controllo su di sé, l’enfasi sulla previsione, l’evitamento di situazioni potenzialmente perturbanti, il turbamento di fronte a una percepita discontinuità, le verifiche volte a raggiungere una certezza su chi si è.
Nel caso dell’OSP “Ossessiva”, il “bisogno di continuità” – principale contrassegno della polarità diacronica – si manifesta soprattutto sotto forma di una “ricerca di coerenza” dell’immagine di sé, così come di una verifica – protratta nel tempo – della rispondenza dei propri vissuti e dei propri comportamenti a regole morali internalizzate (16).
Di fronte a emozioni impreviste e ai relativi scenari immaginativi, il soggetto con questa OSP sperimenterà tendenzialmente una “perdita di controllo”: ciò, in particolare, si verificherà ogni qual volta avvertirà le nuove emozioni come difficilmente “conciliabili” con quelle avvertite in precedenza. Naturalmente non si tratta tanto di una vera incompatibilità, quanto piuttosto di una difficoltà del soggetto – sottesa dall’attitudine analitica e field-independent – a integrare vissuti diversi in un quadro unitario. In ogni caso, la reazione al mutamento sperimentato sarà soprattutto in termini di dubbi circa quale sia lo stato “vero”, vale a dire se l’attuale o il precedente. A questo punto, al fine di riguadagnare il controllo su di sé (un’altra evidente caratteristica della diacronia), il soggetto si impegnerà in una serie di verifiche volte a comprendere chi è veramente e cosa sente davvero (16). Un esempio può essere utile a illustrare il concetto.
Caso clinico 1
Ragazzo di 27 aa, da diversi anni affetto da DOC. Appassionato di storia naturale, segue con assiduità un programma tv sull’argomento.
Una sera, in cui è particolarmente stanco, nota che ha poca voglia di guardare la sua trasmissione preferita; legge però questo fatto come segno di un inequivocabile quanto inspiegabile calo di interesse. E subito prende a interrogarsi su quale sia il suo “vero” stato: quello attuale (e quindi prima si ingannava) oppure il precedente (e dunque si sta ingannando adesso)?

Un’ultima conseguenza della diacronia, l’enfasi sulla previsione, si manifesterà soprattutto tramite l’esplorazione mentale di tutta una serie di “scenari negativi” e mirerà a evitare tutte quelle situazioni potenzialmente in grado di suscitare le emozioni temute, e cioè quelle potenzialmente in grado di suscitare un senso di incoerenza.
Ora, cosa succede se l’attitudine diacronica, anziché declinarsi in modo sufficientemente flessibile, come succede nei soggetti con un’OSP “Ossessiva” che non andranno mai incontro a uno scompenso psicopatologico, si irrigisce e si cristallizza? È facile prevedere che a questo punto, di fronte a esperienze emotive inedite e perturbanti, potrà fare la sua comparsa proprio una serie di fenomeni riconducibili al DOC.
Per comprendere come ciò accada bisogna prima fare un cenno alla concezione postrazionalista dello scompenso psicopatologico in generale.
IL DOC COME CONSEGUENZA DI UNA RIGIDITÀ DELL’ATTITUDINE DIACRONICA
Secondo l’approccio postrazionalista alla base dello scompenso psicopatologico vi sarebbe soprattutto una difficoltà da parte del soggetto ad assimilare all’interno della propria trama narrativa (e di conseguenza anche all’interno della propria immagine di sé) esperienze inedite e perturbanti (9). A essere in gioco, tuttavia, non sarebbe tanto una difficoltà in termini assoluti quanto piuttosto una sorta di sbilanciamento relativo tra il carico emotivo di un’esperienza perturbante, da un lato, e le capacità di assimilazione del soggetto, dall’altro. Vale a dire, un soggetto – di fronte a esperienze intense e inedite che per le loro caratteristiche perturbanti richiederebbero in realtà un incremento della “articolazione” e della “flessibilità” narrativa per essere assimilate – va incontro a uno scompenso proprio quando non appare in grado di compiere questo ulteriore passo.
A questo punto, ci si può chiedere in che cosa consista questa difficoltà. Ora, è probabile che ogni essere umano di fronte a un inedito carico emotivo tenda comunque in prima battuta a ricorrere alle strategie già collaudate e in passato dimostratesi efficaci. Nel caso, però, queste strategie stavolta si mostrino inadeguate, la maggioranza degli individui le renderà più flessibili e articolate. Tuttavia, una minoranza di persone accentuerà, invece, il ricorso alle medesime strategie impiegandole solo in modo più frequente e più intenso. Con questo secondo approccio, tuttavia, i soggetti finiranno proprio con l’aggravare la situazione che vorrebbero superare, andando così incontro a uno scompenso psicopatologico. Come esempio si può pensare a qualcuno che – volendo trarre via la propria automobile da una pozza di fango in cui è impantanata – insista solo nel premere l’acceleratore, con la prevedibile conseguenza che la vettura affonderà ancora di più (16).
In definitiva, si potrebbe affermare che un individuo va incontro a uno scompenso psicopatologico quando – di fronte a un inedito problema esistenziale – ricorre in modo troppo rigido e ripetitivo alle abituali strategie del passato al punto che queste, da funzionali che erano in precedenza, diventano perfino disadattative.
Ora, come si applica tutto ciò al caso del DOC? Per mostrarlo, anziché prendere in considerazione tutte le polarità che caratterizzano l’OSP “Ossessiva”, conviene per semplicità concentrarsi sulla sola polarità diacronica (pur se è evidente che allo scompenso contribuirà anche la rigidità delle altre due polarità). Ora, è evidente che un un soggetto con un’attitudine diacronica, anche di fronte a un intenso e inedito carico emotivo, cercherà di salvaguardare la continuità nell’immagine di sé. Tuttavia, se questa attitudine verrà utilizzata in modo troppo rigido, essa – proprio in quella critica condizione esistenziale – smetterà di essere funzionale e di garantire la continuità cui mira.
Caso clinico 2
Uomo di 40 aa, con OSP “Ossessiva”.
I problemi iniziano quando, sul luogo di lavoro, comincia ad avvertire una crescente attrazione per una collega, cui riconosce una dolcezza che gli sembra sconosciuta alla moglie.
Dapprima, cerca di mantenere una continuità nell’immagine di sé, svalutando questi sentimenti come “capricci” passeggeri, mantenendo così un senso di padronanza di sé e di integrità. Tuttavia, allorché il coinvolgimento diventa più profondo, inizia ad avvertire l’attivazione emotiva – non ancora integrata – come “estranea” e disturbante, al punto che comincia a cercare di scacciare dalla mente le immagini a essa connesse ma senza riuscirvi: a questo punto fanno la loro comparsa ossessioni e ruminazioni.

Di conseguenza, si può interpretare il DOC soprattutto come la conseguenza di un tentativo di un soggetto con OSP “Ossessiva” di salvaguardare una continuità minacciata o di ripristinare una continuità ormai compromessa. Per comprendere meglio questo punto, basti pensare alle principali manifestazioni del DOC.
Le “ossessioni”, per esempio, possono essere interpretate come una conseguenza di temi emotivi che, in quanto hanno prodotto una discontinuità nell’immagine di sé, non sono stati ancora assimilati. Proprio per questo loro carattere di discontinuità sono avvertiti anche come egodistonici. Inoltre, dato l’inevitabile persistere dell’attivazione (conseguenza della mancata integrazione), malgrado il tentativo del soggetto di allontanarli, i temi – sotto varia forma – si riaffacciano continuamente in coscienza venendo esperiti come fenomeni intrusivi.
Le “ruminazioni” consistono in un pensare insistente ed estenuante, spesso nel tentativo di dirimere un dubbio. Possono essere interpretate come uno strenuo tentativo di preservare, nella propria esperienza e nell’immagine di sé, una coerenza che il soggetto sente minacciata.
Per quel che riguarda le “compulsioni”, bisogna innanzitutto ricordare che esse abbracciano due principali categorie: rituali di lavaggio (eseguiti dai cosiddetti washers) e quelli di controllo (messi in atto dai cosiddetti checkers) (2). I due tipi di compulsione hanno una genesi, almeno in parte, diversa.
I “controlli”, all’inizio, sono eseguiti per sincerarsi di non aver commesso un qualche “danno” nel passato recente. In questo caso, quindi, servono a rassicurarsi che la coerenza non sia andata perduta. Le successive ripetizioni a oltranza, però, sembrano – nella maggior parte dei casi – una conseguenza del fatto che il tipico paziente con DOC, essendo outward, presumibilmente non ricorda – anche di un gesto che ha appena compiuto – tutte le sensazioni cenestesiche che l’hanno accompagnato e di conseguenza avverte il bisogno di eseguire più e più volte il gesto in questione: in questo caso, il controllo (17). Di conseguenza, questo tipo di rituale ha un significato analogo alle “ruminazioni” con cui il soggetto cerca di dirimere i dubbi, e cioè quello di verificare che la coerenza non sia andata perduta. Ed è per questo che spesso “dubbi”, “ruminazioni” e “controlli” sono associati negli stessi pazienti ( checkers).
Per comprendere i rituali di “lavaggio”, invece, bisogna riflettere innanzitutto sul concetto di rituale da un punto di vista antropologico: infatti, si può facilmente riconoscere che tra gli esseri umani delle più diverse culture il rituale ha comunque la funzione di “segnare” un passaggio, vale a dire la chiusura di un’epoca e l’inizio di un’altra. E anche nel DOC i rituali sembrano avere un significato analogo: infatti, nella maggioranza dei casi, i rituali di “lavaggio” sono eseguiti quando il soggetto sente irrimediabilmente compromessa la coerenza dell’immagine di sé, malgrado i suoi strenui tentativi di conservarla, allo scopo di creare – almeno da quel momento in poi – una nuova e intatta coerenza. In altri termini, si tratta di un modo con cui il paziente cerca di “azzerare il cronometro” per poi “iniziare da capo”. È evidente che il tentativo sarà comunque destinato al fallimento perchè la nuova coerenza sarà presto intaccata dall’inevitabile riemergere delle emozioni perturbanti non assimilate, che produrranno così un nuovo senso di discontinuità: da qui il bisogno di effettuare ulteriori rituali, con il risultato che l’iniziale segmentazione dell’esperienza sarà seguita da un’ulteriore segmentazione su scala sempre più piccola (16).
Un’altra categoria di compulsioni, quelle di “accumulo” (hoarding), sembra invece essere volta al futuro, cioè a proteggere l’avvenire dall’emergenza di emozioni perturbanti. Infatti, una delle principali motivazioni che spinge un ossessivo ad accumulare è l’evenienza che un qualche oggetto, che adesso egli è tentato di gettare via (perchè apparentemente inutile), in un futuro si riveli invece necessario. Se una circostanza del genere si verificasse, ecco che il paziente sperimenterebbe una percezione di sé assai negativa, cioè quella di una persona “superficiale”. Ed è proprio per evitare di essere colto alla sprovvista da una tale emozione che il soggetto è spinto ad accumulare.
Un altro fenomeno, cui viene prestata una crescente attenzione per la sua specificità diagnostica – in quanto sembra essere piuttosto caratteristico del DOC e non di altri disturbi d’ansia (18) – è costituito dalle quelle sensazioni, riferite di frequente dai pazienti, di aver compiuto qualcosa “non nel modo giusto” (not just right experiences) e che li conducono spesso ad eseguire più e più volte la stessa azione. È il caso, ad esempio, di un paziente che sente il bisogno di passare più volte attraverso una porta finché non avverte di averla finalmente attraversata nel “modo giusto”. Ora ciò che presumibilmente si verifica in questi casi è che un’azione – nel mentre che viene eseguita – viene sentita, a un certo punto, come “inquinata” dall’emergere di una qualche emozione che suscita un senso di discontinuità: ed è ciò che rende necessario ripeterla nella speranza che finalmente a un certo punto nessuna emozione disturbante venga alla fine avvertita.
A questo punto, se si abbraccia con uno sguardo tutte le principali manifestazioni del DOC finora passate in rassegna, risulta abbastanza evidente come tutte sembrino accomunate, anche se a vario titolo, da una rigida ricerca di coerenza nella propria esperienza e nell’immagine di sé.
CONCLUSIONI
Nel presente lavoro si è cercato di delineare un modello di psicopatologia “esplicativa” del DOC, mettendone in luce anche le conseguenze per l’intervento terapeutico. Naturalmente bisogna tenere conto di alcuni importanti limiti di questa impresa.
Un primo limite è relativo al modo con cui, in generale, andrebbe delineato un modello di psicopatologia esplicativa: infatti, è evidente che la veduta qui presentata è ancora di carattere piuttosto generale, dato che non c’è dubbio che un esaustivo modello psicopatologico dovrebbe contenere un’illustrazione fine dei singoli meccanismi che sottendono le diverse manifestazioni del disturbo. Di conseguenza il presente quadro dovrà essere arricchito in futuro anche da una descrizione dei meccanismi in gioco su una scala minore.
Gli altri due limiti, invece, sono relativi al modo con cui andrebbe delineato un modello esplicativo secondo l’approccio postrazionalista. In primo luogo, infatti, nel presente lavoro, il DOC è stato presentato soprattutto come conseguenza di una rigidità della sola attitudine diacronica, mentre è evidente che anche le altre polarità sono coinvolte. Si è scelto di procedere in questo modo perché una discussione del contributo anche delle altre polarità avrebbe reso il modello molto più indaginoso, mentre è evidente che delineare il DOC a partire dalla diacronia appare subito intuitivo e immediato. In secondo luogo, nel presente lavoro il DOC è stato presentato solo in rapporto con l’OSP “Ossessiva”. In realtà, come è ben noto ai clinici, non c’è una corrispondenza biunivoca tra OSP “Ossessiva” e DOC: infatti, a volte l’OSP “Ossessiva” in caso di scompenso dà luogo a quadri diversi dal DOC e, allo stesso modo, manifestazioni sintomatologiche del tutto compatibili con una diagnosi di DOC sono talora conseguenza di uno scompenso a partire da altre OSP (spesso, per es., l’OSP tipo “Disturbi Alimentari Psicogeni”).
Malgrado questi limiti, tuttavia, il modello presentato ha un pregio: il fatto di prendere in considerazione un elemento, la diacronia, che appare centrale a un tempo sia all’OSP “Ossessiva” che al DOC e di far derivare in modo semplice e naturale il secondo dalla prima.
Infine, sebbene sia sicuramente suscettibile di ulteriori perfezionamenti, questo modello appare piuttosto promettente perché appare sin da ora ricco di implicazioni per l’intervento terapeutico.
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