Corsi e ricorsi in psichiatria: le terapie somatiche

FRANCESCO SAVERIO BERSANI, MASSIMO BIONDI

Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma

Corsi e ricorsi storici: la nostra società li vive quotidianamente. Eventi, idee, pensieri che sembrano essere antichi e superati tornano improvvisamente alla ribalta della quotidianità. Succede in tutti i campi, nella politica, nello sport, nella cultura, e la medicina non fa eccezione. La medicina e in particolare la psichiatria, infatti, sono caratterizzate da un continuo divenire e susseguirsi di scoperte scientifiche, dati clinici e considerazioni umane che si influenzano vicendevolmente. Una scoperta fatta oggi da un lato influenza tutte le ricerche e le scoperte che si svilupperanno domani, dall’altro getta nuove luci od ombre su tutte le scoperte fatte ieri. Una scoperta fatta oggi certamente non può modificare un dato raccolto ieri, ma può cambiare completamente il modo con il quale lo si interpreta. In questo modo, un’evidenza che sembra obsoleta e superata può, più o meno improvvisamente, ritrovarsi moderna e attuale, nuovamente al centro delle dissertazioni scientifiche dei luminari di tutto il mondo. Le “terapie somatiche” rappresentano un esempio di come questioni considerate passate possano rapidamente riemergere all’attenzione e all’interesse collettivo. Una possibile definizione di terapia somatica è la seguente: “ Trattamento che mediante l’impiego di stimolazioni fisiche di diversa natura induce nel cervello delle modificazioni funzionali potenzialmente migliorative rispetto alla condizione psicopatologica espressa nella sintomatologia clinica ”.
Le terapie somatiche in psichiatria sono state usate in maniera massiccia fino agli anni ’50; con l’avvento della psicofarmacologia, esse sono state aspramente criticate prima, parzialmente dimenticate poi. Al giorno d’oggi, tuttavia, esse sono nuovamente all’attenzione della comunità scientifica e vengono utilizzate in un ampio numero di ospedali e università. L’utilizzo sistematico delle terapie somatiche è documentato a partire dal XVIII secolo, quando non esistevano conoscenze su come curare i disturbi mentali. Evidenze empiriche mostravano che alcune situazioni alleviavano la sintomatologia e per questo motivo tali situazioni venivano usate (spesso molto grossolanamente) a fini terapeutici. Tra le tecniche più usate vi erano il bagno in acqua ghiacciata, l’indurre uno stato febbrile, il sezionare chirurgicamente segmenti della corteccia frontale, il diminuire il volume ematico mediante l’uso di sanguisughe. Tali tecniche erano basate su rudimentali ipotesi eziologiche o fisiopatologiche, quali la modificazione dell’apparato cardiocircolatorio, l’eliminazione di ipotetiche sostanze tossiche, l’attivazione del sistema immunitario mediante la febbre, etc.
Tra il 1930 e il 1940, tuttavia, la psichiatria visse un rinnovamento, e una serie di scoperte fatte da studiosi di diverse parti del mondo aprì nuovi scenari. La comunità scientifica, infatti, era arrivata a ipotizzare un dato rilevante: la possibile esistenza di un antagonismo tra sintomi psicotici e crisi epilettiche; si riteneva che se fossero stati presenti gli uni sarebbero state assenti le altre (e viceversa). Tale antagonismo era peraltro in parte già noto al senso comune sin da tempi antichi. Ippocrate ne parlava già nel 400 a.C., Shakespeare lo descriveva nel suo “Otello” nel 1600. Negli anni ’30 il primo a sistematizzare tale ipotesi fu Ladislaus J. von Meduna, il quale aveva osservato che su un campione di più di 6000 pazienti affetti da schizofrenia solamente 20 registravano episodi di epilessia, e che quei pazienti affetti da epilessia che nel tempo sviluppavano sintomi psicotici vivevano un miglioramento clinico relativo alla sintomatologia comiziale. Sulla base di questa considerazione, numerosi scienziati cominciarono a cercare un modo per “contagiare” i pazienti affetti da schizofrenia con l’epilessia al fine di migliorarne i sintomi psicotici. Da un lato venivano eseguiti tentativi di trattare le persone che manifestavano sintomi psicotici con sangue prelevato da pazienti affetti da epilessia dopo una convulsione, nell’idea che sostanze di natura sconosciuta venissero rilasciate dall’organismo in risposta agli accessi convulsivi, dall’altro si cercava un modo per indurre una crisi epilettica in coloro che soffrivano di schizofrenia senza danneggiare l’organismo (lo stesso von Meduna inventò in quegli anni lo shock cardiazolico, ovvero l’induzione di forti crisi epilettiche mediante iniezione di cardiazol, un derivato sintetico della canfora).
Nel 1935, Ugo Cerletti arrivò alla direzione della clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Roma. Cerletti aveva insegnato neuropsichiatria a Bari e a Genova; si era formato lavorando con Franz Nissl ed Emil Kraepelin, e aveva sviluppato un orientamento fortemente biologico. Era noto soprattutto per le ricerche in istologia e in istopatologia delle cellule nervose, nonché per gli studi sulla paralisi progressiva della neurosifilide e sull’epilessia. Cerletti, sull’onda degli studi internazionali che andavano in tale direzione, aveva individuato nella corrente elettrica il modo più efficace per indurre convulsioni e cercava una modalità con cui rendere innocuo per l’uomo il passaggio della corrente elettrica necessaria a provocarle. L’esito di queste ricerche fu l’invenzione nel 1938, da parte sua e del suo assistente Lucio Bini, del cosiddetto elettroshock  (oggi definito come Terapia Elettroconvulsivante o TEC). Mediante l’applicazione di stimolazioni elettriche a basse intensità applicate allo scalpo del paziente, si induceva una crisi tonico-clonica a cui seguiva in molti casi un significativo e rapido miglioramento della sintomatologia sia psicotica sia affettiva.
L’impatto della scoperta fu profondo: in un contesto in cui le risorse terapeutiche per i disturbi mentali gravi erano assai scarse, essa fu vista come la panacea per tutti i mali a carattere psichiatrico. A fronte dei molti casi in cui la terapia funzionava efficacemente, però, una cattiva gestione e un utilizzo non oculato di questo strumento portarono a scenari spesso davvero inquietanti. In quanto unica terapia allora esistente, infatti, la TEC veniva applicata non solo a pazienti con schizofrenia o disturbi affettivi, ma a persone con qualunque tipo di disturbo neuropsichiatrico, tra cui abuso di sostanze, decadimento cognitivo, “ninfomania” e neurosifilide. Considerando poi che non esistevano ancora i farmaci anestetici negli anni dell’invenzione della TEC, il trattamento si rivelava dolorosissimo e accompagnato a effetti collaterali importanti. Per questo motivo, la TEC possiede elementi di ambivalenza: ha rappresentato una scoperta capace sia di migliorare sia di peggiorare la vita di molte persone.
Al di là del valore clinico in sé, un’importante conseguenza scientifica della scoperta della TEC si è manifestata vari decenni dopo la sua invenzione. Quando infatti la psicofarmacologia aveva preso il sopravvento sugli altri approcci di ricerca nella terapia delle malattie mentali - quando cioè si pensava che si sarebbe potuti arrivare a identificare un farmaco ottimale per ogni forma di psicopatologia - , la TEC è diventata il modello di riferimento per un altro filone di ricerca diverso e complementare a quello della psicofarmacologia: quello fondato sulla possibilità di intervenire sul sistema nervoso centrale (SNC) dall’esterno, e non dall’interno. Nel periodo in cui la maggior parte degli studiosi si impegnava nella ricerca della medicina più efficace, la TEC, con i suoi pregi e difetti, ha rappresentato uno dei pochi elementi che ricordava che anche un altro approccio a carattere neurobiologico era possibile. Anche per questo motivo stanno riemergendo in questi anni all’attenzione della comunità medica tanto la TEC stessa, liberata dai suoi principali difetti, quanto una serie di nuovi strumenti in grado di modificare la fisiologia del SNC mediante mezzi fisici (per lo più energia elettrica o magnetica), che agiscono dall’esterno piuttosto che dall’interno del corpo, che difficilmente si sarebbero sviluppati senza l’esempio positivo e negativo della TEC. In un certo senso, la TEC, una terapia indubbiamente superata come concezione anche se ancora attuata per lo più all’estero e in alcuni casi efficace, ha mostrato quanto di utile e quanto di disastroso possa generare una “terapia somatica” e la sua storia è servita ad aprire un filone di ricerca tuttora in via di sviluppo. Per molti aspetti, la TEC è servita da modello sia in positivo sia in negativo.
Come mai le terapie somatiche, oggi spesso ridefinite come “tecniche di brain modulation”, stanno riemergendo proprio in questi anni? Non si tratta di un caso. Innanzitutto bisogna dire che non si tratta di un fenomeno isolato, ma che anche altre terapie usate in passato e a lungo “dimenticate” stanno ricominciando a essere oggetto di discussione nei congressi mondiali di psichiatria biologica; tra queste si annoverano le terapie basate sull’alimentazione, alcune forme di psicoterapia e le tecniche di rilassamento. Almeno due motivi possono essere individuati per spiegare questi “ricorsi storici”.
Il primo è certamente il grande sviluppo delle conoscenze biologiche inerenti alle suddette terapie emergenti. Si è sempre saputo che buone abitudini alimentari fanno bene alla salute, ma ora si è scoperta la nutrigenomica; la psicoterapia è stata spesso considerata una tecnica ascientifica, ma l’avvento del neuroimaging sta dimostrando che, per esempio, un ciclo di terapia cognitivo-comportamentale ben effettuato può indurre le stesse modificazioni neuronali di un periodo di trattamento con farmaci antidepressivi; le tecniche di autorilassamento sono state spesso considerate quasi alla stregua di fenomeni magici e solo ora se ne stanno conoscendo i substrati biologici. Per quanto concerne le terapie somatiche, la chiave di volta è stata anche in questo caso lo sviluppo del neuroimaging strutturale e funzionale, unito al progredire delle tecnologie bioingegneristiche: oggi è possibile vedere (seppure con numerosi limiti) quale parte del cervello funziona meglio o peggio in una determinata condizione patologica, e mediante specifiche tecniche di brain modulation è possibile cercare di intervenire proprio in quella zona.
Il secondo motivo risiede nella fine del “miraggio psicofarmacologico”, ovvero della convinzione che si arriverà all’invenzione di medicine sempre migliori, sempre più efficaci, con sempre meno effetti collaterali, e che l’utilizzo di queste medicine sarà il modo con cui le patologie neuropsichiatriche verranno definitivamente sconfitte, così come avvenuto in alcuni casi di malattia infettiva con gli antibiotici, tanto per fare un esempio. Al giorno d’oggi risulta piuttosto chiaro il fatto che gli psicofarmaci sono stati per molti aspetti rivoluzionari, che hanno migliorato la qualità della vita di molte persone, che hanno risolto situazioni che talvolta sembravano irrisolvibili, che hanno fatto fare passi in avanti alla medicina e alle neuroscienze, e che sono indispensabili nella pratica medica quotidiana, ma risulta anche chiaro come l’obiettivo della cura in psichiatria non sia perseguibile attraverso l’uso esclusivo di farmaci, bensì con l'integrazione di diverse forme di trattamento tra loro complementari.
Quali sono le terapie somatiche attualmente più usate e studiate? Una dissertazione approfondita di tutte le tecniche di brain modulation  esistenti esula dai fini del presente testo; tuttavia, proponiamo un breve excursus di alcune tra le più studiate e interessanti.
Terapia Elettroconvulsivante : ampiamente usata in Europa e negli USA (in molti ospedali è prevista dalle linee-guida come terapia di scelta in casi di blocco catatonico, disturbo bipolare e depressioni resistenti, stati maniacali), in Italia solo pochi centri effettuano questa terapia. L’evoluzione della tecnologia, l’uso di farmaci cardioprotettori, antispastici e anestetici, il costante controllo del paziente da parte di medici rianimatori durante l’applicazione della terapia ha reso tale tecnica sicura e tollerabile, per quanto lievi effetti collaterali cognitivi (amnesie) possano essere presenti dopo il trattamento. La scelta italiana di non effettuare praticamente più la TEC, né di insegnarla, è motivata da un orientamento non favorevole, da parte della comunità, dei pazienti e delle associazioni dei familiari dei pazienti psichiatrici, di natura tendenzialmente bioetica. La comunità infatti partecipa alle scelte sanitarie e orienta l’operare del medico: questo è in linea con la visione più moderna delle scelte di cura. Altri esempi di ciò sono le scelte di fine vita e le direttive anticipate e del testamento biologico, le terapie geniche e la manipolazione dell’embrione, l’aborto, le diverse modalità consentite della fecondazione assistita, l’impiego delle staminali, la possibilità di eutanasia, solo per citare alcuni dei temi più discussi. In tutti questi casi, benché vi siano interventi tecnicamente possibili, la decisione è connessa non alla scelta dal medico ma alle disposizioni condivise dalla comunità e a norme di legge su cui spesso Parlamento, commissioni di lavoro e autorità sanitarie centrali o regionali si sono espressi.
Magnetic Seizure Therapy (MST): è una nuova forma di terapia convulsivante in cui la convulsione viene indotta nel paziente mediante impulsi magnetici. È stata inventata nel tentativo di individuare una terapia che avesse la stessa efficacia della TEC ma meno effetti collaterali cognitivi. Circa 40 pazienti affetti da depressione maggiore sono stati trattati con MST tra il 2000 e il 2008. Gli studi pubblicati fino ad oggi suggeriscono che i miglioramenti ottenuti sotto il profilo neuropsicologico rispetto alla TEC si accompagnano ad una simile efficacia terapeutica.
Transcranial Magnetic Stimulation (TMS) e deep Transcranial Magnetic Stimulation (deep TMS): sono tecniche di neuromodulazione basate sul principio dell’induzione elettromagnetica di un campo elettrico. Tali tecniche si applicano mediante l’utilizzo di un coil (bobina) elettromagnetico. Entrambe le procedure (TMS e deep TMS) consentono di modulare (positivamente o negativamente) l’eccitabilità corticale mediante l’applicazione di campi magnetici sulla teca cranica, inducendo dei cambiamenti in quei circuiti neuronali che si ipotizzano essere disfunzionali. L’8-coil , usato nella TMS superficiale, è in grado di modulare l’eccitabilità corticale fino a una profondità massima di 1,5 cm; l’H-coil, usato nella deep TMS, è in grado di modulare l’eccitabilità corticale fino a una profondità di 5 cm dallo scalpo. Tali tecniche sono attualmente adoperate internazionalmente per la terapia della depressione maggiore farmacoresistente e sono in fase di sperimentazione nel trattamento di un’ampia gamma di condizioni patologiche neurologiche, psichiatriche e internistiche, tra cui malattia di Alzheimer, autismo, malattia di Asperger, dipendenza da sostanze, ictus, obesità, disturbo bipolare, disturbo da stress post-traumatico, emicrania, blefarospasmo, sindrome di Tourette, morbo di Parkinson, dolore neuropatico e schizofrenia.
Transcranial Direct Current Stimulation (tDCS): consiste nell’applicazione di un debole flusso (1-2 mA) di corrente elettrica, emanato da una batteria a 2 elettrodi, l’anodo e il catodo, posizionati sullo scalpo sovrastante le aree corticali bersaglio. L’anodo genera un aumento dell’eccitabilità corticale tramite un processo di depolarizzazione neuronale, mentre il catodo stimola una diminuzione dell’eccitabilità corticale tramite un processo di iperpolarizzazione neuronale. La tDCS ha manifestato preliminari effetti positivi nella terapia della depressione, del craving per il cibo e per il fumo di sigaretta, della fibromialgia e dei deficit cognitivi.
Vagus Nerve Stimulation  (VNS): consiste nella stimolazione del nervo vago di sinistra mediante l’applicazione di un piccolo generatore d’impulsi a batteria che viene posizionato nella parte sinistra dell’alto torace. Il nervo vago trasmette tali impulsi al sistema limbico, all’ipofisi e alla corteccia motoria, ovvero a molte delle aree del cervello coinvolte nella regolazione dell’umore. Tale trattamento è stato approvato dalla Food and Drug Administration per la cura della depressione maggiore farmacoresistente.
Potrebbero essere annoverati inoltre tra le terapie somatiche, intese in senso lato come stimolazioni fisiche agenti sul cervello e sull’organismo, anche interventi con evidenza di efficacia talora scientificamente dimostrata quali la terapia con esposizione alla luce, l’alimentazione con alto introito di omega-3, l’esercizio fisico aerobico (per i suoi effetti a livello frontale), le tecniche di rilassamento e di meditazione (basti pensare in tema di corsi e ricorsi al riemergere del mindfulness ), la terapia del sonno, la musicoterapia e la danza-terapia (per i loro effetti diversi dimostrati sul cervello), l’agopuntura, e forse altri interventi ancora.
Per evidenti motivi etici, le tecniche di brain modulation possono attualmente essere usate solo in caso di patologia farmacoresistente (sia nell’ambito clinico che in quello sperimentale). Tuttavia, vi sono condizioni in cui le terapie somatiche potrebbero essere di aiuto nella pratica clinica a prescindere dall’eventuale resistenza ai farmaci. Per esempio, è noto come farmaci antidepressivi possano essere pericolosi e indurre un franco stato di mania nelle persone con depressione bipolare; essendo altresì noto che la depressione bipolare spesso non risponde agli stabilizzanti dell’umore da soli, si potrebbe pensare in alcuni casi di unire alla terapia con farmaci stabilizzanti quella antidepressiva attuata con una delle tecniche di terapia somatica. Una buona regola di condotta per le donne in gravidanza è di non assumere nessun tipo di farmaco; la gravidanza potrebbe quindi potenzialmente rappresentare uno di quei casi in cui le terapie somatiche potrebbero essere usate al posto dei trattamenti farmacologici. Tutti i pazienti con patologie epatiche o renali hanno una farmacocinetica ampiamente modificata che giustificherebbe il ricorso a terapie diverse da quelle farmacologiche.
Gli esempi riportati sono una piccola parte di quelli che si potrebbero fare. Tuttavia, essi illustrano come il relegare il potenziale terapeutico delle terapie somatiche ai soli casi di resistenza ai farmaci sia un atteggiamento non completamente corretto che parrebbe non prendere in considerazione il principio dell'integrazione tra diverse modalità di trattamento.
Una maggiore informazione riguardo a tutti i possibili interventi terapeutici che la ricerca scientifica propone sarebbe necessaria a tutti gli psichiatri per aiutare i pazienti nella modalità più completa possibile. Non solo, essa sarebbe utile anche per informare i cittadini delle potenziali risorse disponibili per la cura di vari quadri di grave sofferenza, soppesando realisticamente rischi e benefici effettivi, al di là di posizioni talvolta emotive, preconcette e talora poco informate sulle scelte sanitarie di altri paesi. Con attenzione ai nuovi corsi, e in attesa di nuovi ricorsi.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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Passione R. Ugo Cerletti. Scritti sull’elettroshock. Milano: Franco Angeli Edizioni, 2006.
The Cochrane Library, http://www.thecochranelibrary.com/