Depressione resistente al trattamento: stato dell’arte.
Parte I. Nosografia e clinica

Treatment-resistant depression: state of the art.
Part I. Nosography and clinic

FEDERICA LUCHINI, LUCA COSENTINO, LAURA PENSABENE, MAURO MAURI, LORENZO LATTANZI
E-mail: llattanzi@blu.it
UO Psichiatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa

RIASSUNTO. Obiettivi. Questo contributo si prefigge lo scopo di fornire una visione complessiva delle conoscenze attuali in tema di nosografia e clinica della depressione resistente al trattamento. Metodo. È stata effettuata un’accurata ricerca su PubMed e su altri motori di ricerca scientifici (PsycInfo, Google Scholar) utilizzando le parole chiave “depressione resistente”, “STAR*D”, “depressione bipolare”, “stadiazione”. Sono stati selezionati esclusivamente contributi in lingua inglese, italiana e francese. Risultati. La depressione resistente al trattamento è uno dei principali problemi di salute pubblica. Ciò nonostante non esiste ancora un consenso generale in merito alla sua definizione e classificazione. Sono ormai noti i principali fattori di rischio e le comorbilità associate, nonché l’associazione con lo spettro bipolare; tuttavia, questo quadro clinico, particolarmente frequente tra i depressi ospedalizzati, è altamente invalidante, responsabile di un decorso spesso cronico, con numerose ricadute ed elevato rischio di suicidio. Discussione e conclusioni. Le indagini future, una volta migliorate le procedure di diagnosi differenziale e di sottotipizzazione clinica della depressione, dovrebbero indirizzarsi alla ricerca di una definizione condivisa di resistenza al trattamento e allo sviluppo di specifici protocolli terapeutici.

PAROLE CHIAVE: depressione resistente, disturbo bipolare, stadiazione, STAR*D.


SUMMARY. Aims. This work would give an overall vision of the actual knowledge about nosography and clinic of treatment-resistant depression. Method. A PubMed, PsychInfo, Google Scolar search was done using the key words “resistant depression”, “STAR*D”, “bipolar depression”, “staging”. Have been selected exclusively works in English, French and Italian languages. Results. Treatment-resistant depression is one of the most important problem in public health. Nevertheless a general consensus about its definition and staging does not exist at now. Principal risk factors and associated comorbidities are well known including the association with bipolar spectrum; anyway the disease particularly common among depressed outpatients is still very disabling, responsible of an often chronic course, with numerous relapses and high risk of suicide. Discussion and conclusion. The future investigations, once improved procedures for differential diagnosis and subtyping of clinical depression, should be directed to the search of a shared definition of treatment resistance and the development of specific therapeutic protocols.

KEY WORDS: resistant depression, bipolar disorder, staging, STAR*D.

INTRODUZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
Sulla base delle più recenti stime epidemiologiche, la depressione è da considerarsi una delle malattie più frequenti nella popolazione generale. Oltre 340 milioni di persone nel mondo ne sono affette e la prevalenza lifetime dell’episodio depressivo maggiore risulta di poco inferiore al 17%1. Si tratta, inoltre, di un disturbo a elevata ricorrenza, essendo infatti riportato che oltre 2/3 dei pazienti possa presentare ricadute; in particolare, dopo un primo episodio, la probabilità di una ricaduta risulta pari al 50%, mentre dopo un secondo episodio la probabilità di un terzo supera il 90%2.
L’alta ricorrenza e altre caratteristiche epidemiologiche come la precoce età d’esordio, l’elevato rischio di cronicità e la frequente comorbilità con altri disturbi psichiatrici e/o malattie internistiche, rende conto della sofferenza individuale e dell’alto costo sociale associato alla depressione. Attualmente questa malattia, tra tutte le condizioni morbose, rappresenta la quarta causa di disabilità, sebbene le previsioni dell’OMS per il 2020 la proiettino al secondo posto, preceduta solamente dalle cardiopatie ischemiche 3.
L’obiettivo primario del trattamento della depressione consiste nella risoluzione completa dei sintomi: ciò nonostante, l’esperienza clinica e i dati della letteratura indicano che, con gli attuali trattamenti, solo una percentuale limitata dei pazienti ottiene la piena remissione sintomatologica. I risultati dello studio di effectiveness STAR*D dimostrano che solo la metà dei pazienti risponde a un primo trial antidepressivo e una percentuale ancora inferiore, intorno al 30%, ottiene la remissione clinica4. Un terzo dei pazienti depressi, infine, anche dopo molteplici trial farmacologici, non raggiungerà mai la guarigione completa5. Nell’ambito della patologia depressiva, la resistenza al trattamento rappresenta dunque un fenomeno di rilevante impatto clinico e sociale, giustificando il crescente interesse da parte di clinici e ricercatori su questo tema6,7. I pazienti con depressione resistente al trattamento (treatment resistant depression, TRD) sono esposti a un maggiore rischio di ricadute, di suicidio e di abuso di sostanze, presentano più frequentemente comorbilità psichiatriche e/o fisiche, soffrono di un significativo e prolungato disadattamento sul piano sociale, lavorativo e interpersonale6-10.
MATERIALI E METODI
Questo contributo si propone di fornire al clinico una sintesi aggiornata della letteratura disponibile sull’inquadramento nosografico e sulla clinica della TRD.
Utilizzando i principali motori di ricerca scientifici (PubMed, PsychInfo, Google Scholar) è stata effettuata una accurata ricerca inserendo le parole chiave “depressione resistente”, “STAR*D”, “depressione bipolare”, “stadiazione”.
Sono stati considerati i risultati a partire dal 1974 fino al 2013 e attivati i filtri riguardanti la lingua (articoli in lingua inglese, italiana e francese).
Per recuperare eventuali lavori oggetto di interesse, ma non emersi dalla ricerca effettuata attraverso le parole chiave, sono stati consultati manualmente i riferimenti bibliografici degli studi selezionati.
risultati
Il concetto di TRD è stato introdotto in letteratura nel 197411,12 dando inizio a una lunga serie di studi su questo argomento, stimolati anche dalla crescente disponibilità di nuove molecole antidepressive. L’interpretazione dei dati della ricerca è tuttavia limitata dall’estrema eterogeneità delle descrizioni e definizioni di TRD: dalla non risposta a un unico trattamento antidepressivo, adeguato in termini di durata e dosaggio, alla parziale o assente risposta a molteplici trial antidepressivi, di differente classe farmacologica, e alla terapia elettroconvulsivante (TEC) 10,13-15. Non sono univoci neppure i criteri di valutazione della risposta al trattamento, che nei trial farmacologici viene definita come un miglioramento pari ad almeno il 50% della sintomatologia depressiva iniziale dopo almeno quattro settimane di assunzione del farmaco. Le divergenze sono relative sia al tipo di rating scale adottato per la misurazione dei sintomi depressivi (Hamilton Depression Rating Scale-HAMD vs Montgomery-Asberg Depression Rating Scale-MADRS) sia per il valore soglia del punteggio necessario per la definizione di risposta al trattamento. Sussistono, inoltre, divergenze sui requisiti minimi di durata e dosaggio dell’antidepressivo prescritto, né vi è omogeneità sul tipo e il numero di trial inefficaci da considerare prima di formulare la diagnosi di TRD 13,14.
Negli ultimi anni ha ricevuto un ampio consenso la definizione di TRD come un episodio depressivo maggiore che non ha mostrato un miglioramento clinico significativo dopo almeno due trial consecutivi, con antidepressivi di differente classe farmacologica, adeguati in termini di durata e dosaggio del farmaco14,16-19. I dati dello STAR*D sulla progressiva riduzione delle probabilità di risposta al trattamento dopo il secondo trial antidepressivo sembrerebbero supportare la validità di questo concetto4,14,15; pertanto, recentemente la European Medicines Agency (EMA) ha sostanzialmente confermato i criteri di valutazione della resistenza al trattamento antidepressivo, definendo la TRD «un episodio depressivo che non trae beneficio da almeno due trial adeguati con farmaci antidepressivi, dal differente meccanismo d’azione»20. Sono state, tuttavia, sollevate almeno due obiezioni di natura metodologica nei confronti di questa definizione: la prima è relativa all’implicita assunzione che la mancata risposta a due farmaci di differente classe molecolare rappresenti una condizione di maggiore gravità rispetto alla non risposta a due trial con antidepressivi di una stessa classe. La seconda concerne, invece, il postulato che ne deriva e che va a influenzare le scelte terapeutiche, ovvero la superiore efficacia dello switch tra classi diverse di antidepressivi rispetto allo switch intraclasse. Entrambe queste assunzioni, viene osservato, non sono chiaramente supportate dalle evidenze degli studi clinici14,15.
Recentemente, alcuni autori hanno inoltre sottolineato la contraddizione tra l’impostazione dicotomica dei criteri di definizione della risposta/resistenza al trattamento e le osservazioni cliniche sulla natura dimensionale della TRD. Un sistema ideale di stadiazione della TRD dovrebbe essere in grado di distinguere i quadri depressivi secondo il loro livello di resistenza al trattamento farmacologico, predire le probabilità di remissione in trial successivi e indirizzare la scelta dei futuri trattamenti: requisiti più facilmente soddisfatti da un modello dimensionale piuttosto che da una classificazione dicotomica. In particolare, è stato proposto di concettualizzare la TRD sul modello di “spettro”, ovvero sulla linea di un continuum che si estende dalla mancata risposta a un unico antidepressivo, fino all’assenza di risposta a diverse classi di antidepressivi e infine a strategie di “potenziamento”, ivi inclusa la TEC10,17.
È stato, inoltre, evidenziato come ciascuna delle definizioni finora proposte si basi esclusivamente sui risultati di precedenti trattamenti farmacologici, escludendo qualsiasi riferimento a eventuali terapie psicologiche effettuate dal paziente, come la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) o la psicoterapia interpersonale (IPT)21. A ogni modo, nessuno dei sistemi di stadiazione attualmente a disposizione è stato valutato sistematicamente con studi prospettici in termini di affidabilità e valore predittivo.
Stadiazione
La disomogeneità dei criteri di definizione della resistenza al trattamento ha determinato il proliferare di numerosi, differenti sistemi di classificazione dei pazienti depressi non responsivi al trattamento farmacologico. Recentemente, Ruhé et al.21 hanno identificato cinque diversi sistemi di stadiazione della TRD, confrontandone le caratteristiche in termini di utilità predittiva (capacità di prevedere le probabilità di risposta a ulteriori trattamenti antidepressivi) e affidabilità.
L’Antidepressant Treatment History Form22 consente di “misurare” l’adeguatezza di un trial antidepressivo, distinguendone vari livelli: da 0 (nessun trattamento farmacologico) a 5 (terapia di potenziamento con litio e/o tiroxina)23,24. Questo sistema può essere quindi impiegato per saggiare la congruità dei precedenti trattamenti effettuati dal paziente e sulla base di queste valutazioni orientare la scelta del dosaggio e della durata dei trattamenti successivi.



Il Modello di stadiazione di Thase e Rush25 ha rappresentato per molto tempo un punto di riferimento nello studio della TRD, apprezzato in particolare per la sua chiarezza e la semplicità d’uso21,26. Il grado di resistenza è definito sulla base del numero e del tipo di trattamenti antidepressivi inefficaci. Una delle principali obiezioni rivolte al suo utilizzo è quella di far riferimento a un’implicita gerarchia di efficacia degli antidepressivi8,14,27,28 con l’ipotetica assunzione di una superiore efficacia degli inibitori delle monoamminoossidasi (IMAO) sugli antidepressivi triciclici (TCA) e di questi ultimi rispetto agli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI), che tuttavia non trova conferma nelle meta-analisi dei trial clinici29,30. Non è supportata da alcuni recenti dati della letteratura nemmeno l’implicita considerazione che la mancata risposta a due antidepressivi di differente classe farmacologica (stadio II di resistenza) rappresenti una condizione di più grave refrattarietà al trattamento rispetto alla non risposta a due antidepressivi della stessa classe31,32. Un ulteriore limite di questo modello è anche la mancanza di informazioni riguardo l’adeguatezza del trattamento in termini di dosaggio e durata8,14,15,27,28, che rappresenta una delle cause più comuni di pseudo-resistenza33-35.
Nel 1999 il gruppo europeo di Souery et al.36 ha proposto un modello alternativo, incentrato sulla distinzione tra: a) mancata risposta; b) TRD; c) depressione cronica refrattaria (CRD). Secondo gli autori la diagnosi di TRD è definita dalla mancata risposta a due successivi trial antidepressivi, di differente classe farmacologica, dosaggio adeguato e durata minima di 6-8 settimane, mentre l’assenza di risposta a un unico adeguato trattamento antidepressivo, che nel modello di Thase e Rush25 corrispondeva allo stadio I di resistenza, identifica il paziente come non responder, ma non è ancora sufficiente a definire una condizione di resistenza al trattamento. In questo modello sono previsti cinque livelli di gravità della resistenza al trattamento, distinti solo sulla base della durata del trial: diversamente da quanto presupposto dal modello di Thase e Rush25 non è quindi considerata alcuna differenziazione in base alle diverse classi di antidepressivi utilizzati.
La definizione di resistenza al trattamento proposta dal gruppo europeo corrisponde al concetto di TRD che attualmente trova maggiore consenso tra clinici e ricercatori e che è stato anche ripreso dalla Commitee for Medicinal Products for Human Use europea (CPMP, 2009): «Un paziente è da considerarsi resistente al trattamento quando successivi trattamenti con due molecole di differente classe farmacologica, effettuati per un periodo sufficiente di tempo e con un adeguato dosaggio, non inducono un accettabile effetto terapeutico».
Tuttavia, è stato contestato al modello di Souery et al.36 l’uso della durata del trattamento come unico criterio di classificazione del livello di gravità dei quadri di TRD, senza alcun riferimento al numero di trial effettuati. Questa posizione infatti contrasta con i recenti dati della letteratura sulla correlazione tra resistenza al trattamento e numero di trial farmacologici inefficaci32,37. Infine, è da sottolineare che un importante elemento distintivo del modello europeo è la proposta del concetto di depressione cronica refrattaria, definita come un episodio depressivo, che persiste da almeno 12 mesi, malgrado la serie di molteplici trattamenti, incluse terapie di potenziamento, tra cui la TEC. Alcuni autori considerano tuttavia arbitraria la distinzione tra CRD e TRD, osservando come la depressione cronica refrattaria possa semplicemente corrispondere a un ulteriore stadio di gravità della TRD 14,21.
Il sistema di stadiazione del Massachusetts General Hospital (MGH-S)8, consente la valutazione del livello di resistenza al trattamento in funzione di un punteggio che viene calcolato oltre che sul numero di trial farmacologici inefficaci, anche sul numero di strategie di ottimizzazione (incremento di dose e/o durata dell’antidepressivo), di combinazione (associazione di due antidepressivi) e/o di potenziamento (con altri agenti farmacologici, per es. litio, ormoni tirodei, ecc.) adottate, e sull’eventuale ricorso alla TEC.
Il MGH-S fa quindi esplicito riferimento alle strategie terapeutiche di potenziamento della risposta antidepressiva: rispetto ai precedenti modelli è caratterizzato da una maggiore praticità d’uso e concretezza clinica, per esempio non si fa cenno a gerarchie di efficacia tra le diverse classi di antidepressivi27,28. È stato tuttavia osservato come l’affidabilità di questo modello possa essere limitata dalla scarsa attendibilità delle informazioni retrospettive fornite dal paziente o ricavate dalle registrazioni mediche. Viene anche criticata l’arbitrarietà dei punteggi assegnati, con una immotivata eccessiva importanza assegnata alla TEC e l’assunzione di equivalenza tra le diverse strategie farmacologiche di potenziamento6,7,38,39.
Il Maudsley Staging Model (MSM)6 è il più recente sistema di stadiazione della TRD, basato sull’assegnazione di un punteggio che distingue tre livelli di gravità: lieve (punteggio da 3 a 6), moderato (da 7 a 10) e grave (da 11 a 15). I criteri adottati per l’assegnazione del punteggio comprendono, oltre al numero di trial farmacologici inefficaci, anche la durata e la gravità dei sintomi dell’episodio. Proprio la considerazione di alcune caratteristiche clinico-sintomatologiche dell’episodio depressivo rappresenta la principale novità di questo modello, che può essere configurato come un sistema tridimensionale di classificazione, articolato in tre principali criteri di valutazione: a) durata dell’episodio; b) gravità sintomatologica; c) trattamento 21. Gli stessi autori del modello hanno prospettato di incorporare nei criteri di classificazione anche il numero di strategie di potenziamento, il livello di compromissione socio-familiare e l’esposizione a stressor psicosociali6, mentre altri hanno contestato l’arbitrarietà della ripartizione della durata dell’episodio in tre categorie21. È necessario, infine, menzionare un approccio alternativo alla classificazione della TRD, proposta da un gruppo di ricerca australiano40, il quale riconoscendo l’eterogeneità clinica della depressione descrive tre quadri fondamentali, distinti tra  loro oltre che per le caratteristiche cliniche, per gli aspetti patogenetici e quindi per le modalità di risposta al trattamento: 1) depressione melanconica; 2) depressione psicotica; 3) depressione non melanconica. I primi due sottotipi condividono l’importanza di fattori neurobiologici patogenetici e la risposta preferenziale al trattamento farmacologico e alla TEC, il sottotipo non melanconico invece include un’ampia varietà di forme cliniche di depressione, ulteriormente suddivisibili in relazione ai determinanti eziogenetici in causa e accomunati da una risposta preferenziale agli SSRI (per i pazienti con profili personologici caratterizzati dalla disregolazione emotiva) e agli IMAO (in presenza di caratteristiche sintomatologiche “inverse” o “atipiche”) rispetto ai triciclici.
Diagnosi differenziale
Le condizioni da prendere in considerazione per la diagnosi differenziale della depressione resistente sono riassunte nella Tabella 2.
Si parla di pseudoresistenza quando la mancata risposta alla terapia è imputabile a fattori esterni all’azione del trattamento. Il termine è stato introdotto da Nierenberg e Amsterdam nel 1990, per indicare quei casi in cui la non risposta alla terapia fosse da attribuirsi all’inadeguatezza del trattamento, in termini di durata o dosaggio41. Alcuni dati della letteratura suggeriscono che meno della metà dei pazienti depressi riceve un trattamento antidepressivo adeguato, ovvero con dosi standard e per una durata di tempo sufficientemente lunga da indurre un effetto clinico significativo42.



Il sottodosaggio dell’antidepressivo è storicamente riconosciuto come una delle principali cause di mancata risposta al trattamento15,18. Le principali linee-guida sul trattamento della depressione considerano adeguato, per i TCA, un trial di non meno di 250-300 mg/die di imipramina (o equivalenti) e, nel caso degli IMAO, un trial di 90 mg/die di fenelzina (o equivalenti)27,36. Per gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e gli antidepressivi di nuova generazione (NARI, NaSSA) non esistono ancora precisi criteri per definire la dose adeguata del farmaco, in quanto il rapporto dose-livelli plasmatici-risposta terapeutica necessita di ulteriori approfondimenti clinico-farmacologici. Sebbene studi preliminari di farmacocinetica sembrino delineare, in particolar modo per gli SSRI, una curva dose-risposta di tipo “piatto”, sembra consigliabile anche per queste classi di antidepressivi aumentare il dosaggio fino alla massima dose tollerata, ovviamente all’interno del range terapeutico, prima di considerare inefficace il trattamento.
Il giudizio sull’adeguatezza di un trattamento non può quindi prescindere dalla valutazione degli effetti sul metabolismo del farmaco da parte di potenziali fattori di variabilità quali: l’età, il sesso, il peso corporeo, lo stato fisico generale, le caratteristiche genetiche e le interazioni farmacologiche. Nella gestione terapeutica del paziente depresso non-responder spesso vengono rilevati livelli plasmatici dell’antidepressivo inferiori al range terapeutico, a causa della concomitante prescrizione di farmaci induttori del metabolismo. Anche le caratteristiche genotipiche del paziente possono influenzare la variabilità dei livelli plasmatici del farmaco: negli ultimi anni sono aumentate le evidenze sul ruolo di geni coinvolti nel metabolismo di farmaci e xenobiotici come il trasportatore transmembrana ABCB1, meglio noto come glicoproteina p, gli isoenzimi CYP2D6 e CYP2C19 del citocromo P45043. È stata infatti dimostrata una variabilità dei livelli plasmatici di nortriptilina in funzione del grado di attività dell’isoenzima CYP2D6; inoltre, in uno studio svedese di alcuni anni fa, prendendo in esame soggetti con due differenti genotipi per CYP2D6, distinti in rapidi e lenti metabolizzatori, è stato riscontrato che circa il 90% dei pazienti con refrattarietà per farmaci antidepressivi, metabolizzati dal citocromo 2D6, rientra tra i rapidi metabolizzatori 44. In effetti, il ruolo del profilo metabolico per il citocromo P450 sull’esito del trattamento appare ancora controverso, in quanto i risultati di indagini più recenti non hanno confermato l’associazione del genotipo per gli isoenzimi CYP2D6, 2C19 con le probabilità di risposta al trial antidepressivo45,46.
La valutazione dell’adeguatezza di un trattamento si basa anche sulla sua durata: nella maggior parte degli studi clinici è considerato ottimale un periodo di somministrazione dell’antidepressivo di almeno 4-6 settimane. Si tratta, tuttavia, di studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica, allo scopo di stabilire differenze statisticamente significative tra il farmaco e il placebo14,15,47, mentre nella letteratura sulla TRD si puntualizza l’opportunità, specie in particolari popolazioni di pazienti, di prolungare il trattamento oltre la durata standard delle 4 settimane, prima di assumerne l’inefficacia. Questa posizione trova supporto nei dati di alcuni studi che hanno osservato la remissione clinica della depressione prolungando la durata del trial oltre le 10 settimane in pazienti partial-responder19,47,48. In particolare, nella sottopopolazione di pazienti depressi di età senile, sembra necessario prolungare il trattamento ad almeno 12 settimane prima di apprezzare un miglioramento significativo10,49.
In psichiatria, come in ciascun’altra disciplina medica, la compliance al trattamento è un aspetto cruciale: secondo alcune stime fino al 20% dei casi di refrattarietà al trattamento antidepressivo è attribuibile alla mancata aderenza del paziente alle prescrizioni terapeutiche13-15. In questi casi può essere necessario rafforzare l’alleanza terapeutica tra medico e paziente anche con un intervento psicoeducazionale, improntato all’informazione sulle caratteristiche del disturbo, la natura dei sintomi, le modalità del decorso e alla discussione sugli effetti dei farmaci, i risultati attesi e la durata del trattamento.
Un altro fattore esterno di potenziale resistenza al trattamento è un errato inquadramento diagnostico. Anche in questo caso sarebbe più opportuno parlare di “pseudoresistenza”: tra le cause più comuni sono da annoverare il mancato riconoscimento di una patologia somatica in comorbilità con la depressione come una disendocrinia (ipotiroidismo, malattia di Cushing), una malattia neurologica (sclerosi multipla, parkinsonismi, ecc.), l’abuso di sostanze (anche di benzodiazepine) 9,15. Una rivalutazione della diagnosi prevede anche la precisazione delle caratteristiche sintomatologiche della depressione, in quanto alcuni sottotipi rispondono meno favorevolmente al trattamento antidepressivo e richiedono interventi terapeutici specifici9,15. Per esempio la depressione di tipo melanconico, contrassegnata da rallentamento psicomotorio, tipiche alterazioni neurovegetative (insonnia terminale, iporessia) e alternanza diurna classica, avrebbe una risposta preferenziale ai TCA e alla TEC, mentre le forme depressive con caratteristiche atipiche, quali reattività del tono dell’umore, sensitività interpersonale e pattern inverso di alterazioni neurovegetative (ipersonnia, iperfagia), hanno maggiori probabilità di risposta al trattamento con IMAO o SSRI rispetto ai TCA 50. Nella depressione con sintomi psicotici, infine, la monoterapia con antidepressivi è in genere inefficace ed è invece indicato il trattamento combinato con antipsicotici o la TEC51.
L’indagine sui fattori di rischio per la non risposta/resistenza al trattamento rappresenta un importante capitolo della letteratura sulla TRD. Nel 2001, in uno dei primi lavori sull’argomento, Kornstein e Schneider9 identificarono nella comorbilità psichiatrica e/o medica, nell’età avanzata del paziente, nella gravità dei sintomi e nella cronicità del decorso i maggiori fattori di rischio per la resistenza al trattamento antidepressivo. Il Gruppo Europeo per lo Studio della Depressione Resistente (GRSD) su un campione di 702 pazienti con diagnosi di episodio depressivo maggiore ha evidenziato 11 variabili correlate con la resistenza al trattamento; un successivo processo di analisi statistica ha quindi individuato come maggiori fattori di rischio per TRD la comorbilità con i disturbi d’ansia, l’ideazione suicidaria, la gravità pre-trattamento dei sintomi e l’anamnesi longitudinale di mancata risposta al primo trattamento antidepressivo 27,28.
La comorbilità psichiatrica è dunque riportata in letteratura come uno dei principali predittori clinici di resistenza al trattamento antidepressivo. In particolare è sottolineato il ruolo della comorbilità con i disturbi d’ansia: nell’indagine del GRSD citata in precedenza, infatti, il 39,3% dei pazienti con TRD presentava anche una diagnosi di disturbo di ansia in asse I. Le evidenze sulla correlazione tra comorbilità ansiosa nella depressione e scarsa risposta al trattamento 52,53 sono numerose: appaiono esemplificativi in tal senso i risultati di uno studio di qualche anno fa, che indicavano nel concomitante uso di ansiolitici/ipnoinduttori un predittore di resistenza al trattamento nei pazienti depressi in età senile54. L’impatto negativo della comorbilità ansiosa sulla risposta al trattamento antidepressivo sembra da attribuirsi in particolare ad alcune forme cliniche: nello studio del GRSD, la diagnosi di disturbo d’ansia più frequentemente riportata tra i pazienti depressi resistenti era quella di disturbo di panico, mentre in due precedenti contributi la presenza “lifetime” di sintomi dello spettro panico-agorafobico nel paziente depresso era associata a una scarsa risposta alla farmacoterapia 55 e alla psicoterapia interpersonale56. Infine, è necessario menzionare il ruolo che anche altre comorbilità psichiatriche possono esercitare sull’esito di un trattamento antidepressivo. In particolare, sono state raccolte in letteratura numerose evidenze sulle correlazioni dell’abuso di sostanze con la TRD57: perfino un consumo moderato di alcool può contribuire alla refrattarietà alla terapia antidepressiva58.
Appare, invece, controverso il ruolo della comorbilità con i disturbi di personalità: i dati sulla correlazione con una scarsa risposta al trattamento antidepressivo riportati da alcuni studi59-61 non hanno trovato conferma nei risultati di lavori successivi62-64. Contrastanti risultano anche i dati relativi al ruolo del “neuroticismo”, sebbene in un recente articolo Ghaemi65 abbia rilanciato la validità diagnostica del sottotipo di depressione “neurotica”, anche come predittore di refrattarietà al trattamento con antidepressivi.
Anche la comorbilità medica è stata identificata come un importante fattore di rischio per la resistenza al trattamento; secondo dati della letteratura la coesistenza di patologie fisiche è rilevabile in circa la metà dei pazienti degenti per depressione, e oltre a modularne la presentazione clinica tende anche a condizionare l’esito del trattamento9,66. Le caratteristiche intrinseche della patologia medica sembrano importanti: in uno studio su 671 pazienti depressi in età senile l’esito sfavorevole del trattamento antidepressivo era associato solo con particolari forme di patologia fisica, per esempio artriti e disturbi cardiocircolatori, ma non con tutte le condizioni mediche coesistenti67. I dati della letteratura attribuiscono, inoltre, una notevole rilevanza alla comorbilità con le tireopatie: sono state osservate forme subcliniche di ipotiroidismo in oltre la metà dei pazienti depressi con refrattarietà al trattamento68.
È stato riportato che la gravità pre-trattamento della depressione è un fattore di rischio per la resistenza alla terapia antidepressiva28 e altri comuni indicatori clinici di gravità, come per esempio la lunga durata dell’episodio, l’alta ricorrenza e il numero di ospedalizzazioni, sono stati associati alla TRD in altri contributi9,28. Una scarsa risposta al trattamento può essere condizionata anche da singoli aspetti sintomatologici, come la presenza di caratteristiche melanconiche o di sintomi psicotici8,9,28.
Sull’esito del trattamento antidepressivo sembra incidere anche la presenza di ideazione suicidaria: in due studi che confrontavano pazienti con TRD e soggetti depressi non resistenti, la presenza di propositi suicidari era più frequente nei pazienti con refrattarietà al trattamento69,70.
La lunga durata dell’episodio (specie superiore ai 24 mesi), un’età d’esordio precoce e l’anamnesi positiva per il fallimento di precedenti terapie antidepressive, sono stati identificati come predittori clinici di refrattarietà al trattamento8,9,28.
In merito al ruolo delle variabili demografiche le evidenze a disposizione non sono conclusive: alcuni studi avevano attribuito al genere femminile il ruolo di predittore di scarsa risposta al trattamento, indagini più aggiornate ne hanno invece ridimensionato il peso, evidenziando a ogni modo nei soggetti di sesso femminile diminuite probabilità di risposta a particolari classi di antidepressivi quali i TCA9,71,72.
Resistenza al trattamento e diatesi bipolare
Sin dal 1987, Akiskal e Mallya73 avevano incluso la non risposta agli antidepressivi tra i criteri di soft bipolar spectrum. Studi successivi sembrerebbero confermare questa relazione: la non risposta agli antidepressivi può essere considerata un indicatore di bipolarità e, d’altra parte, la presenza di aspetti clinici o di decorso, anche attenuati, di tipo bipolare spesso sottendono la refrattarietà al trattamento con antidepressivi.
Sharma et al.74 hanno condotto uno studio di follow-up su un campione di pazienti con diagnosi di depressione unipolare resistente al trattamento. A una accurata, successiva rivalutazione della diagnosi, effettuata con strumenti standardizzati, quali l’Intervista Clinica Strutturata per DSM-IV (SCID)75 e con i criteri per il disturbo bipolare di spettro76, il 59% di questi pazienti riceveva una diagnosi di disturbo bipolare I o II secondo i criteri del DSM-IV2 mentre oltre la metà del campione risultava soddisfare i criteri per lo spettro bipolare76. Complessivamente, l’80% circa del campione mostrava evidenze significative di diatesi bipolare74. Studi successivi, di natura prospettica, hanno confermato la relazione tra resistenza al trattamento ed evoluzione bipolare del disturbo affettivo: in un’indagine di follow-up su pazienti depressi con diagnosi iniziale di depressione unipolare, la probabilità di conversione in disturbo bipolare risultava statisticamente superiore tra i pazienti con resistenza alla terapia antidepressiva rispetto ai pazienti responder77. Questi risultati sono in linea con i dati di uno studio ancora più recente78 che documentano, nel paziente con depressione unipolare, l’associazione tra un’anamnesi farmacologica di scarsa risposta ai trattamenti antidepressivi e la probabilità di evoluzione in disturbo bipolare. Infine, anche i risultati dello studio multicentrico europeo Treatment Resistant Depression Project79 indicano nella bipolarità, valutata con il Mood Disorder Questionnaire (MDQ) e l’Hypomania Checklist (HCL-32), un fattore di rischio per la non risposta al trattamento antidepressivo nel paziente depresso. Sulla base di queste evidenze, alcuni autori hanno avanzato la tesi secondo cui, almeno in alcuni casi, la resistenza al trattamento riconosca un’origine iatrogena, ovvero rappresenti una conseguenza dell’errata prescrizione di farmaci antidepressivi in un paziente con diatesi bipolare non riconosciuta 65,80. A sostegno di tale ipotesi sono stati ricordati alcuni effetti della terapia antidepressiva, solitamente descritti nei pazienti depressi bipolari, ma di comune osservazione anche nella depressione resistente unipolare. È il caso, per esempio, del fenomeno di “wear-off”, che consiste nella perdita graduale dell’efficacia terapeutica dell’antidepressivo, dopo la risposta iniziale nella fase acuta del trattamento, con la conseguente ricomparsa dei sintomi depressivi nelle fasi successive di mantenimento e/o profilassi. Altra tipica conseguenza dell’uso di antidepressivi nella depressione bipolare è rappresentata dalla perdita progressiva di efficacia in trial antidepressivi successivi ( refractoriness)81. Inoltre, è da considerare un segno di diatesi bipolare la comparsa, in relazione con l’assunzione di antidepressivi, di sintomi della sfera timica (irritabilità), psicomotoria (irrequietezza) e cognitiva (accelerazione ideica) che tendono a configurare un quadro di stato misto attenuato o sindrome depressiva mista80,81.
In effetti sul tema del rapporto tra diatesi bipolare e risposta al trattamento antidepressivo le posizioni dei vari autori, esposte in letteratura, non sono pienamente concordi e il dibattito aperto in merito appare ancora lontano da una risoluzione. Ghaemi65 ha provato ad argomentare la tesi del ruolo fondamentale esercitato dalla soft bipolarità nella resistenza agli antidepressivi sostenendo che, come indicato dai risultati degli studi di effectiveness STAR*D e STEP-BD, l’incapacità a riconoscere la natura bipolare di un quadro depressivo rappresenta una causa determinante della limitata efficacia degli antidepressivi nel trattamento della depressione. Di segno opposto sono invece le considerazioni di Perlis et al. 82: secondo questi autori, infatti, la semplice osservazione che la non risposta agli antidepressivi si associ più frequentemente ad alcuni sintomi come l’irritabilità e le manifestazioni simil-psicotiche, sicuramente indicatori di bipolarità, non consente di concludere necessariamente che la diatesi bipolare di per sé sia correlata con la resistenza al trattamento; la non risposta, infatti, potrebbe essere correlata ai singoli aspetti sintomatologici. È opportuno ricordare come diversi contributi mettano in relazione la prescrizione di antidepressivi (anche in combinazione con stabilizzatori dell’umore) con un’aumentata incidenza di condotte suicidarie in pazienti depressi con diatesi bipolare. È stato suggerito che nelle prime settimane di trattamento gli antidepressivi siano più efficaci sulla componente motoria rispetto alla componente ideativa e all’umore; pertanto, nei pazienti che presentano fattori di rischio suicidario a breve termine (ansia, insonnia, disforia, agitazione) la terapia antidepressiva potrebbe tradursi in una spinta all’azione e alla messa in atto di agiti anticonservativi 83. Secondo McElroy et al.84 in questi casi si verificherebbe un “parziale” switch in senso maniacale, ove solo la componente psicomotoria, ma non quella cognitiva (che rimane invece “fissata” su vissuti di inguaribilità, hopelessness e pessimismo), subirebbe un improvviso e repentino viraggio nel senso dell’attivazione. In queste forme di depressione, corrispondenti a uno stato misto attenuato, inoltre, il trattamento con antidepressivi determina un’ulteriore destabilizzazione del tono dell’umore verso la rapida ciclicità, la cronicizzazione e l’aumentato rischio di suicidio nel tempo 85.
CONCLUSIONI
La depressione è una patologia ampiamente diffusa nella popolazione generale: malgrado la disponibilità di numerose strategie di trattamento, un numero consistente di pazienti (variabile tra il 50 e il 60%) non raggiunge la risposta clinica, con alti costi in termini di sofferenza personale e di coinvolgimento dei servizi di salute pubblica.
Questo contributo si propone di fornire al clinico una revisione sintetica e completa della letteratura recente in tema di nosografia e clinica della TRD.
Da quanto esposto si possono evincere le seguenti conclusioni:
− la definizione e la classificazione della TRD sono ancora oggetto di controversia e i vari modelli di stadiazione attualmente disponibili non sono stati valutati con studi prospettici;
− prima di stabilire il tipo di strategia terapeutica da effettuare è sempre opportuno escludere eventuali cause di pseudoresistenza (quali sottodosaggio dell’antidepressivo, durata inadeguata del trial, fattori metabolici, scarsa compliance al trattamento, presenza di comorbilità somatiche e mediche, diagnosi impropria del sottotipo depressivo);
− particolarmente importante è riconoscere la presenza di una diatesi bipolare, che è associata non solo a una minor risposta agli antidepressivi, ma anche a un maggiore rischio di ciclicità continua, di cronicizzazione del quadro clinico e di comportamenti suicidari.
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