La simbologia del bere

A cura di Eleonora Del Riccio
Storica dell’arte
E-mail: eleonoradelriccio@gmail.com


Non è semplice cercare di coniugare in modo speranzosamente inedito o almeno interessante un tema molto banalizzato dalla divulgazione storico-artistica come quello dell’alcol, del rapporto che gli artisti hanno con esso o dei temi che sono stati ispirati dal suo consumo.
La prima opera a cui ho pensato quando mi si è presentato questo tipo di confronto è stato L’absinthe di Degas (Figura 1), celebre olio su tela conservato alla Gare d’Orsay, in cui una donna abbrutita dal vizio guarda con sguardo vuoto un bicchiere di assenzio mentre è seduta – mi piace credere – in una delle bettole di Montmartre. Subito dopo ho pensato a tutti i caffè danzanti di Toulouse-Lautrec (Figura 2) e ad alcune poesie di Baudelaire e Rimbaud. Forse, mi è venuto in mente anche un po’ di Preraffaellismo e altri effetti collaterali a esso correlati come, per esempio, l’uso dell’oppio o del laudano, e la morte di Elizabeth Siddal per via di quest’ultimo. Il bere conviviale è anche lo sfondo del Simposio di Platone, l’opera nella quale Socrate descrive cosa sia l’Amore e in cui Aristofane incanta con il commovente mito dell’Androgino. Infine, la simbologia dei primi Cristiani: il succo dell’uva come sangue di Cristo, la vendemmia come sacrificio. A tal proposito, consiglio gli splendidi mosaici di Santa Costanza a Roma, un tempo mausoleo di Costantina.






Mi sono poi chiesta quale fosse l’immagine che oggi si ha dell’alcol. Senza dubbio la prima rappresentazione viene fornita dalle pubblicità. Tuttavia, non tutte le pubblicità hanno lo stesso peso nei nostri ricordi. Si pensa in modo canzonatorio al vino di bassa qualità da usare solo in cucina e con più interesse agli amari, alla vodka o ai bitter che vengono presentati in immagini minimaliste, barocche, chic.
Così, mi sono imbattuta nello spiritello di Leonetto Cappiello (Figura 3). Appena l’ho visto non ho potuto fare a meno di credere che la posizione del corpo, nell’accenno di un saltello scherzoso, avesse le sue origini da qualche parte nella Maniera che si diffuse a Firenze subito dopo la morte del sommo Buonarroti. Cappiello era livornese ed è quindi probabile che abbia familiarizzato con la pittura storica fiorentina prima del trasferimento a Parigi. Pittura storica che deve essere stata ammirata presumibilmente dal vivo, ma anche contattata attraverso stampe.
In particolare, tale origine manierista sia per via della posizione sia dei colori aranciati ha richiamato alla mente le figure di Pontormo, che qui viene proposto con il San Michele Arcangelo di Empoli (Figura 4), o quelle di Rosso Fiorentino. La posizione dell’Arcangelo è quella stereotipata di molti degli omonimi che si sono aggirati tra affreschi, tele e tavole tra Quattrocento e Seicento, anche se l’alternanza di braccio e gamba sollevati non è rispettata nel suo usuale schema chiastico. Per non parlare, infine, del fatto che San Michele è una figura biblica dal potente valore marziale e punitivo: colui che sovente viene raffigurato con una bilancia sulla quale pesa gli uomini per individuarne le colpe e i peccati. Di certo quindi, la carica severa di cui l’Arcangelo è portatore non può essere assimilata alla spensieratezza giuliva dello spiritello avvolto dalla buccia d’arancia.
Tale atteggiamento è molto più affine alle figure danzanti del Pollaiolo (Figura 5), importate direttamente dal modello degli antichi satiri ebbri. Non solo le posizioni farsesche, ma anche le espressioni sornione che s’incrociano nei danzatori sono riassunte dall’affiche di Cappiello.
Manierismo e Rinascimento, ma non è tutto. Lo spiritello indica in ultima battuta una via da perseguire per la critica artistica, aggiungendo questo regalo al bitter che ci invita a comprare. È bene che la critica consideri sempre più immagini che per molto tempo non sono state incuse nel flusso continuo di opere e artisti meritevoli di essere inclusi nella Geschichte der Kunstgeschichte, la storia della Storia dell’Arte. È bene che lo faccia con lo scopo di dimostrare e mostrare l’origine di quelle immagini, sottolineando la questione dell’attualità dell’arte antica, il suo senso ancora effettivo e il suo contributo fondamentale alla storia della costruzione delle figure, entrate poi a far parte dell’immaginario collettivo e dei possedimenti intellettuali di ciascuno di noi.






bibliografia di riferimento
• Fossi G. Galleria degli Uffizi. Arte, storia, collezioni. Firenze: Giunti Editore, 2001.
• Warburg A. La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura. Firenze: La Nuova Italia, 1996.
• Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale. http://www.engramma.it/eOS/index.php