Transfert e controtransfert somatico: rassegna critica e integrazione
con la prospettiva neuroscientifica


Somatic transference and countertransference: a critical review and an
integration with the neuroscientific perspective

ARIANNA PALMIERI1,2, VALENTINA PALVARINI1, ENRICO MANGINI1, ADRIANO SCHIMMENTI3
E-mail: arianna.palmieri@unipd.it

1Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FiSPPA), Università di Padova
2Padova Neuroscience Center
3Facoltà di Scienze dell’Uomo e della Società, Università Kore di Enna (UKE)


RIASSUNTO. Scopo. La concezione del processo transferale/controtransferale caratterizzato da componenti somatiche affonda le sue origini nella tradizione psicoanalitica classica. Tale costrutto teorico, a differenza di altri, non sembra tuttavia aver trovato un adeguato sviluppo nella letteratura rispetto all’importanza che riveste nel processo clinico. Metodo. È stata condotta una ricerca della letteratura peer-reviewed indicizzata nei principali database scientifici per individuare gli articoli prodotti su transfert e controtransfert somatico, e i risultati di tale indagine sono stati integrati con ulteriori considerazioni attinte dalla letteratura psicoanalitica postfreudiana e contemporanea e dalle neuroscienze affettive. Risultati e discussione. Sono state evidenziate le manifestazioni dei fenomeni transferali/controtransferali somatici nello sviluppo, nella psicopatologia e nella cura. È stato infine suggerito che i possibili correlati neurali dei fenomeni intersoggettivi di transfert e controtransfert somatico vadano considerati prevalentemente a carico dei meccanismi neurali di tipo mirror, proponendo quindi una possibilità di indagine futura attraverso i segnali psicofisiologici tra terapeuta e paziente.

PAROLE CHIAVE: transfert somatico, controtransfert somatico, embodiment, psicoterapia psicodinamica, neuroscienze, mirror.


SUMMARY. Aim. The idea that the transference/countertransference process is characterized by a somatic component is rooted in classical psychoanalytic tradition. But, unlike others, this theoretical construct does not seem to have been developed in the literature as much as it deserves, given its importance in the clinical process. Method. A research was conducted in the peer-reviewed literature indexed in the principal scientific databases to identify contributions on the somatic transference and countertransference constructs. The resulting studies were then combined with further considerations drawn from the postfreudian and contemporary psychoanalytic literature. Results and discussion. Focusing on the evidence of the somatic transference/countertransference phenomenon in its development as well as in the psychopathology and its treatment is crucial for researchers and clinicians, and further researches should be encouraged toward this direction. The hypothesis of a neural correlate of the interpersonal transference/countertransference phenomena as being the outcome of mirror-type neural mechanisms has been provided, prompting a proposal for a line of future research on the psychophysiological signals between psychotherapist and patient.

KEY WORDS: somatic transference, somatic countertransference, embodiment, psychotherapy, neurosciences.

INTRODUzione
Con transfert e controtransfert somatico intendiamo indicare situazioni particolari che si possono sviluppare nel corso del trattamento durante l’hic et nunc di una seduta, qualora emergano sensazioni fisiche o sintomi somatici, nel paziente, nel terapeuta o in entrambi, che vanno ricondotti alle dinamiche affettivo-relazionali in gioco nella relazione clinica.
Spesso in letteratura si sono usati termini differenti per connotare tali fenomeni. Per esempio, Dosamantes-Beaudry1 usa la definizione di “transfert somatico” per indicare la totalità dell’esperienza vissuta come corporea e del comportamento agito del paziente, mentre Lombardi denomina tale fenomeno “transfert sul corpo”, specificando che coinvolge quella percezione sensoriale del proprio corpo da parte del paziente che «permette di costruire nel vivo della seduta analitica una trama di connessioni corpo-mente»2. Per quanto riguarda il concetto di controtransfert somatico, Samuels3 è il primo a darne una definizione dettagliata. Samuels lo denomina “controtransfert incarnato” e lo descrive come «l’incarnazione di un’entità, di un tema o di una persona di natura interna, intrapsichica e di lunga data». Egli specifica che il termine “incarnato” intende suggerire «un’espressione fisica, concreta, materiale [e] sensuale nell’analista di qualcosa del mondo interno del paziente, un raggruppamento e una solidificazione di questo, un’incarnazione da parte dell’analista di una parte della psiche del paziente» [traduzione nostra]. La più recente definizione di Lemma 4 circoscrive il concetto di controtransfert somatico a «una pletora di esperienze sensoriali e motorie», la cui natura presimbolica, soprattutto con i pazienti gravi, si dispiega attraverso una reattività diffusa del corpo del terapeuta. I fenomeni di transfert e controtransfert somatico nascono dunque nella relazione terapeutica, e si manifestano in vissuti fisici e corporei del paziente e/o del terapeuta.
La questione della relazione corpo-mente ha in effetti caratterizzato la nascita della psicoanalisi e lo sviluppo del suo impianto epistemologico, a partire dagli Studi sull’isteria5 di Breuer e Freud, in cui si impone la centralità del corpo nella sintomatologia psichica. Freud considerava infatti l’apparato psichico come una specializzazione delle funzioni somatiche e riteneva che un fenomeno energetico di origine somatica potesse divenire psichico superando una determinata soglia6. Anche il concetto di pulsione, posta da Freud tra i pilastri della sua Metapsicologia7, affonda le radici nel territorio di confine tra lo psichico e il somatico. Seguire i segnali del corpo come traccia per ricostruire il collegamento con l’inconscio durante il processo transferale/controtransferale sembra essere stato proprio il tipo di transfert che più attraeva Freud8.
Non sono altresì mancati, nel secolo scorso, autori che hanno sviluppato un’ottica che congiungesse i vertici di osservazione tra lo psichico e il somatico. Fra questi, Winnicott ha concepito la psiche come la sorgente dell’elaborazione immaginativa delle componenti somatiche dei sentimenti e delle funzioni, e dunque della vita fisica, e Bion ha affrontato il tema dell’alternanza tra concretizzazione e astrazione sulla base del continuum che va dalle sensazioni corporee ai fenomeni rappresentativi.
Soprattutto negli ultimi decenni, la letteratura internazionale ha esplorato più sistematicamente la questione mente-corpo nella prospettiva clinica11-16, in particolare nel recente dialogo fra psicoanalisi e neuroscienze17-25.
Nonostante queste premesse, attualmente si ha l’impressione di una povertà di approfondimenti e di sviluppi teorici circa il coinvolgimento corporeo del paziente e dell’analista proprio nella prospettiva transferale/controtransferale, nonostante esista una grande mole di studi empirici e rassegne dedicate allo studio del transfert e del controtransfert in generale, soprattutto nell’ottica dei fenomeni relazionali osservabili (per es., nel recente volume collettaneo “Transference and Countertransference Today” 26, in cui non compare uno spazio dedicato alle dinamiche transferali e controtransferali somatiche). Il fatto che un concetto cardine della teoria psicoanalitica come il processo transferale/controtransferale sembri essere quasi ignorato dal punto di vista corporeo/somatico stupisce, anche considerando che la sempre maggiore tecnologizzazione della vita quotidiana e delle relazioni umane potrebbe suggerire l’esigenza di approfondire le caratteristiche di situazioni in cui la dimensione corporea viene fortemente alterata o elusa 27.
L’obiettivo di questo contributo è, dunque, quello di delineare lo stato dell’arte della letteratura scientifica internazionale dedicata al fenomeno del transfert/controtransfert in una prospettiva somatica, per avviare una riflessione di più ampio respiro sia sul versante delle teorie classiche, nelle quali la letteratura recente affonda le sue radici, sia su quello dei possibili sviluppi futuri nei termini di una integrazione con le neuroscienze. Nel dettaglio, il presente contributo offre un vertice di osservazione e riflessione su: 1) i contributi presenti nella letteratura scientifica indicizzata all’interno dei database internazionali relativamente al tema del transfert/controtransfert somatico negli ultimi 40 anni; 2) la relazione fra tali contributi e le teorie della letteratura psicodinamica classica e manualistica; 3) una potenziale integrazione concettuale sui fenomeni relativi al transfert/controtransfert somatico alla luce dei meccanismi neurali di tipo mirror, stante il loro potenziale descrittivo relativamente alle dinamiche legate all’intersoggettività clinica. L’intento è quello di incoraggiare l’attenzione di clinici e ricercatori sulle molteplici e convergenti evidenze che suggeriscono come la dimensione clinica relazionale dei fenomeni di transfert e controtransfert somatico rappresenti un elemento cruciale per il trattamento, e quindi un tema di ricerca quanto mai attuale per la pratica clinica. In particolare, anche se consideriamo il transfert e il controtransfert come due aspetti della stessa costruzione intersoggettiva inconscia 28, diviene fondamentale restituire centralità in particolare allo studio del transfert somatico del paziente, con il fine non solo di analizzarne l’eventuale natura primitiva in una prospettiva evolutiva, ma anche di valorizzarne le potenzialità generative.
In tal senso, è stata dapprima effettuata una ricerca in banche dati quali PEPWeb, Scopus e Web of Science di articoli peer reviewed prodotti degli ultimi 40 anni (1977-2017) secondo le parole-chiave “somatic transference”, “somatic countertransference”, “embodied transference” e “embodied countertransference” nel titolo o nell’abstract, e sono stati individuati totalmente 135 articoli. Attraverso analisi dei riferimenti bibliografici presenti negli articoli selezionati, sono stati presi in considerazione successivamente anche lavori che non recassero le suddette parole-chiave, purché le dinamiche di transfert/controtransfert somatico venissero comunque descritte esaustivamente in tali contributi. Sono stati successivamente esclusi, tra gli articoli emersi dalla ricerca, i molti che si limitavano a citare superficialmente e tangenzialmente tali dinamiche, che alludevano al semplice e mero contatto fisico con il paziente o che non riguardavano direttamente il contesto psicoterapeutico (per es., counselling). Dopo questo processo, sono rimasti selezionati 17 articoli.
Si è quindi provveduto a integrare i risultati della ricerca bibliografica con la letteratura psicoanalitica classica e contemporanea, per fornirne un quadro esaustivo e concettualmente coerente. Infine, è stata proposta una chiave di indagine dei fenomeni intersoggettivi di transfert e controtransfert somatico sulla base delle attuali conoscenze riguardanti i meccanismi neurali di tipo mirror, anche al fine di proporre futuri indirizzi di ricerca fruttuosi e informativi per la pratica clinica.
Per esigenza di schematicità della trattazione, in questo lavoro le dimensioni somatiche transferali saranno affrontate separatamente da quelle controtransferali, seppure esse si intersechino mutualmente nella realtà clinica.
IL TRANSFERT SOMATICO
Abbiamo individuato nella letteratura scientifica internazionale peer-reviewed due soli contributi focalizzati principalmente sul transfert somatico, seppure tengano in considerazione anche la dimensione controtransferale, entrambi di Dosamantes-Beaudry1,29, nell’ambito della Dance/Movement Therapy.
Nel suo primo contributo29, l’autrice concepisce il transfert somatico come l’insieme delle reazioni corporee del paziente dirette verso l’analista, collocandolo all’interno di un dialogo somatico intersoggettivo. Tale dialogo viene descritto come di natura emozionale potenzialmente sia positiva che negativa, e potrebbe assumere la forma di sensazioni cinestesiche, sintomi fisici, spostamenti o distorsioni dell’immagine corporea, nonché di enactment.
Nel successivo articolo1, l’autrice apporta qualche modifica alla concezione di transfert somatico, ampliandola dal campo della totalità dell’esperienza corporea del paziente in seduta, ai termini di manifestazioni presimboliche con funzione transizionale. Nel dettaglio, emerge con incisività l’attenzione al processo che si associa alla sensazione fisica, processo in cui tale sensazione trova la scarica attraverso il movimento o viene resa in immagini cinestetiche e cinetiche, e che costituisce già quindi un avanzamento elaborativo rispetto alla scarica diretta. Si può quindi rilevare come Dosamantes-Beaudry colga nel transfert somatico un’occasione trasformativa in nuce.
Un altro fondamentale apporto alla descrizione del transfert somatico, seppure esula dalla letteratura scientifica indicizzata, proviene dal contributo di Lombardi. Nella sua concezione, l’autore valorizza il “transfert sul corpo” come occasione di riconnessione psicosomatica, nel tentativo di ricomporre una dissociazione corpo-mente «in cui il corpo in sé continua concretamente a esistere, ma di fatto scompare dall’orizzonte di osservabilità della mente»2. L’autore propone che all’interno di un ambiente adatto ad accoglierlo ed elaborarlo, il transfert somatico possa offrire un’occasione di ancoraggio del pensiero alla sua base corporea ed emozionale, in contrasto con l’utilizzo della mente e delle parole come strumenti di diniego della realtà concreta. Inoltre, se nel controtransfert somatico è il terapeuta a sperimentare al posto del paziente ciò di cui quest’ultimo ancora non può farsi carico, come descritto nella sezione dedicata, Lombardi suggerisce che invece nel transfert somatico il paziente riacquisti la responsabilità e la competenza del proprio vissuto, vivendo concretamente nel corpo la propria condizione. Inizialmente, infatti, come propone Lemma 4 riferendosi ai casi che definisce di “transfert simbiotico”, il corpo dell’analista sarebbe avvertito come una costante concreta, la cui modificazione potrebbe scatenare angosce primitive. Solo in seguito, l’elaborazione di tali reazioni potrebbe abilitare il corpo dell’analista al ruolo di variabile dinamica nell’accompagnamento a una prima differenziazione nel paziente. Considerata l’ottica di Lemma, centrata sull’elaborazione della percezione corporea, possiamo quindi ipotizzare che le risposte angoscianti determinate dalle percezioni del corpo dell’analista abbiano un riflesso sull’esperienza della corporeità del paziente e che lo sviluppo dei primi nuclei elaborativi relativi a questi elementi identificatori possano condurre a ciò che viene definito appunto “transfert somatico”.
Nel dipanare gli elementi centrali e caratterizzanti del transfert somatico, cruciale è la prospettiva dello sviluppo evolutivo. Fra i principali autori che storicamente si sono occupati della relazione mente-corpo, Bion30, in particolare, sottolinea i fondamenti somatici sullo sviluppo del pensiero. In questa prospettiva, durante lo sviluppo evolutivo, per creare elementi adatti a essere utilizzati nel pensiero onirico e nei processi mentali in genere, le capacità di elaborazione e di costruzione di significato devono poggiare sull’esperienza sensoriale ed emotiva, cioè su un corpo da cui poi scaturisce il funzionamento mentale. È della reazione somatica del corpo che scaturisce infatti la primitiva distinzione dicotomica piacevole/spiacevole, che non essendo un’unità discreta di significato, dal punto di vista psichico è sprovvista di confini definiti e non è quindi ancora identificabile come rappresentazione mentale. Il modello di una primitiva categorizzazione dicotomica di piacevolezza vs spiacevolezza che caratterizza la vita umana sin dal suo sviluppo fetale (fenomeno fondamentale per l’autoconservazione, probabilmente in comune con lo sviluppo dei mammiferi non umani 31) è già asse centrale nel pensiero freudiano, e sviluppato poi da autori come Seganti32. Tale categorizzazione dicotomica pre-simbolica piacevole vs spiacevole si configura quindi come forma basilare, ipergeneralizzata, di quella che nello sviluppo diverrà la categorizzazione emotiva, ed è fornita all’origine proprio dall’attivazione corporea, come dimostrato empiricamente33.
Ferrari34 definisce e configura come “asse verticale” la relazione corpo-mente, che costituisce la più primitiva forma di organizzazione interna all’individuo, una forma dialettica intrapsichica comunque diversa da quella che si viene a creare più avanti nello sviluppo degli oggetti interni. In tale asse verticale, infatti, il corpo viene descritto come il primo oggetto della mente, mai completamente simbolizzabile. Le relazioni interpersonali con il mondo esterno, avviate inizialmente con la madre, vengono invece definite e configurate come “asse orizzontale”, nel quale l’autore sottolinea la funzione di catalizzatore dell’elaborazione e della messa in rappresentazione dell’asse corpo-mente. Secondo Ferrari solo successivamente, nel processo di sviluppo, la relazione oggettuale assume un peso via via maggiore, e il corpo, tramite la propria “eclissi”, avvia il funzionamento mentale, a patto però che l’asse corpo-mente, verticale, continui a ricevere costantemente una significazione, o un tentativo in tal senso, da parte dell’asse delle relazioni interpersonali, orizzontale.
Anche nella descrizione dello sviluppo di ciò che chiama senso del Sé, è interessante notare come Daniel Stern35 fondi le sua teoria sullo sviluppo iniziale di un Sé emergente, a livello neonatale, radicato nella fisiologia del corpo nella quale vengono impresse le prime esperienze relazionali già a livello intrauterino. Al Sé emergente, basato su sensazioni tattili e cinestesiche, si sovrappongono ontogeneticamente ulteriori livelli di organizzazione del Sé fino a raggiungere quello narrativo, intorno all’età di 4 anni, che permette di accedere a funzioni superiori come la simbolizzazione. Stern specifica come tali livelli si sovrappongano nelle fasi evolutive consequenziali senza mai sostituirsi ai livelli precedenti. Pertanto, nonostante il succedersi delle formazioni dei livelli organizzativi, il Sé emergente rimane per l’intera esistenza un canale di esperienza della vita sociale e intrapsichica.
I contributi degli autori, relativamente all’origine evolutiva del transfert somatico, convergono quindi nell’idea che nel corso dello sviluppo ontogenetico il riconoscimento di un oggetto esterno, sia esso parziale o totale, avvenga solo successivamente all’investimento libidico dei propri percetti e del proprio corpo. A questo riguardo, in un articolo pioneristico sulla genesi della percezione in ottica psicoanalitica, Spitz36 afferma: «Il percetto […] dovrebbe essere chiaramente distinto dall’oggetto (libidico): quest’ultimo origina dalla concentrazione di una costellazione di pulsioni sul percetto. La percezione del percetto è il prerequisito della formazione dell’oggetto» (traduzione nostra). Considerando quindi che l’investimento libidico dell’insieme delle percezioni sensoriali potrebbe essere ciò che consente a un oggetto di essere internalizzato, riteniamo che il transfert somatico potrebbe trovare il proprio precursore in ciò che avviene nel percorso evolutivo a livello di investimento libidico dei propri percetti e quindi nella primitiva registrazione del corpo come primo oggetto della mente. La sensazione somatica è, infatti, per sua natura assoluta e non permette quel differimento temporale che è piuttosto un aspetto costitutivo delle rappresentazioni 37. Il transfert somatico non implica dunque una comunicazione “oggettuale”, che l’oggetto sia parziale o totale, quanto piuttosto un tipo di risonanza emotiva più precoce a livello ontogenetico.
Le manifestazioni del transfert somatico assumono una prospettiva interessante anche rispetto ai diversi livelli di organizzazione delle personalità - nevrotico, borderline, psicotico - che si riferiscono a differenti tappe evolutive nelle quali il corpo è sempre presente, ma con possibilità di significazione diverse38. Considerando la percezione strutturalmente diversa che pazienti nevrotici, borderline o psicotici hanno del setting e della relazione terapeutica, ci si aspetta che anche il transfert somatico si presenti con differente frequenza e intensità. Se, infatti, il paziente nevrotico concepisce generalmente l’ambiente terapeutico nella sua funzione simbolica ed è spesso in grado di esprimere verbalmente gli affetti, i pazienti borderline e ancor più quelli psicotici, lo vivono come una riattualizzazione dei rapporti con gli oggetti primari, nei quali la relazione si svolgeva soprattutto attraverso il registro corporeo*. Il vissuto somatico in pazienti sul versante nevrotico riporta spesso, infatti, a un evento definito della storia personale, connesso a pattern relazionali successivi ai primi anni di vita. Silverman 39 ne riporta qualche esempio: in un primo caso, un paziente sviluppava un forte mal di testa a seguito di un’interpretazione sulla propria ostilità nei confronti dell’analista/padre (poiché il padre reale l’aveva vessato con la propria grandiosità) e probabilmente nell’aspettativa di una ritorsione da parte sua; in un altro paziente, la manifestazione passeggera di una parestesia alle mani e di un senso di vertigini si collegava a intensi sentimenti di colpa connessi alla morte del padre, di cui il paziente/bambino si sentiva responsabile per via di sentimenti ostili verso il genitore concernenti la propria attività masturbatoria.
Se nelle strutture nevrotiche il transfert somatico si presenta quindi per lo più sotto forma di sintomi circoscritti e “contenuti” entro un certo funzionamento fisiologico o distretto corporeo, nelle manifestazioni del transfert somatico che si fondano su organizzazioni borderline il sintomo somatico, paragonabile a un agito durante la terapia40, comincerebbe a presentare caratteristiche di maggiore urgenza e minore accessibilità, mentre nelle organizzazioni psicotiche prevarrebbe una sensazione diffusa e pervasiva, non localizzata e dirompente, legata a un’angoscia primaria che minaccia la sopravvivenza del Sé41 e che può essere paragonata all’angoscia di disintegrazione di Winnicott42 o al “terrore senza nome” di Bion43. Lombardi descrive un caso di breakdown psicotico, in cui l’oscillazione del focus tra esterno e interno «apparve nella scoperta da parte del paziente prima del corpo dell’analista e poi, più tardi, del proprio corpo»44. L’autore descrive la graduale presa di coscienza del paziente sulla propria realtà corporea attraverso la percezione sonora dei movimenti dell’analista sulla sedia.
Nella clinica della patologia psicotica il transfert non riguarda la ripetizione di dinamiche infantili interiorizzate e mitigate da una struttura psichica in grado di cogliere la distinzione tra realtà interna e realtà esterna, come avviene nella patologia nevrotica, ma si manifesta con l’immediatezza di un eterno presente: per esempio, il terapeuta non è percepito come la madre, ma è la madre. Questa condizione porta con sé la frequente irruzione nel corpo del paziente, ma anche in quello del terapeuta, di intensi stati affettivi assimilabili a quelli propri del rapporto tra una madre e un bambino che ha meno di diciotto mesi, come sottolineato da McWilliams 38.
Inoltre, come confermato da recenti contributi empirici, molte forme di psicopatologia scaturiscono da vari livelli di dissociazione patologica, a sua volta generata da fenomeni di abuso e trascuratezza nell’infanzia. In particolare, Schimmenti e Caretti46 propongono il meccanismo della dissociazione come variabile chiave nella comprensione dei disturbi clinici che affondano le proprie radici nelle esperienze traumatiche relazionali della prima infanzia. La dissociazione avrebbe infatti la funzione paradossale di proteggere il bambino traumatizzato dalla frammentazione globale del Sé grazie a micro-frammentazioni che consentono il mantenimento di una fragile coesione della struttura a discapito della sua coerenza interna e della sua continuità. Tali micro-frammentazioni all’interno del tessuto psichico, teorizzabili come entità dissociate, potrebbero aver luogo sia a livello mentale, sia, appunto, a livello somatico. Nel “modello a due vie” proposto dagli autori, che descrive i possibili esiti, non escludentisi, del trauma relazionale, una delle due direzioni riguarda proprio la dissociazione degli stati corporei nei termini di un fallimento delle rappresentazioni delle sensazioni somatiche, della discontinuità della percezione delle proprie sensazioni corporee e di una disregolazione somatica che può essere di natura psicofisiologica (per es., rispetto ad alterazioni a carico del funzionamento del sistema nervoso autonomo). Schimmenti e Caretti suggeriscono che nelle diverse forme di psicopatologia legate alla dissociazione si possono ottenere risultati particolarmente efficaci con trattamenti orientati a tenere in considerazione «le memorie incarnate» 47, in quanto «il corpo ricorda il trauma originario», suggerendo di tenere in grande considerazione quello che di fatto è il transfert somatico, seppure descritto dagli autori in altri termini. L’eccessivo uso di meccanismi dissociativi è stato infatti legato anche a disregolazioni metaboliche48, che a loro volta possono generare alterazioni significative a livello cerebrale corticale e sottocorticale, intaccando nella persona l’abilità di sviluppare l’autoconsapevolezza e l’abilità di organizzare gli stati affettivi e mentali49,50 e, in ultima analisi, danneggiando l’integrazione psicosomatica51.
Nelle condizioni di forte dissociazione tra funzionamento mentale e corporeo il meccanismo del sintomo somatico potrebbe rappresentare quindi ciò che Winnicott considerava un «ritirare la psiche dall’intelletto per ricondurla alla sua associazione intima originale con il soma»9, ovvero ricongiungendola con la propria origine somatica, abbandonando un iperfunzionamento mentale instauratosi a seguito di eccessive carenze ambientali. Dunque, come espresso da Mangini, nella clinica è necessario non dimenticare che il sintomo somatico è spesso anche «l’ultima trincea rispetto a un più grave disinvestimento oggettuale o a una disgregazione psichica che coinvolga l’Io»40, e necessita per questo di un’attenta considerazione.
IL CONTROTRANSFERT SOMATICO
Dalla nostra ricerca sulla letteratura scientifica internazionale su questi temi, secondo la modalità già menzionata, il controtransfert somatico sembra essere affrontato con relativa maggiore frequenza rispetto al transfert somatico. Si sono infatti individuati 15 studi, nell’arco degli ultimi 40 anni, dedicati principalmente al controtransfert somatico - seppure si riferiscano spesso, con focus minore, anche alla dimensione transferale.
Nel dettaglio: Samuels3 suggerisce una distinzione tra “controtransfert riflessivo”, legato all’ideologia implicita dell’analista e alle sue dimensioni immaginative e il “controtransfert incarnato”, proprio della sua funzionalità reale; Field52 individua diversi tipi di reazioni controtransferali che si manifestano attraverso i sentimenti, le fantasie, i sogni e, appunto, il corpo; Ross53 descrive il controtransfert somatico attraverso vignette cliniche, suggerendo l’importanza dell’identificazione proiettiva nella comprensione dei processi a esso sottostanti; Stone54 studia una pluralità di condizioni in cui si manifesta con maggiore evidenza il controtransfert somatico; Forester55 lo analizza nelle terapie con pazienti dissociati e traumatizzati; Sletvold56 considera la simulazione incarnata, quale forma di processo controtransferale in base al quale suggerisce un modello di training e di supervisione che prevede una sensibilizzazione alle proprie esperienze somatiche da parte del soggetto supervisionato; Connolly57 affronta l’argomento in riferimento a stati di mancanza di vitalità psichica; Gubb58 evidenzia che il controtransfert somatico assume una specifica forma a seconda dell’unicità di ogni diade in terapia; Margarian59 sottolinea che l’attuale letteratura clinica e gli studi empirici sul controtransfert somatico lo interpretano alla luce del dualismo mente/corpo tipico della cultura occidentale e propone uno studio cross-culturale, evidenziando come nella cultura orientale mente e corpo vengano considerati un continuum; Martini60 lo considera frutto dell’identificazione proiettiva di complessi di scissione mente/corpo del paziente; Zoppi61 affronta il tema delle alterazione delle dimensioni temporali e spaziali della cornice analitica durante l’esperienza di controtransfert somatico. Infine, Ben-Asher et al.62, Vulcan63,64 e Palmer65, sviluppano l’argomento delle reazioni somatiche controtransferali del terapeuta declinate nell’ambito della “Dance-Movement Therapy”.
È possibile che la maggiore attenzione per il controtransfert somatico rispetto al corrispettivo transfert somatico nella letteratura scientifica internazionale, come emerge dalla nostra ricerca, scaturisca dalla propensione degli autori clinici a trattarne le manifestazioni considerate più salienti poiché esperite personalmente.
Fra le manifestazioni descritte nei succitati contributi troviamo sonnolenza, eccitazione sessuale, tremori3,52,65, dolori in zone particolari del corpo3, mal di testa e nausea59. Stone54 descrive come il controtransfert somatico si manifesti con maggiore intensità nella relazione con pazienti dai tratti borderline, psicotici o fortemente narcisistici, e in quelli con gravi traumi relazionali nell’infanzia (come descritto anche da Ben-Asher et al.62). L’importanza del controtransfert somatico è emersa anche nel caso di trattamenti di bambini con disturbi dello spettro autistico, come suggerito dallo studio di Vulcan64. L’autrice ha intervistato 28 psicoterapeuti di diversi orientamenti e ha segnalato come attraverso la valorizzazione delle proprie risposte somatiche si potesse trovare una fonte alternativa di conoscenza sulla relazione terapeutica, a fronte del deficit delle più classiche vie relazioni quali l’interazione diretta, le rappresentazioni, il pensiero simbolico e il gioco.
L’intensità di queste manifestazioni è comunque variabile e può estendersi fino a fenomeni fisici acuti vissuti come un rischio imminente per il terapeuta, come nel caso descritto da Connolly66, in cui la terapeuta si sente soffocare durante il racconto di una paziente abusata fisicamente e psicologicamente dalla madre durante l’infanzia. Gubb58 sottolinea che la specificità delle reazioni controtransferali somatiche si rivela nel fatto che possono diventare meno controllabili visivamente e uditivamente ed essere immediatamente percepite dal paziente prima ancora che sia avvenuta un’elaborazione del loro significato da parte del terapeuta.
Oltre ai risultati circoscritti alla ricerca, è utile menzionare come nella terapia dei bambini e degli psicotici il terapeuta potrebbe persino arrivare a percepire la propria immagine corporea come amputata67. Sul versante di manifestazioni meno drammatiche, invece, si può menzionare la frequente comparsa in seduta di borborigmi, rumori dell’attività gastrointestinale che hanno attirato l’attenzione di qualche autore come «momenti di verità sulla comunicazione paziente-analista»68 e intesi a favorire la connessione corpo-mente e i processi di simbolizzazione, così come modificazioni del battito cardiaco, variazioni nel ritmo e della profondità del respiro, parestesie69.
Se ne evince come l’intensità della risposta controtransferale somatica potrebbe dipendere dalla particolare congiunzione tra la patologia del paziente, la personalità del terapeuta e i peculiari punti di intersezione della diade clinica, come gli oggetti analitici intersoggetivi descritti da Ogden70 che si vengono a creare nell’incontro di quelle due specifiche persone e che costituiscono dei significativi elementi di elaborazione54,58. Stone54 suggerisce che l’uso e la gestione del controtransfert somatico dipenda dalla disposizione personale del terapeuta. In particolare, ritiene che il controtransfert somatico si manifesti più frequentemente nei casi in cui la patologia del paziente si incrocia con la sua reticenza a esprimere le emozioni in maniera diretta e con un particolare tipo di personalità introversa-intuitiva del terapeuta.
Integrando i risultati della rassegna con la letteratura che non rientra nei criteri di selezione della letteratura indicizzata peer-reviewed, sembra esserci comune accordo tra gli autori nel rilevare vissuti controtransferali somatici in tutte quelle situazioni che implicano una forte regressione, possibile a vari livelli in tutte le organizzazioni di personalità, o una dissociazione psicosomatica. Ogden71 suggerisce un’associazione tra controtransfert somatico e quella che ha definito “posizione contiguo-autistica” del paziente, in cui la modalità relazionale tipica di questo funzionamento non riguarda né il soggetto né la formazione di oggetti. Essa è descritta invece come mimetica, dato che l’esperienza dell’oggetto equivale alla modificazione che esso produce nel corpo del percipiente. Tale modalità di fare esperienza indica la necessità di non strappare prematuramente, per esempio attraverso interpretazioni precipitose, la sottile “superficie di confine”, come la definisce Ogden, che potrebbe cominciare a formarsi nel rapporto con le qualità dell’oggetto vissute come necessarie alla sopravvivenza.
A seconda dei diversi vertici teorici di osservazione, questo fenomeno è riferito in risposta a livelli dissociati dell’esperienza del paziente69, a vissuti di incorporeità in cui prevale uno stato di atemporalità e di morte psichica57 o ai casi in cui prevale un transfert di tipo simbiotico4.
Alcuni forniscono anche suggerimenti per la gestione feconda del controtransfert somatico. In un primo momento sarebbe auspicabile tollerare e contenere tale vissuto senza ricorrere a precipitose intellettualizzazioni, al contempo fornendo al paziente un ambiente contenitivo. Appare infatti spesso necessario che inizialmente il terapeuta accetti di essere usato alla stregua di un oggetto inanimato e che usi particolare prudenza nel modulare la propria presenza fisica, la cui autonomia e vitalità potrebbe appunto non essere facilmente tollerata dal paziente 57.
Successivamente il terapeuta potrebbe cominciare a esplorare il significato delle proprie reazioni corporee in relazione al paziente, prima mantenendolo inespresso ma fondamentalmente presente dentro di sé (quelle che Spotnitz72, chiama “interpretazioni silenziose”) e in seguito esplicitandone la dinamica intersoggettiva. Bollas, per esempio, afferma che un «elemento del conosciuto non pensato è la conoscenza somatica. Nel lavoro con gli analizzandi viviamo il paziente nel nostro soma»73. Il suggerimento è di sentire intuitivamente attraverso il proprio corpo, con il fine poi di restituire delle parole che fungano da “oggetti trasformativi”. Similmente, Civitarese74 parla della necessità iniziale di vivere in seduta delle allucinosi nel corpo - in termini bioniani, delle condizioni in cui i sensi vengono usati come organi di evacuazione invece che di ricezione, nel rifiuto del senso di realtà senza tuttavia avere la produzione di una vera e propria allucinazione75. A esse seguirebbe una ridestata capacità riflessiva che potrebbe essere letta in termini di “rêverie corporee”, cioè come occasioni di integrazione sostenute dalla basilare capacità del terapeuta di mantenere attiva la propria vita immaginativa e la propria capacità di “sognare nel corpo”, vale a dire di operare dei passaggi trasformativi mantenendo integrati il dominio corporeo e quello mentale.
In sintesi, emerge quale posizione convergente tra gli autori che hanno trattato del controtransfert somatico come esso possa rappresentare una delle condizioni di avvio del processo di cura, in cui i momenti di percezione del proprio controtransfert incarnato sono precursori di profonde esperienze psichiche che è probabile che la coppia analitica esperisca solo successivamente60. Tale fenomeno può aver luogo specialmente con pazienti in cui si celano importanti aree dello psiche-soma non significate, le quali potrebbero caratterizzare massicciamente la personalità oppure anche solo costituirne delimitati nuclei dissociati.
Come già riportato, il contenimento e la possibilità elaborativa insiti nella relazione terapeutica permetterebbero alla manifestazione somatica di essere considerata come uno stimolo comunicativo e potenzialmente evolutivo. In particolare, se il significato psichico di ciò che viene espresso nel corpo del paziente risulta oscuro allo stesso, le dinamiche transferali/controtransferali potrebbero fornire la possibilità di costruirlo con e attraverso l’altro, in questo caso il terapeuta.
Lemma4, riferendosi soprattutto alla terapia di pazienti che sviluppano transfert di tipo simbiotico, parla della funzione propulsiva che la percezione del corpo dell’analista potrebbe assumere nella crescita psichica del paziente. Per questo, propone di considerare il corpo dell’analista come una caratteristica personificata del setting che mantiene una fondamentale funzione di contenimento delle proiezioni del paziente. Solo in seguito a un lavoro psichico sulla percezione di questi stimoli ambientali il paziente comincia a esperire come propri i vissuti sensoriali e somatici, riunendoli e concentrandoli entro i confini spaziali e temporali del proprio corpo. Un processo che richiama forse il processo di personalizzazione di cui parla Winnicott, descritto come «lo sviluppo del sentimento che si ha della propria persona nel proprio corpo» 76.
POSSIBILI MEDIATORI NEURALI DEI PROCESSI DI TRANSFERT/CONTROTRANSFERT SOMATICO
Gaddini77 suggerisce come dall’“imitare per percepire” che è proprio del modello fisico, si sviluppa il parallelo modello psichico, dell’“imitare per essere”, che riguarda l’attivazione di uno specifico funzionamento corporeo modificato con il fine di diventare l’oggetto assente, o per meglio dire, di riprodurne le funzioni. Il concetto di imitazione, o simulazione, del corpo e nel corpo, ovvero incarnata, è similmente affrontata nel contributo di Sletvold56 dedicato al controtransfert somatico, e in maniera più estesa e indiretta, per esempio, dai vari contributi di Damasio17, relativamente ai marcatori somatici, e di Bucci11, in riferimento alla teoria del codice multiplo e al concetto di subsimbolico, che comprendono l’idea di una continuità mente-corpo.
Queste concezioni risultano fortemente attuali in considerazione dei recenti sviluppi delle neuroscienze, soprattutto relativamente ai meccanismi neurali di tipo mirror21. La scoperta dei neuroni mirror, inizialmente descritti come popolazioni neuronali specifiche e circoscritte principalmente al giro frontale inferiore e al lobulo parietale inferiore, si riferiva a neuroni in grado di attivarsi sia nel momento del compimento di un’azione effettuata in prima persona sia nell’osservazione della medesima azione compiuta da altri, ed è stata considerata la base neurale della comprensione delle azioni e delle intenzioni altrui 22. Recentemente, tuttavia, le proprietà mirror sono state riscontrate dagli stessi autori che li scoprirono come un meccanismo che caratterizza il sistema nervoso centrale sostanzialmente in toto23, seppure con delle aree di più spiccata attività, come il cingolo anteriore. Tra questi autori spicca Vittorio Gallese78, che ha introdotto la teoria della simulazione incarnata a livello neurale, e l’ha descritta come un meccanismo funzionale cerebrale che media il funzionamento di base automatico, inconscio e non inferenziale, di simulazione delle altrui azioni, emozioni e sensazioni come fossero inconsciamente esperite da chi le osserva. L’autore propone che l’esperienza neurale condivisa nella simulazione incarnata caratterizzi anche il setting clinico, come processo di base del fenomeno transferale e controtransferale. La teoria della simulazione incarnata si concilia bene con il modello proposto da Ferrari dell’“asse verticale”, ovvero la relazione corpo-mente che precede la relazione con il mondo esterno, e con il modello di Gaddini dell’“imitare per percepire” secondo il quale, inizialmente, il bambino percepisce in quanto modifica il corpo in relazione allo stimolo; e infine con la modalità relazionale mimetica propria della posizione contiguo-autistica descritta da Ogden.
Gallese et al.19 specificano che, a prescindere dai meccanismi proiettivi e dalle pressioni interpersonali che il paziente potrebbe mettere in atto, anche la semplice osservazione e l’ascolto dei suoi vissuti potrebbero generare nel terapeuta l’attivazione di circuiti neurali analoghi a quelli attivi nel paziente, inducendolo a esperire vissuti simili. Gli autori suggeriscono quindi che l’attivazione dei meccanismi mirror possa rappresentare il substrato funzionale del processo transferale-controtransferale, in una sorta di consonanza, di sintonizzazione, che non necessariamente coinvolge sempre le medesime circoscritte aree cerebrali, ma a seconda del processo terapeutico in atto, può coinvolge aree analoghe, differenti di volta in volta, in entrambi i membri della diade clinica in una sorta di sincronizzazione neurale.
Anche il funzionamento del sistema nervoso autonomo, nelle sue branche simpatica e parasimpatica, è attualmente oggetto di interesse nell’ambito dello studio dell’intersoggettività terapeutica. In particolare, la fisiologia interpersonale condivisa79, che riguarda la rilevazione continua e simultanea dell’attività del sistema nervoso autonomo, principalmente nei suoi segnali psicofisiologici legati attività elettrodermica e a quella cardiaca, sta ricevendo crescente attenzione per le sue potenzialità per lo studio del processo in psicoterapia80-82. Per esempio, l’attività psicofisiologica sincronizzata sembra caratterizzare la presenza, nella diade adulta in interazione, di stati emotivi condivisi connotati da una componente empatica o da contagio emotivo79, in una sorta di risonanza emotiva di natura prevalentemente inconsapevole. Analogamente, la sincronizzazione psicofisiologica tra madre e bambino risulta più elevata nei momenti di ricongiungimento dopo un distacco emotivo, come descritto utilizzando il paradigma del volto immobile (still face) da Ham e Tronick83. Coerentemente con tali osservazioni, in un pioneristico contributo relativo all’applicazione di questa tecnica nel setting psicoanalitico degli anni ’50, Coleman et al.84 individuarono una desincronizzazione psicofisiologica significativa tra paziente e terapeuta in concomitanza alle fasi di ritiro affettivo del paziente dalla relazione.
L’aspetto interessante che permette di coniugare gli studi sulla psicofisiologia interpersonale a carico del sistema nervoso autonomo e l’attivazione dei meccanismi mirror nel sistema nervoso centrale è che l’interfaccia tra i due sistemi è stata individuata nella rete neurale denominata “CAN” (Central Autonomic Network85). Tale rete include aree quali il cingolo anteriore, la corteccia frontale mediale, insula e l’amigdala, ed è più attiva a livello dell’emisfero destro, classicamente associato all’elaborazione degli stati di natura affettivo/emotiva24. Aver individuato questa rete centrale che regola le risposte del sistema nervoso autonomo sembra rendere possibile studiare indirettamente il funzionamento del sistema dei neuroni specchio utilizzando tecniche psicofisiologiche86. Pertanto, la psicofisiologia interpersonale, quando rivela un’attivazione sincrona nella diade relazionale, in particolare quella clinica, può ragionevolmente essere riflesso dell’attività mirror a livello centrale, e quindi essere considerata il correlato neurale del processo transferale/controtransferale più primitivo, quello somatico.
Stante tali premesse, lo studio della psicofisiologia interpersonale nel setting clinico potrebbe divenire, grazie anche alla minima invasività della rilevazione delle misure psicofisiologiche, un candidato elettivo per lo studio della relazione psicoterapeutica e, verosimilmente, anche del processo transferale e controtransferale somatico, nella prospettiva più consona alla natura inconscia di questo oggetto di indagine, ovvero proprio quella somatica.
CONCLUSIONI
Nonostante la ricerca contemporanea abbia incrementato il suo interesse nell’ambito dell’esplorazione sistematica del rapporto mente-corpo, il fenomeno transferale-controtransferale somatico ha ricevuto ancora, inspiegabilmente, una scarsa attenzione. Abbiamo descritto come le radici di questo fenomeno affondino nei primi processi evolutivi di scambio tra madre e bambino e nell’investimento libidico sul proprio corpo, ovvero sulle percezioni sensoriali dell’altro, e quindi anche tra paziente e analista, come momento antecedente lo sviluppo del transfert sul terapeuta come oggetto esterno. Abbiamo declinato le manifestazioni transferali/controtransferali somatiche secondo le organizzazioni psicopatologiche e dissociative, evidenziandone la profonda diversità di espressione pur nelle analogie che tali sofferenze condividono da parte del paziente, sottolineando l’importanza contenitiva e potenzialmente riparativa, nonché generativa, dell’analista. Abbiamo infine mostrato come queste prospettive possano essere almeno parzialmente ricongiunte alla luce del funzionamento neurale di tipo mirror, avvalorando l’intima connessione fra transfert e controtransfert somatico e funzionamento globale della persona, incluso, appunto, il piano somatico sensu strictu, che non può essere precluso vista la natura del tema della trattazione.
È possibile che la natura sensoriale e presimbolica delle dinamiche transferali e controtransferali di natura somatica, per alcuni aspetti sfuggenti, siano stati un elemento determinante nel limitare la riflessione della comunità scientifica su tali argomenti. Tuttavia, l’estrema importanza che questi elementi rivestono per la comprensione della psicopatologia e per la cura indicano la necessità che essi non vengano trascurati nella ricerca e, tantomeno, nella clinica. Le attuali applicazioni nell’ambito della misurazione psicofisiologica potrebbero rappresentare in tal senso uno strumento di osservazione elettivo in studi futuri. Riteniamo quindi utile che l’attenzione dei clinici e dei ricercatori si diriga anche su questa dimensione imprescindibile e attualmente negletta dei fenomeni transferali e controtransferali, restituendone la centralità nelle prospettive psicoanalitiche attuali ai fini di una migliore comprensione e cura della sofferenza psichica.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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