La zattera della Medusa e la psichiatria di migrazione


A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
E-mail: elo-dr@hotmail.it




La terribile avventura della
Méduse nacque all’interno delle vicende del colonialismo che vedeva la Francia e l’Inghilterra in continua competizione. Le due potenze si erano accordate sul fatto che lo sfruttamento del Senegal sarebbe toccato alla Francia, che prontamente inviò, nel 1816, un convoglio di quattro fregate alla volta dello Stato africano. Dopo un solo mese di navigazione, la Méduse sbagliò rotta e si arenò. Se una parte dell’equipaggio decise di rimanere sulla nave, molti presero il largo sulle lance di salvataggio che erano a bordo e che non erano certamente sufficienti per tutti. Così, i rimanenti 152 passeggeri furono costretti a condividere una zattera che era appena in grado di contenerli tutti. La traversata si concluse con soli 15 superstiti, i quali per sopravvivere furono costretti a mangiare i cadaveri dei loro compagni. Corréard, costruttore della zattera, e il medico di bordo, Savigny, si salvarono dopo 12 giorni alla deriva, e decisero di raccontare in un volume l’abisso di abiezione in cui furono abbandonati i loro compagni di sventure, scelta che non fu gradita in madrepatria. Corréard, infatti, fu condannato alla prigione e multato per 4000 franchi quando il suo scritto venne pubblicato.
Il momento che Géricault scelse di rappresentare è quello in cui la zattera fu avvistata dall’Argus, una delle quattro fregate partite insieme alla Méduse. Il pittore aveva parlato con i superstiti facendosi raccontare in prima persona la cronaca degli eventi, riuscì a ottenere un modellino della zattera e, infine, si recò più volte presso l’ospedale di Beaujon per dipingere dal vero teste e membra umane in decomposizione, al fine di ricreare con brutalità l’ostentazione dei corpi illividiti e morti che compaiono in basso. L’evento aveva personalmente scosso il giovane pittore, soprattutto perché, data l’immensa gravità del fatto, lo Stato francese evitava di renderlo pubblico. Ecco allora che la rappresentazione assume il fine primario di condannare quella società corrotta e famelica che aveva rifiutato di aiutare i naufraghi; non è un caso, infatti, che la parte più ostile e negativa del dipinto gravi in basso, nel punto di congiunzione con l’occhio dello spettatore che non avrebbe avuto difficoltà a riconoscersi come parte lesa, al pari dei naufraghi fatti tacere al loro ritorno in patria.
Rivedendo questo quadro non possiamo fare a meno di pensare a quante scene simili ci siano ancora oggi, silenziosamente struggenti e lontane dallo sguardo quotidiano, immagini solo suggerite dai telegiornali e rispettosamente mostrate nella pellicola Fuocoammare (2016). Ripensiamo alle potenzialità delle immagini, alla nostra capacità di fruirne, organizzarle ed elaborarle più e più volte, sia che si tratti di frammenti di un documentario cinematografico, sia che provengano da una delle tele più drammatiche del Louvre.
Come i naufraghi della Méduse si abbandonano a gesti che condensano disperazione e speranza, così essi ritornano nelle immagini e nelle storie dei migranti odierni. Comprendere lo stato d’animo che si celava dietro a quei gesti era stata la priorità di Géricault nel momento in cui aveva deciso di cominciare a dipingere. Allo stesso modo, la psichiatria odierna si interroga sullo stato di salute mentale dei migranti, sui fattori di rischio che incontrano durante e dopo il viaggio e sulle modalità attraverso cui facilitarne l’inserimento nel Paese d’arrivo.
bibliografia di riferimento
• Corréard A, Savigny JB. La zattera della Medusa (Naufrage de la frégate La Meduse faisant partie de l’expédition du Senegal en 1816). Milano: Valentino Bompiani, 1939.
• Tarsitani L, Biondi M. Le migrazioni e le nuove sfide per la salute mentale. Riv Psichiatr 2016; 51: 45-6.
• Zerner H. Géricault. Paris: Éditions Carré, 1997.
• De Fiore L. (a cura di). Fuocoammare: un medico alla frontiera. Recenti Prog Med 2016; 107: 159-60.