Come cureremo l’ampio spettro di pazienti con gravi malattie
mentali autori di reato?
La Legge n. 81/2014: limiti e problematiche
How do we treat the broad spectrum of patients with serious mental illness
who have committed crimes? The Law 81/2014: limits and problems
CriManSCri*
Gruppo di Studio per le Criticità del Management Sanitario Criminologico
E-mail: stefano.ferracuti@uniroma1.it
riassunto. In Italia è in corso un processo di deistituzionalizzazione che non ha precedenti al mondo. Si stanno progressivamente svuotando gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che non sono mai stati riformati negli ultimi 80 anni. Questo processo sta venendo attuato tramite una stratificazione di norme senza una progettualità diversa dalla rapida chiusura di queste fatiscenti strutture. Ai Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono richieste una molteplicità di compiti nuovi e fortemente specialistici, e una estensione del loro potere di controllo, senza che queste strutture siano organizzate in tale senso. Alcune delle norme recentemente varate, come la Legge 81 del 2014, per risolvere alcuni problemi derivanti dalle difficoltà di deistituzionalizzazione complicano, a nostro parere, diversi aspetti gestionali di questa popolazione di gravi pazienti psichiatrici, che comunque non è assimilabile alla normale utenza dei DSM. Vi è necessità di un intervento legislativo coordinato e pensato su una prospettiva a lungo termine.
PAROLE CHIAVE: Ospedale Psichiatrico Giudiziario, Legge 81/2014, deistituzionalizzazione, pazienti psichiatrici gravi.
SUMMARY. In Italy an ongoing process of deinstitutionalization unprecedented in the world is been enacted. The Judicial Psychiatric Hospitals, that were never reformed in the past 80 years, are now on the edge of their closure. This process is being implemented through a layering of rules that had no purpose other than the rapid closure of these structures. The Mental Health Departments have now the responsibility of a multiplicity of new and highly specialized tasks, and an extension of their power to control. There is no previous organization for these tasks in the Mental Health System. Some of the recently enacted laws, such as the Law 81 of 2014, are intented to solve some problems, althought issues of deinstitutionalization are getting worse. In our opinion several management aspects of this population of severe psychiatric patients are unfit with the present organization of the Mental Health Services. There is need for legislative action coordinated and based on a long-term perspective.
KEY WORDS: Judicial Psychiatric Hospitals, Law 81/2014, deinstitutionalization, severe psychiatric patients.

INTRODUZIONE
Le considerazioni di questo lavoro vogliono essere un contributo a un dibattito che non può essere solo clinico o solo giuridico o sociale relativo al complesso processo di deistituzionalizzazione che si sta attuando in Italia per i pazienti psichiatrici gravi, definiti come categoria ampia, e tale da includere anche pazienti psicorganici, ritardati mentali, con gravi disturbi di personalità e qualche demente, di solito fronto-temporale, che hanno commesso reati.
Vi è stata una progressiva stratificazione di norme, evidentemente non coordinate strategicamente, che ha condotto alla Legge 81/2014. La necessità, invece, di poter usufruire di un insieme di norme per la gestione dei pazienti psichiatrici gravi, così come giuridicamente intesi dagli artt. 88, 89 e 95 cp – ovvero un numero di persone più ampio di quello che, tradizionalmente i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) hanno avuto come utenza da gestire –, è una esigenza di democrazia e libertà tale da impedire l’abbandono dei più deboli. Riteniamo perciò che una disamina della norma in questione, al di fuori di considerazioni tattiche improntate all’urgenza di concludere la triste storia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), possa contribuire a una comprensione del panorama futuro.
Va detto che l’esame della norma in oggetto suscita inevitabilmente notevoli preoccupazioni negli operatori della salute mentale. Si è cercato di raccogliere in estrema sintesi qualche riflessione preliminare.
La Legge n. 81 del 30.05.20141 reca disposizioni urgenti in materia di superamento degli OPG e nell’allegato articolo 1-quater prevede che:
«Le Misure di Sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del Codice di Procedura Penale2. Per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo».
Ne consegue che da un lato il giudizio psichiatrico-forense viene ritenuto indispensabile per la determinazione della pericolosità sociale da cui derivare l’eventuale applicazione della misura di sicurezza; dall’altro si prefigura la sua inutilità assoluta per la rivalutazione della stessa, vista l’estensione della medesima determinata ex lege. Ben sapendo che la malattia non si estingue con una norma, sorgono alcune domande: che cosa avviene qualora perdurino gravi elementi clinici di attualità della malattia mentale considerando, tra l’altro, che la prognosi è assai ardua in psichiatria, così come la recidiva è molto frequente anche a distanza di tempo, e che i quadri morbosi possono essere di difficile stabilizzazione? Chi deve intervenire e con quali opportuni strumenti? Dove e come attuare vigilanza e prevenzione? Quale soluzione può essere data a questi indiscutibili scenari di rilevanza statistica?
Vi sono opinioni per le quali il soggetto ancora pericoloso per il clinico, tuttavia, non lo sarebbe più per la legge e quindi non sarà più sottoposto ad alcuna misura di sicurezza, neppure detentiva. Sarà però affidato alle cure degli specialisti, nei presidî ordinari, in assenza di vincoli imposti dall’autorità giudiziaria, avvalendosi magari del dispositivo del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), comunque all’interno della posizione di garanzia gravante sugli operatori psichiatrici. Tuttavia, per la clinica psichiatrica le persone non possono essere valutate come “pericolose” con l’attuale normativa civilistica. Ne deriva che una persona ancora non clinicamente stabilizzata o ritardata mentale, con possibili comportamenti impulsivi, o con delirio cronico strutturato resistente alle terapie e con precedenti di comportamenti antigiuridici contro la persona e un grave disturbo di personalità, al termine della misura determinata dal Codice Penale è da considerarsi libera. Tuttavia, questa persona, specialmente se trattasi di paziente psichiatrico grave, con patologia mentale non stabilizzata, e incapace di dare consenso al trattamento, non necessariamente è nelle condizioni per un TSO, ma non è accettabile che sia lasciato a se stesso, dal momento che, verosimilmente, si ricadrebbe nell’abbandono di incapace (vedi art. 591 cp).
Altre opinioni, invece, sostengono la legittimità di misure non detentive (libertà vigilata) anche al termine del periodo della pena edittale, pur con perplessità di tipo giuridico: infatti, quale sarebbe la base normativa su cui applicare una misura di sicurezza, sebbene non detentiva, a una persona?
In una schematizzazione di tipo cronologico si potrebbero così scandire le entrate (e le uscite) di scena dello psichiatra dal palcoscenico operativo futuro (ma già vigente):
• psichiatra SÌ: per il giudizio di pericolosità sociale all’ingresso;
• psichiatra NO: per la rivalutazione dell’eventuale permanenza della pericolosità sociale perché tanto la temporizzazione interviene per misura di legge;
• psichiatra SÌ: per tutti gli interventi vincolati agli obblighi della posizione di garanzia, ovviamente in ossequio alla legge che impone la gestione dei casi nei DSM, soprattutto con particolare cautela verso coloro che sono a rischio di condotte lesive (presa in carico per la sicurezza della collettività, dunque prevalenza del concetto di “difesa sociale” sul principio del “diritto, e appropriatezza, delle cure”).

Questa altalena in un quadro normativo privo di una adeguata legge sulla responsabilità professionale. Al termine dei giochi, una sorta di psichiatra-marionetta tirato dai fili delle diversificate necessità di volta in volta subentranti, nonché da altri individuate.

Esaminiamo ora, schematicamente, i dati degli internati della Regione in cui operiamo (Lazio); successivamente presenteremo le principali criticità da noi riscontrate.
QUANTI PAZIENTI DELLA REGIONE LAZIO HANNO UNA MISURA DI SICUREZZA DETENTIVA?
Il flusso dei pazienti in entrata e in uscita dall’OPG è dinamico, cioè cambia continuamente ogni giorno. Il referente regionale della Regione Lazio gestisce il flusso dei dati dei pazienti sottoposti a una misura di sicurezza, integrando le informazioni aggiornate dal Sistema Informativo per il Monitoraggio del Superamento OPG (SMOP) e quelle ricevute dai referenti dei 12 DSM del Lazio. Dal Sistema Informativo si apprende che il totale degli internati di competenza della Regione Lazio, al 31.12.2014 è di 113 pazienti (96 M e 17 F), presenti in OPG o in Casa di Cura e Custodia (CCC).
Questo totale comprende:
• 61 presenti nell’OPG di Aversa;
• 26 nell’OPG di Napoli;
• 15 presenti nell’OPG di Castiglione delle Stiviere (n=15, di cui 14 femmine e 1 maschi);
• 7 internati presso l’OPG di Reggio Emilia;
• 2 internati presso l’OPG di Montelupo Fiorentino;
• 2 internati presso la CCC di Sollicciano (n=2 F).

Il totale dei pazienti dimessi di competenza della Regione Lazio dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2014 è di 319. Tale numero non rileva il dato esatto dei pazienti presi in carico dai DSM e dai Servizi Tossicodipendenze (SerT) in questi anni, che quindi resta sottostimato, per due ragioni: i pazienti prosciolti per vizio di mente possono non transitare in OPG per decisione del magistrato ed essere inviati direttamente in libertà vigilata (LV) o rimanere in misura provvisoria di sicurezza (art. 206 cp) in una sede non manicomiale; la rilevazione dei dati è iniziata dal gennaio 2011 e i pazienti presi in carico precedentemente dai Servizi e forse ancora seguiti non sono conosciuti.
Categoria giuridica dei pazienti presenti in OPG (Regione Lazio)
La categoria giuridica dei pazienti presenti in OPG della Regione Lazio è mostrata nella Figura 1. Il 42% (n=48) dei pazienti ha una misura di sicurezza provvisoria (art. 206 c.p.). Il 13% dei presenti in OPG è detenuto (artt. 111 e 112 D.P.R. 230/2000; 148 c.p.).
Dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 sono entrati in OPG 98 pazienti e ne sono stati dimessi 102 (Figura 2).
Dall’entrata in vigore della legge 81 (Legge 30 maggio 2014, n. 81) nel Lazio sono stati dimessi 64 pazienti: 15 in LV, 13 in licenza finale di esperimento (LFE), 11 scarcerati per fine pena, 7 hanno avuto una revoca della misura di sicurezza, 18 con motivazioni varie.



Motivazioni di ingresso in OPG (Regione Lazio)
Al 31.12.2014, i soggetti che rientrano in OPG per un fallimento di una misura di sicurezza alternativa (LFE o LV) sono il 16,6%.
Dei 113 soggetti presenti in OPG (al 31.12.2014), il 24,8% (n=28) provengono dalla condizione di libertà.
LA QUESTIONE DELLA PENA EDITTALE
Fino al 30.05.2014 il magistrato richiedeva la valutazione della pericolosità sociale psichiatrica allo specialista e tale valutazione doveva essere rinnovata entro l’anno, ma poteva, in teoria, essere riconfermata all’infinito (i cosiddetti “ergastoli bianchi”).
Dal 30.05.2014 invece la pericolosità sociale decade comunque allo scadere del tempo della pena, cioè: «Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle REMS, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima»3. La norma potrebbe avere conseguenze paradossali in termini di controllo, dal momento che l’omicidio, per esempio, ha una pena base di 21 anni (art. 575 cp), mentre oggi una misura di sicurezza può avere come durata minima 10 anni.
Un altro aspetto concerne la criteriologia della valutazione della pericolosità sociale, almeno per come la intende il Codice Penale. Si badi bene che non si vuole qui condividere tale impostazione di giudizio, ma solo tematizzare alcune possibili conseguenze dell’applicazione della norma così come la Legge 81 potrebbe consentire. La valutazione della pericolosità sociale risponde notoriamente all’art. 203 c.p. che individua la “qualità” di persona socialmente pericolosa desumendola dalle circostanze indicate nell’art. 133 c.p. pertinente la gravità del reato, nonché la valutazione agli effetti della pena. L’art. 133 c.p. si declina in quattro punti:
1. natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione;
2. gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3. intensità del dolo o grado della colpa;
4. capacità a delinquere del colpevole.

Il quarto punto (capacità a delinquere del colpevole) a sua volta si declinava in 4 commi:
• motivazioni e carattere del reo;
• precedenti penali e giudiziari, condotta di vita antecedente;
• condotta contemporanea e susseguente al reato;
• condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Una novità che è subentrata con la legge in oggetto e allarma gli operatori dei DSM è la abolizione del quarto comma, vale a dire che «le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo» non possono più essere prese in considerazione dal magistrato e pertanto neppure dal consulente interpellato perché non più di rilevanza giuridica. Questa abrogazione è, a nostro avviso, irrazionale quando si prospetti la sua applicazione su un tempo lungo. Certamente era intenzione del legislatore implementare le dismissioni dagli OPG che spesso, invece, erano limitate dalla mancanza di un programma trattamentale concordato con il DSM, ma il rischio di una conseguenza più complessa e meno strutturata è inevitabile.
L’abolizione del quarto comma (art. 133 c.p.) per diversi aspetti limita in modo illegittimo l’autonomia del magistrato. Dall’altro, tale cancellazione contraddice palesemente alcuni fondamenti del pensiero psichiatrico contemporaneo, nonché del diritto e della criminologia. Infatti, grazie alle moderne acquisizioni scientifiche, la concezione della “malattia mentale” poggia sul noto paradigma “bio-psico-sociale”: negare la valutazione dell’incisività del contesto sulla patologia significa operare un’arbitraria riduzione al solo dato biologico.
A vedere la problematica in termini criminologici è ragionevole ipotizzare che nel retro-pensiero dell’estensore della suddetta novità legislativa vi possa persino essere stato il riferimento alla concezione più radicale della negazione della malattia mentale4-6.
Rimanendo in una prospettiva criminologica, si potrebbe considerare la suddetta anche una forma di affermazione di neo-lombrosianesimo7, dal momento che esclude dalla valutazione del rischio di recidiva i fattori sociali. Questo facilita l’interpretazione di reati, specialmente quelli contro la persona, non chiaramente motivati, o derivanti da relazioni sociali molto deteriorate, come espressione di un disturbo mentale, dunque esclusivamente un atto patologico e non un’azione deliberatamente commessa per istanze antropologiche ordinarie, ma semplicemente antisociali. Pertanto, se l’autore di un reato irrazionale è da considerarsi quasi automaticamente un “malato”, non avrebbe uso la valutazione dei fattori “di contorno” (come le «condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo») perché comunque questa persona deve essere necessariamente curata. La responsabilità di ogni cura deve essere assunta dal DSM per legge, cosicché l’ambito di competenza del controllo dei comportamenti devianti si estende per queste strutture, originariamente però concepite come esclusivamente sanitarie e perciò non attrezzate a svolgere compiti di controllo.
Una possibile ulteriore forma di interpretazione dell’attuale norma potrebbe derivare nel valutare la pericolosità sociale, secondo gli indicatori di possibile pericolosità individuati dal criminologo Fornari8. Tuttavia, anche qui, si hanno delle insormontabili difficoltà. Tali indicatori, secondo l’autorevole studioso, sono:
Indicatori interni
1. persistenza di una sintomatologia psicotica florida;
2. consapevolezza di malattia assente o gravemente compromessa;
3. rifiuto delle terapie prescritte o risposta insufficiente a quelle praticate (anche se adeguate sotto il profilo qualitativo e del range terapeutico);
4. deterioramento o destrutturazione psicotica della personalità che impedisca un compenso in tempi ragionevoli, per esempio disorganizzazione cognitiva, impoverimento ideo-affettivo e psico-motorio;
5. eventuale progressione o gravità delle condotte di scompenso e dei disturbi psicopatologici;
Indicatori esterni
1. caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale di appartenenza;
2. esistenza e adeguatezza dei servizi psichiatrici di zona;
3. possibilità di (re)inserimento lavorativo o soluzioni alternative;
4. tipo, livello e grado di accettazione del rientro del soggetto nell’ambiente in cui viveva prima del fatto-reato;
5. opportunità alternative di sistemazione logistica.

Si hanno due tipi di problema: con l’attuale norma i cosiddetti “indicatori esterni” non sono più utilizzabili, e gli indicatori “interni”, sebbene clinicamente logici, non sono mai stati validati a livello statistico, e non si dispone, perciò, di alcun utile strumento “evidence-based” per effettuare questo tipo di valutazione, il che appare incongruo con un SSN che ha come fondamento, invece, la medicina basata sulle evidenze.
Peraltro, nella molteplicità di proposte e nella ridda di ipotesi su come organizzare la gestione di queste persone, non è stata mai avanzata una ipotesi di valutazione della capacità al consenso al trattamento di queste persone, ovvero si manca della criteriologia a monte per stabilire se la persona sia o meno in grado di avere consapevolezza della necessità delle cure; è legittimo interrogarsi su come sia possibile trattare persone che pur non necessitando di un TSO non sono in grado di fornire un consenso al trattamento, non esistendo una norma civilistica intermedia o dovendo ricorrere all’amministratore di sostegno con facoltà di esprimere il consenso informato al trattamento al posto dell’amministrato, misura protettiva di non agevole applicazione, anche solo per i tempi processuali che richiede.
Ogni criminologo sa che nessun reato si realizza al di fuori di un contesto perché nessuno può comportarsi da criminale se si trova in un deserto. Parimenti ogni clinico sa che le relazioni (ambientali, amicali, lavorative, parentali, sentimentali, persino quelle virtuali, ecc.) sono basilari nello psichismo dell’essere umano. Per questo, impedire tramite una norma così rigida la raccolta dei dati socio-relazionali per valutare la dimensione criminologica connessa con le condizioni familiari e sociali appare incauto.
Per converso, la magistratura sollecita i DSM di adoperarsi per il re-inserimento lavorativo, per una dignitosa collocazione abitativa, nonché per forme di sussidio economico per i pazienti ex OPG, il che, a questo punto appare illogico dal momento che, evidentemente, i fattori sociali non sono rilevanti ai fini della valutazione della pericolosità sociale dei prosciolti.
DOVE, COME, QUANDO, CHI…
Molto interessante appare il pensiero di quanti affermano l’imprescindibile dovere di proteggere questi pazienti con un amministratore di sostegno9, meglio se ancor prima delle dimissioni dagli OPG. Ci si chiede, però, con quale legittimità si considererebbe una popolazione dichiarata automaticamente ex lege “incapace”, con un’azione sommatoria di interventi giuridici che appartengono ad ambiti diversi: infatti, “non imputabilità” e/o “pericolosità” non significano tout court riduzione delle capacità di agire. Inoltre, per lo meno in alcuni casi, un auspicabile esito delle cure ricevute quando si è in misura di sicurezza dovrebbe essere proprio un aumento delle capacità di autodeterminazione. Se vi fosse questo automatismo verso la tutela giuridica degli internati, che ne sarebbe di quei pazienti che potrebbero aver acquisito una capacità di intendere e volere prima deficitaria? C’è poi da considerare che la macchina dell’intervento del giudice tutelare sembra maggiormente attenta a quel che attiene alla capacità di atti di disposizione patrimoniale del soggetto, mentre si mostra meno sincrona con le stringenti necessità di collocazione sanitaria e/o con le esigenze di supporto nella compliance alle cure.
Negli scenari prossimi venturi si avvicina sempre di più l’eventualità che, in mancanza/carenza di altre sedi, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) possano trasformarsi in un luogo di puro “stazionamento” tanto improprio quanto inutilmente controproducente sia per gli specifici bisogni di cura del paziente, sia per le esigenze di effettiva prevenzione contenitiva dei loro sintomi/reati, sia per la loro organizzazione architettonica, non prevista per degenze di lunga durata e caratterizzata da spazi limitati.
Torna con forza il dubbio che sarebbe assai più appropriato prevedere anche ulteriori strutture adeguate al duplice compito di contenere e curare in modo specialistico senza per questo riprodurre il claustrum (asylum) degli OPG.
Del resto dove il paziente potrà trascorrere il tempo indefinibile della sospensione del processo allorquando questo venga sospeso per la incapacità processuale dell’imputato (art. 70 cpp)? Si tratta di una sorta di limbo in cui restare per l’appunto sospesi in attesa delle decisioni del perito con imprevedibilità degli esiti e della temporizzazione degli interventi…
E ancora, il problema dei pazienti afferenti all’art. 206 c.p. pertinente l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza è forse quello maggiormente connesso alla novità introdotta dal 30.05.2014. Infatti, l’elemento più sfuggente è proprio “il processo” con il suo iter, le sue necessità, l’interazione tra più soggetti. Diverso è invece il caso dei pazienti con provvedimenti definitivi per i tempi noti e la maggiore comprensione del tema (ed esperienza) da parte del tribunale di sorveglianza: in questi casi sarà consigliabile agire mediante équipe di psichiatria forense. La ASL RM A sembra andare in questa direzione avendo istituito all’interno del DSM una specifica “équipe valutativa multidisciplinare” e avendo sviluppato una specifica professionalità per il carcere di Regina Coeli.
Infine, ma non certo ultima delle questioni aperte, come si dovrà articolare la posizione di garanzia del curante (e dell’équipe referente)?
PROBLEMI CORRELATI AL TSO
La novella della Legge 81/2014 rende necessaria anche una specifica riflessione sui possibili errori interpretativi nel rapporto tra pericolosità sociale e trattamenti sanitari. Infatti, se da un lato appare certo che nessuna terapia può annullare il pericolo di condotte antigiuridiche, è tuttavia doveroso considerare come condizione di aumentato rischio il deliberato rifiuto delle cure previste da parte di un paziente (spesso grave) autore di reati. Le scelte sanitarie che possono derivare da tale considerazione devono tuttavia essere commisurate alla radicale riduzione delle possibilità di trattamento in difetto di consenso operata dalla Legge 180/1978, recepita conseguentemente nella Legge 833 del medesimo anno istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale: l’unica riserva giuridica alla generale regola di libera e volontaria adesione alle cure è costituita dal TSO.
La normativa vigente prevede che il TSO possa essere richiesto solo in presenza di «alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici»10 e individua quindi una situazione di scompenso psicopatologico che ha le caratteristiche di un’emergenza: non si può pertanto attivare un TSO per fronteggiare i comportamenti di un paziente che non sia in fase di acuzie conclamata.
Nel nostro contesto è possibile obbligare un cittadino a ricevere una terapia psichiatrica contro la propria volontà solo durante un TSO in ambiente ospedaliero: infatti, nel Lazio non esiste una normativa applicativa esplicita del TSO extra-ospedaliero. A tale riguardo è necessario ricordare che gli SPDC, sia per posti letto, sia per organizzazione sanitaria, sono stati ideati per ricoveri brevi e sono per lo più privi di quelle funzioni riabilitative appropriate per i trattamenti residenziali di lunga durata.
Anche le recenti raccomandazioni in merito all’applicazione degli articoli 33-35 della Legge 833/1978, elaborate nell’aprile 2009 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, ricordano che «tra le motivazioni del TSO non sono previste né l’incapacità di intendere e di volere, né lo stato di pericolosità. Il TSO non è, in questi casi, lo strumento di elezione, per il suo carattere sanitario, destinato a facilitare la cura e non la scomparsa della pericolosità».
In buona sostanza, nell’attuale contesto normativo non appare possibile delegare al Servizio Sanitario Regionale (SSR) attività di prevenzione e/o repressione di reati che più congruamente devono essere affidate alle forze dell’ordine, magari dotate di ulteriori strumenti operativi11.
PROBLEMATICHE CHE SI SONO VERIFICATE CON LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA E GLI OPG
Molteplici difficoltà pratiche si sono verificate in forma non sporadica. Se ne elencano alcune:
1. problema delle dimissioni da OPG non concordate e non realizzate in funzione del progetto terapeutico-riabilitativo personalizzato (PTRP);
2. richieste non previste dall’attuale organizzazione dei Servizi psichiatrici da parte della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria degli OPG quali, per esempio, disposizioni di “prelevamento” dell’internato in dimissione da parte degli operatori del DSM;
3. discrepanze sulle modalità con cui si procede alle dimissioni: in altre parole non vi è una procedura standardizzata, tanto che alcuni pazienti vengono dimessi senza alcuna protezione, mentre per altri avvengono con la richiesta al DSM competente di prelevamento tout court;
4. trasformazione “di dubbia legittimità” della misura di sicurezza da un dispositivo per pericolosità sociale di tipo psichiatrico a una misura di sicurezza per pericolosità di tipo criminale generico (Casa di Lavoro): è stata la risposta della magistratura di sorveglianza a un caso di difficile gestione per fallimenti ripetuti del PTRP, c’è il rischio che diventi il modo di risolvere i casi ingestibili;
5. ancora non chiarita la possibilità di ricorre alla libertà vigilata (LV) dopo eventuale dimissione per decorrenza termini come da Legge 81/2014. E comunque, anche nei casi in cui ci si potrà giovare della LV, qualora il PTRP ugualmente fallisse per incapacità di adeguata adesione al progetto, o per eventuali altri gravi subentranti comportamenti distruttivi e/o aggressivi, quale sarà il destino di questo paziente? Il carcere?
PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GESTIONE STRETTAMENTE SANITARIA
Altre difficoltà derivano invece da temi interni all’organizzazione sanitaria.
1. Mancanza di trasparenza delle liste di attesa nelle strutture accreditate accoglienti (necessità di un sistema di aggiornamento quotidiano centralizzato presso un referente regionale);
2. difficoltà a realizzare concretamente un PTRP residenziale specie per alcuni pazienti “critici”;
3. grave rischio di interventi scollegati tra la struttura residenziale accogliente e il Centro di Salute Mentale (CSM) di riferimento del paziente. Esempio: il paziente torna in OPG per segnalazione al magistrato di sorveglianza da parte della struttura che lo accoglie senza che venga avvertito prima il CSM e quindi senza aver avuto la possibilità di provare un intervento alternativo di risoluzione della crisi;
4. non vi è alcuna considerazione del fatto che il trattamento di questi pazienti è particolarmente specialistico, mentre nessuna delle strutture accreditate ha, per ora, i requisiti per rispondere a questa puntuale specificità.
PROBLEMI RELATIVI ALLA GESTIONE DELLA DISSOCIALITÀ
Essendo questa popolazione una popolazione eterogenea sotto il profilo clinico vi è necessità di interventi che non possono essere solo medico-psichiatrici. Per esempio vi è:
1. assenza di un piano di intervento condiviso con le altre istituzioni sul problema dei senza fissa dimora e di tutti quei pazienti che non potranno essere ricollocati in famiglia anche dopo la fine del percorso terapeutico;
2. criticità nella gestione dei pazienti extra-comunitari senza permesso di soggiorno: si registra la mancanza di un qualsiasi intervento condiviso con le prefetture e con altre istituzioni coinvolte (anche se è un problema di interesse limitato, va segnalata comunque l’estrema difficoltà ad attuare un progetto di rimpatrio, anche quando richiesto direttamente dall’interessato).
PROBLEMA DEGLI ISTITUTI DI TUTELA
1. Mancanza di un procedimento rapido per l’amministrazione di sostegno;
2. mancanza di un istituto a tutela dei pazienti valutati come non in grado di stare in giudizio.
CONCLUSIONI
Allo scadere della data prevista dalla legge per la chiusura degli OPG ci sembra che collocazione, requisiti strutturali e procedure operative delle subentranti REMS siano eccessivamente incerti. I dati qui presentati evidenziano che, malgrado i tentativi di contenere gli internamenti abbiano addirittura acquisito la cogenza di legge dello Stato12, di fatto le misure di sicurezza detentive, o comunque in qualche modo limitative della libertà personale, si impongono come una ineluttabile necessità, perdurando l’attuale Codice Penale del 1930 nei casi di pazienti gravi con incapacità di dare consenso informato al trattamento e/o personalità tale da far sì che rifiutino le cure e/o aspetti personologici intrinseci che predispongono fortemente a comportamenti aggressivi.
Inoltre, aver introdotto per legge un termine al riconoscimento della pericolosità sociale potrebbe rappresentare un vulnus alla sicurezza collettiva e alla prevenzione dei reati che necessita di valide alternative giuridiche, non potendo i servizi territoriali delle ASL assumere compiti di tutela dell’ordine pubblico.
Il nostro obiettivo è cercare quindi di stimolare un dibattito tra organi istituzionali (Regione, AASSLL, Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, Autorità Giudiziaria) e società scientifiche perché si approfondiscano le procedure di transizione tra OPG e REMS.
Infine, appare indispensabile chiarire le cornici operative dei sanitari che si troveranno a lavorare nelle nuove ed erigende residenze in quanto, accanto agli ordinari compiti clinici, sembrano essere gravati anche da un mandato di custodia e applicazione dell’ordinamento penitenziario, il tutto all’interno di una posizione di garanzia che, in difetto degli auspicati chiarimenti, acquisisce un’ampiezza di difficile determinazione. Sia per queste ragioni, sia per conseguenze che derivano dall’applicazione del cosiddetto “Decreto Balduzzi” 13, sarebbe necessario sviluppare linee-guida condivise a livello regionale per la gestione di queste persone, basate su dati scientifici e tali da consentire una corretta integrazione di trattamento della malattia mentale, una protezione della collettività e una tutela professionale degli operatori.

*Gruppo di Studio per le Criticità del Management Sanitario Criminologico (CriManSCri): Maria Bronzi, DSM Roma-A, referente aziendale al Tavolo Regionale OPG; Michele Di Nunzio, DSM Roma-E, direttore scientifico ECM Regione Lazio “Percorsi di cura per i Pazienti psichiatrici autori di reato” (2013-2014), referente aziendale al Tavolo Regionale OPG; Stefano Ferracuti, professore associato di Psicologia Clinica, UOC Psichiatria, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma, referente regionale per la Gestione del flusso dei dati sui Pazienti OPG della Regione Lazio; Alessandra Mancuso, DSM Roma-E, referente regionale al tavolo OPG; Roberto Malano, DSM Roma-D, responsabile UOS-CSM XI Municipio, referente aziendale al Tavolo Regionale OPG; Alessio Picello, DSM Viterbo, referente aziendale al Tavolo Regionale OPG; Daniela Pucci, Ospedale Sant’Andrea, Roma, referente regionale per la Gestione del flusso dei dati sui Pazienti OPG della Regione Lazio; Antonella Tarantino, Coordinatrice Tavolo OPG Regione Lazio.
note e Bibliografia
 1. Pubblicata in GU n. 125 in data 31.05.2014 e derivata dal DL n. 52 del 31.03.2014.
 2. Articolo 278 del Codice di Procedura Penale: «Agli effetti dell’applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza attenuante prevista dall’articolo 62 n. 4 del codice penale nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a effetto speciale. Della recidiva si tiene conto nel caso previsto dall’articolo 99 comma 4 del codice penale, se ricorrono congiuntamente le circostanze indicate nel comma 2 numeri 1) e 2) dello stesso articolo».
 3. Articolo allegato 1 quater della Legge 81 del 30/05/2014.
 4. Laing R (1960). The divided self: an existential study in sanity and madness. Trad it.: Il Sé diviso. Torino: Einaudi, 2001.
 5. Cooper D (1967). Psychiatry and anti-psychiatry. Trad. it.: Psichiatria e Antipsichiatria. Torino: Einaudi, 1988.
 6. Szasz T. The myth of mental illness: 50 years later. Psychiatrist 2011; 35: 179-82.
 7. Pellizzer O. La ricostruzione del fatto nel processo penale. Disponibile al sito: http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/annoXIV, n 1/La ricostruzione del fatto nel processo penale.pdf, verificato il 12.05.2015.
 8. Fornari U. Trattato di Psichiatria Forense. Torino: UTET, 2008.
 9. Saccomanno M, Bosone D. Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli OPG. Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del SSN, seduta del 20 luglio 2011.
10. Articolo 34 della Legge 833 del 23/12/1978.
11. Si veda in e.g. la Legge 27 dicembre 1956, n. 1423 poi sostituita dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
12. Decreto-Legge 31 marzo 2014, n. 52 , comma 1, la lettera b) come modificato dalla legge 81 del 30/05/2014: «Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale».
13. Decreto-Legge 13 settembre 2012, n. 158: «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute». Pubblicato in GU n. 214 del 13-9-2012 Convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189 (in SO n. 201, relativo alla GU 10/11/2012, n. 263).