Cesare Pietroiusti e la sua arte relazionale

A cura di Martina Giubila
Sapienza Università di Roma
E-mail: martina.giubila91@gmail.com





Cesare Pietroiusti è uno tra gli esponenti più brillanti della pratica performativa e relazionale, tra sperimentazione linguistica e riflessione concettuale. L’arte relazionale è una forma d’arte contemporanea che si sviluppa attorno alla metà degli anni Novanta e prevede la partecipazione del pubblico alla costruzione o alla definizione dell’opera di cui fruisce. Si tratta di un’arte dalle spiccate caratteristiche politiche e sociali al cui centro gravita la visione dell’uomo come animale creativo. L’artista relazionale, abbandonando la produzione di oggetti tipicamente estetici, si adopera per creare dispositivi in grado di attivare la creatività del fruitore trasformando l’oggetto d’arte in un luogo di dialogo, confronto e, appunto, di relazione in cui perde importanza l’opera finale e assumono centralità il processo, la scoperta dell’altro, l’incontro.
D’altronde, Pietroiusti ha prediletto fin dall’inizio della sua carriera l’idea di un’arte “eventuale” o “eventualistica”, cioè l’idea che l’opera non fosse una rappresentazione e che non potesse essere preordinata rispetto all’evento relazionale. Tutto si concentrava nello stimolo che l’artista era capace di infondere nelle dinamiche artistiche, quindi il concetto di arte si riduceva al binomio elemento-stimolo, con una grande importanza per l’evento in sé.
Cesare Pietroiusti arriva all’arte da studi di medicina, con uno spiccato interesse per la psichiatria, e questo gli permetterà sempre di avere una visione e una sensibilità diversa rispetto ai suoi colleghi. La sua ricerca artistica è focalizzata sull’analisi e sull’osservazione di situazioni problematiche o paradossali, celate nella quotidianità e nella normalità. Ciò che lo affascina non è la patologia studiata dalla psicoanalisi e dalla psichiatria, ma i modi di percepire, di vedere e non vedere, comportamenti che appartengono alla vita quotidiana di ognuno di noi. Si tratta di pensieri che vengono messi in mente senza un motivo apparente, piccole preoccupazioni, quasi ossessioni, considerate troppo insignificanti per diventare motivo di analisi o di auto-rappresentazione.
Nel 1997 realizzò una pubblicazione per le edizioni Morra, i “Pensieri non funzionali”, una raccolta di idee apparentemente immotivate e inutilizzabili che nel 2008, accresciuta, ha assunto la fisionomia di un sito. I “Pensieri non funzionali” sono inviti al pubblico a eseguire idee che nascono nell’assenza di concentrazione, inservibili e senza causa apparente. Mettere in atto i pensieri non funzionali vuol dire aprirsi a orizzonti non immediatamente finalizzati, affidandosi a quei pensieri random che ci occupano la mente senza il nostro permesso.
Questo tipo di ricerca è la prova che l’artista ha intenzione di agire a livello sociale, con un interesse particolare per le narrazioni e per la tradizione orale, cercando sempre di far conciliare esperienza e lavoro, ma soprattutto dimostra l’interesse per la comunicazione.
Pietroiusti azzera, dunque, completamente il discorso della rappresentazione dell’arte come oggetto e icona; si dichiara iconoclasta, tanto da fare dell’analisi non convenzionale dei comportamenti altrui il fulcro di tutta la sua poetica artistica. Le dinamiche del consumo insieme a quelle che regolano i rapporti di priorità, di potere e di valore sono, inoltre, da anni al centro della sua ricerca. La sua dimesione di eccellenza è quella dell’immateriale: sottrae e capovolge immagini, cose e relazioni inconsuete, creando situazioni strambe e insensate, perché crede fortemente che il senso di tutto sia contenuto nella misura del disorientamento, ma soprattutto sperimenta il coinvolgimento, mediante stimoli esterni, di un pubblico inconsapevole; l’imprevisto è l’elemento dominante della sua poetica. Per Pietroiusti il maggiore presupposto dell’arte sembra essere quello di rendere visibile a tutti i suoi processi relazionali, ciò che suscita nell’animo degli spettatori e di conseguenza le singole interpretazioni che provoca; l’artista ora diventa anche un veggente e un rivelatore di presagi.
Di fondamentale importanza per poter comprendere appieno la figura di Cesare Pietroiusti è il suo rapporto con lo spazio: «Il mio rapporto con lo spazio: non aggiungere nulla. Detto questo, quando io parlo di spazio non parlo mai solo di spazio fisico, di una stanza o della galleria. Di spazi ne conosco almeno tre - oltre allo spazio fisico (il luogo), c’è lo spazio sociale (il sistema) e, ovviamente lo spazio mentale (il pensiero) - e ciascuno ha una dialettica propria e modalità dinamiche di incrocio, scambio, conferma, con gli altri. E se parlo di “spostamenti”, di creazione di spazi, sulle dinamiche che ne caratterizzano gli incroci, e che si possa allargare il dominio della coscienza o dell’esperienza rispetto a spazi (fisici, psichici o di sistema) che non sono ancora stati esplorati o considerati praticabili. Questo fa l’arte. Crea questi spazi, offrendo la possibilità di uno spostamento».
per approfondire
• Castellano J. Retrospettiva negli anni Duemila: il caso Cattelan. Capitolo III, Un altro modello di retrospettiva: Pietroiusti a Roma. Tesi di laurea, 2016.
• Artext. Una conversazione con Cesare Pietroiusti. http://www.artext.it/Pietroiusti-Cesare.html
• www.connectingcultures.info
• www.pensierinonfunzionali.net