Efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento delle psicosi: una meta-rassegna

Efficacy of cognitive behavioural therapy in the treatment of psychosis:
a meta-review


ALBERTO BARBIERI1, FEDERICA VISCO-COMANDINI1

1Centro Clinico Psyché per la Salute Mentale Transculturale, Medici per i Diritti Umani, Roma
*E-mail: alberto.barbieri@mediciperidirittiumani.org


RIASSUNTO. Introduzione. Sebbene la terapia cognitivo-comportamentale (cognitive behavioural therapy - CBT) per le psicosi sia raccomandata dalle principali linee guida internazionali, la sua effettiva efficacia nel trattamento della schizofrenia e delle psicosi è tutt’ora oggetto di controversia. Obiettivo. Valutare l’efficacia della CBT nel trattamento delle psicosi. Metodo. È stata compiuta una ricerca sistematica per studi di rassegne e meta-analisi sull’efficacia della CBT nel trattamento delle psicosi, pubblicate dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2018. Gli studi selezionati sono stati valutati utilizzando AMSTAR 2, un valido e affidabile strumento composto da 16 item per misurare la qualità metodologica di rassegne sistematiche e meta-analisi. Risultati. Sono state selezionate 20 meta-analisi: 2 di qualità alta, 5 di qualità media, 6 di qualità bassa, 7 di qualità criticamente bassa. Discussione e conclusione. La CBT è una terapia efficace rispetto al trattamento standard, sui sintomi positivi, negativi e generali delle psicosi (con un numero particolarmente consistente di studi a favore dei sintomi positivi), con effetti di dimensioni medio-piccole. Per quanto riguarda il confronto di efficacia con altre terapie psicologiche e psicosociali, non sembra esistere un vantaggio chiaro e convincente della CBT sui sintomi, le ricadute, il funzionamento sociale e la qualità di vita, anche se, a oggi, la qualità dei trial disponibili è per lo più bassa o molto bassa e sono necessarie ulteriori ricerche prima di poter giungere a conclusioni davvero attendibili. Sono inoltre necessarie ulteriori e più rigorose ricerche per stabilire l’effettiva efficacia della CBT sui sintomi secondari, l’insight e gli esiti non sintomatici. La CBT non sembra produrre effetti significativi nella prevenzione di ricadute psicotiche.

PAROLE CHIAVE: terapia cognitivo-comportamentale, CBT, psicosi, schizofrenia, meta-analisi, rassegna sistematica.


SUMMARY. Introduction. Although cognitive behavioural therapy (CBT) for psychosis is recommended by the main international guidelines, its effective efficacy in the treatment of schizophrenia and psychosis is still debated. Aims. To evaluate the effectiveness of cognitive behavioural therapy in the treatment of psychosis. Method. A systematic research was carried out for systematic reviews and meta-analysis on the effectiveness of CBT in the treatment of psychosis, published from 1 January 2009 to 31 December 2018. The selected studies were evaluated using AMSTAR 2, a valid and reliable tool composed of 16 items to measure the methodological quality of systematic reviews and meta-analysis. Results. 20 meta-analysis were selected: 2 of high quality, 5 of moderate quality, 6 of low quality, 7 of critically low quality. Discussion and conclusion. CBT is an effective therapy compared to treatment as usual, for positive, negative and general symptoms of psychosis (with a particularly large number of studies in favour of positive symptoms), with effects of medium-small size. On the other hand, there is no clear and convincing advantage for CBT over other psychological and psychosocial therapies for symptoms, relapses, social functioning and quality of life in people with psychosis even if today the quality of the trials available is mostly of low or very low quality and further research is needed to reach reliable conclusions. Further and more rigorous research is certainly needed also to establish the effective efficacy of CBT on secondary symptoms, insight and non-symptomatic outcomes. CBT does not seem to produce significant effects in the prevention of psychotic relapses.

KEY WORDS: cognitive behavioural therapy, CBT, psychosis, schizophrenia, meta-analysis, systematic review.

INTRODUZIONE
Le psicosi e la diagnosi specifica di schizofrenia1 rappresentano un cluster di gravi disturbi psichiatrici in cui le percezioni, i pensieri, l’umore e il comportamento di un individuo sono significativamente alterati. Ciascun soggetto che sviluppa una psicosi o la schizofrenia esperisce un insieme unico di sintomi ed esperienze, che potranno variare a seconda delle particolari circostanze che si troverà ad affrontare2. Negli ultimi quindici anni, c’è stato un notevole cambiamento di prospettiva nella comprensione della complessità delle psicosi e della schizofrenia, con una maggiore attenzione al ruolo degli affetti nelle psicosi non affettive e ai molteplici processi che sono alla base di questi disturbi2. L’attuale comprensione «è ancora limitata dalla sostanziale eterogeneità degli aspetti clinici, patologici ed etiologici della schizofrenia e dei suoi confini sfocati con diversi altri disturbi  psichiatrici, con un “cluster sfocato” e la sovrapposizione di sindromi che riducono quindi la validità di contenuto discriminante e predittiva di un costrutto unitario»3. Le terapie psicologiche e gli interventi psicosociali nel trattamento della schizofrenia e dei disturbi psicotici hanno acquisito slancio negli ultimi tre decenni. Questo può essere attribuito ad almeno due fattori principali. Innanzitutto, c’è stato un crescente riconoscimento dell’importanza dei processi psicologici nelle psicosi, sia come fattori che contribuiscono all’esordio e alla persistenza dei sintomi, sia in termini di impatto psicologico negativo di una diagnosi di schizofrenia sul benessere dell’individuo, sul funzionamento psicosociale e sulle opportunità di vita. In secondo luogo, anche se gli interventi farmacologici sono stati il ​​pilastro del trattamento delle psicosi sin dalla loro introduzione negli anni ’50 del secolo scorso, essi hanno dimostrato dei limiti rilevanti. Tra questi la refrattarietà di circa il 30% dei pazienti ai farmaci antipsicotici 4, l’alta incidenza di effetti collaterali invalidanti e la scarsa aderenza al trattamento. Inoltre, anche quando i pazienti aderiscono al trattamento farmacologico e c’è un miglioramento dei sintomi positivi (deliri e allucinazioni), spesso i sintomi negativi (apatia, avolizione, anedonia, appiattimento affettivo, povertà dell’eloquio, ritiro sociale e trascuratezza) tendono a persistere5,6. Il riconoscimento di questi limiti ha aperto la strada ad approcci terapeutici più ampi, che combinassero trattamenti diversi tagliati su misura per le esigenze dei singoli pazienti e delle loro famiglie. Tali opzioni di trattamento comprendono le terapie psicologiche e gli interventi psicosociali. Le differenti terapie cognitivo-comportamentali e gli approcci ispirati a esse, in particolare, hanno assunto negli ultimi quarant’anni una crescente rilevanza: dalla terapia cognitivo-comportamentale per le psicosi alla psicoeducazione, dal social skill training e la cognitive remediation ai nuovi approcci della cosiddetta terza onda del cognitivismo, tra i quali gli approcci metacognitivi e le terapie basate sulla mindfulness e sull’accettazione.
La terapia cognitivo-comportamentale (cognitive behavioural therapy - CBT) si basa sulla premessa che esiste una relazione tra pensieri, emozioni e comportamento. Sebbene Albert Ellis abbia per primo sviluppato la CBT (che chiamò “rational emotive behaviour therapy”) negli anni ’60 del Novecento, la maggior parte della CBT praticata nell’attualità ha le sue origini nel lavoro di Aaron T. Beck. Beck7 ha sviluppato la CBT per il trattamento della depressione negli anni ’70, ma da allora questo approccio psicoterapico ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento in una vasta gamma di problemi di salute mentale tra cui i disturbi d’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo, la bulimia nervosa e il disturbo da stress post-traumatico. In realtà, il primo tentativo di utilizzo della terapia cognitiva nel trattamento di pazienti con schizofrenia, documentato da alcuni case report 8,9, risale addirittura agli anni Cinquanta del secolo scorso. È però agli inizi degli anni ’90 che si accresce l’interesse nell’applicazione della CBT per le persone con disturbi psicotici, in seguito a una maggiore comprensione della psicologia cognitiva dei sintomi psicotici10-12. I primi studi sulla CBT tendevano a essere particolarmente focalizzati sui sintomi, aiutando i pazienti a sviluppare strategie di coping per gestire le allucinazioni13. Da allora tuttavia, la CBT per la psicosi (CBTp) si è evoluta e tende oggi a essere maggiormente basata sulla formulazione del singolo caso. Oltre un decennio fa, Birchwood e Trower14 hanno introdotto la definizione “quasi-neurolettico” per descrivere proprio l’approccio orientato sui sintomi della CBTp. Questi autori hanno sostenuto che tale visione della CBTp fosse inappropriata e che questo tipo di intervento avesse più probabilmente un proprio profilo di effetti che fossero complementari piuttosto che sostitutivi del trattamento farmacologico. Tale opinione sembra riflettersi nelle due principali linee guida cliniche per la schizofrenia in uso nel Regno Unito, quella del National Institute for Care and Health Excellence (NICE) 2 e quella dello Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN)15. Per esempio, il NICE afferma che «gli obiettivi degli interventi psicologici e psicosociali per le psicosi e la schizofrenia sono numerosi. Questi dovrebbero includere interventi rivolti sia a migliorare i sintomi sia ad affrontare le vulnerabilità correlate ai processi di sviluppo. Gli obiettivi, quindi, includono: la riduzione del disagio associato ai sintomi della psicosi […], la promozione della recovery sociale ed educativa; la riduzione della depressione e dell’ansia sociale […] e la prevenzione delle ricadute». Allo stesso modo, SIGN afferma: «Lo scopo [della CBTp] è di aiutare l’individuo a normalizzare e a dare un senso alle proprie esperienze psicotiche e di ridurre il disagio associato e l’impatto sul funzionamento» 12. Concetti simili sono espressi nelle linee guida di altri Paesi nel mondo, come per esempio quelle del Royal Australian e del New Zealand College of Psychiatrists. Come per altri interventi psicologici, inoltre, la CBT dipende dall’efficace sviluppo di una positiva alleanza terapeutica16.
I trial sulla CBTp hanno studiato una serie di outcome nel corso degli anni; tra questi, la riduzione dei sintomi (sintomi positivi, negativi e generali)17, la riduzione delle ricadute18, il funzionamento sociale19 e l’insight20. Più recentemente, l’interesse dei ricercatori è andato oltre il solo impatto della CBTp nella riduzione della sintomatologia psicotica, nella direzione dei cambiamenti del livello di angoscia e dei comportamenti problematici associati a queste esperienze psicopatologiche21. Con i recenti sviluppi della CBTp, si è inoltre espansa la popolazione bersaglio, comprendendo il trattamento degli esordi psicotici22,23, e delle persone con schizofrenia e disturbi da uso di sostanze in comorbilità24.
Sette meta-analisi antecedenti al periodo oggetto di questa rassegna (gennaio 2009-dicembre 2018) hanno rilevato l’efficacia della CBT nel ridurre i sintomi positivi25-27, i sintomi negativi28 e la psicopatologia generale29-31. Nella sezione delle terapie psicologiche e degli interventi psicosociali, le linee guida del NICE2 sul trattamento e la gestione delle psicosi e della schizofrenia nell’adulto raccomandano di proporre la CBT a tutte le persone con psicosi o schizofrenia in ragione della solidità delle prove di efficacia su differenti outcome critici quali la riduzione del numero e della durata dei ricoveri, la riduzione delle allucinazioni e della depressione oltre che della sintomatologia generale. Le linee guida NICE non hanno invece confermato consistenti prove di efficacia sull’insight e la compliance. La CBT può essere avviata sia durante la fase acuta sia nelle fasi successive, anche in regime di ricovero. L’American Psychiatric Association ha approvato l’utilizzo della CBT “con moderata affidabilità clinica” nel 2004 per i pazienti con schizofrenia stabile 32, e più recentemente lo US Schizophrenia Patient Outcomes Research Team (PORT) ha approvato questa terapia psicologica per i pazienti che presentano sintomi psicotici persistenti pur ricevendo un’adeguata farmacoterapia33.
Fino a che punto la CBT sia efficace nella terapia delle psicosi e della schizofrenia è un tema tuttavia controverso. In un articolo dal titolo assai eloquente (“La terapia cognitivo-comportamentale per le psicosi è stata sopravvalutata?”), McKenna afferma che «dietro tutte le fanfare, è ormai evidente da qualche tempo che questa terapia [CBT per le psicosi ndr] è tenuta a galla dagli sforzi di giocare con evidenze deboli e ambigue e attraverso il discredito di meta-analisi dai risultati sempre più imbarazzanti» 34. Su questa linea di pensiero, Lynch et al.35 hanno criticato la metodologia della maggior parte delle meta-analisi sopra menzionate per non avere adeguatamente considerato i bias causati dalla mancanza del mascheramento e dal mancato utilizzo di interventi di controllo: «Su sette meta analisi della CBT per la schizofrenia26-31,36, solo due26,29 hanno esaminato l’influenza del blinding sulla dimensione dell’effetto e nessuna di queste ha cercato di stabilire l’efficacia del trattamento in studi che hanno utilizzato sia il blinding sia un intervento di controllo». La rassegna di Wykes et al.29 ha studiato gli outcome in funzione del rigore metodologico e ha notato che i trial con metodologia più rigorosa evidenziavano dimensioni di effetto inferiori. La meta-analisi di Jones et al.36 concludeva affermando che «i dati sperimentali che supportano l’ampio utilizzo della CBT nella schizofrenia e in altri disturbi psicotici sono attualmente tutt’altro che conclusivi».
Nell’intento di apportare un contributo al dibattito contemporaneo sull’impiego delle terapie psicologiche nel trattamento dei disturbi psichiatrici gravi, questo lavoro si pone, dunque, l’obiettivo di valutare l’efficacia della CBT nel trattamento delle psicosi sulla base delle rassegne sistematiche e meta-analisi degli ultimi dieci anni.

METODI
Ricerca
È stata compiuta una ricerca sistematica dai due autori in modo indipendente su PubMed (Medline), Cochrane Library e PsycINFO per studi di meta-analisi e rassegne sistematiche sull’efficacia della CBT nel trattamento delle psicosi, pubblicate dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2018. Non sono state applicate restrizioni linguistiche. La ricerca è stata effettuata utilizzando i seguenti termini: meta-analysis AND (psychosis OR schizophrenia) AND (“cognitive behavioural therapy” OR “cognitive behavior therapy” OR CBT). La ricerca sui data base è stata complementata da quella manuale nelle liste bibliografiche degli studi selezionati.
Criteri di inclusione
Popolazione: pazienti con disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici diagnosticati attraverso strumenti di valutazione validati (per es., DSM, ICD-9). Interventi: tutti i tipi di CBT aventi come obiettivo il miglioramento degli outcome delle psicosi (per es., individuale, di gruppo, breve, standard, online). Interventi rivolti a pazienti con stati mentali a rischio e sintomi prodromici di psicosi non sono stati inclusi Comparazioni: sono stati inclusi tutti gli interventi di controllo pertinenti (per es., placebo, trattamenti standard-TAU, liste d’attesa, nessun trattamento, altre terapie psicologiche e interventi psico-sociali, ecc). Outcome: sono stati considerati tutti gli outcome studiati, inclusi: sintomi positivi, sintomi negativi, sintomi generali, sintomi secondari, ricadute, insight, funzionamento sociale, qualità di vita. Setting: sono stati considerati tutti i setting: ospedaliero (regime di ricovero o ambulatoriale), territoriale, comunitario o remoto (per es., attraverso la tecnologia digitale). Study design: sono state incluse meta-analisi sostenute da una revisione sistematica che prendesse in considerazione studi sia randomizzati sia non randomizzati. I due autori hanno condotto indipendentemente la selezione degli studi ammissibili, analizzato e risolto congiuntamente le divergenze.
Analisi qualitativa degli studi di rassegna e meta-analisi
Gli studi selezionati sono stati valutati utilizzando A Measurement Tool to Assess Systematic Reviews (AMSTAR 2), un valido e affidabile strumento composto da 16 item per misurare la qualità metodologica di rassegne sistematiche e meta-analisi37 di studi sia randomizzati sia non randomizzati. Gli autori che hanno sviluppato AMSTAR 2 hanno individuato in particolare 7 domini critici: protocollo registrato prima dell’avvio dello studio di rassegne (item 2); adeguatezza della ricerca bibliografica (item 4); giustificazione per l’esclusione di singoli studi (item 7); rischio di bias dei singoli studi inclusi nella rassegna (item 9); appropriatezza dei metodi meta-analitici (item 11); esame del rischio di bias nell’interpretazione dei risultati della rassegna (item 13); valutazione della presenza e probabile impatto del bias di pubblicazione (item 15). Ai fini di questo studio, la qualità metodologica di una rassegna è stata classificata (secondo criteri adattati dagli autori dello strumento AMSTAR 2 37) come: alta (nessuna o una debolezza non critica: la revisione sistematica fornisce un riepilogo accurato e completo dei risultati degli studi disponibili); media (una debolezza critica con o senza debolezze non critiche: la revisione sistematica può fornire un riepilogo accurato dei risultati degli studi disponibili inclusi nella revisione); bassa (due difetti critici con o senza debolezze non critiche: la revisione ha due difetti critici e potrebbe non fornire un riepilogo accurato e completo degli studi disponibili che affrontano la questione di interesse); criticamente bassa (più di due difetti critici con o senza debolezze non critiche: la revisione ha più di due difetti critici e non dovrebbe essere considerata per fornire un riepilogo accurato e completo degli studi disponibili). Molteplici debolezze non critiche possono diminuire l’attendibilità della rassegna e può essere perciò appropriato diminuire la valutazione di qualità dello studio da media a bassa o da bassa a criticamente bassa indipendentemente dal numero di difetti critici. L’analisi con AMSTAR 2 è stata svolta in modo indipendente dai due autori di questo studio. Le divergenze sono state analizzate e risolte congiuntamente.
RISULTATI
Sono stati rilevati dai motori di ricerca 92 risultati che dopo l’eliminazione dei duplicati si sono ridotti a 58. Attraverso altre fonti sono stati individuati 4 ulteriori risultati. Tra i 62 risultati sono state individuate 39 meta-analisi (Figura 1), e di queste, in base ai criteri di inclusione, ne sono state selezionate 20 (2 di qualità alta, 5 di qualità media, 6 di qualità bassa, 7 di qualità criticamente bassa in base alla valutazione AMSTAR 2) (Tabella 1).






DISCUSSIONE
La CBT è la terapia psicologica per le psicosi più ampiamente studiata38. Delle 19 meta-analisi che studiano l’efficacia della CBT per la psicosi inserite in questa rassegna (Tabella 2, consultabile online sul sito www.rivistadipsichia-
tria.it), la maggior parte indaga gli effetti sui
sintomi positivi e la sintomatologia generale.
Bighelli et al.38 hanno recentemente realizzato la prima meta-analisi che esamina i tassi di risposta dei pazienti con schizofrenia e sintomi positivi alla CBT (qualità dello studio media secondo AMSTAR 2). È stato applicato un metodo di imputazione validato per calcolare il numero di responder dalle scale di valutazione per i sintomi generali e i sintomi positivi, in base a due criteri: almeno il 20% e almeno il 50% di riduzione rispetto alla baseline sui punteggi totali nelle scale Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) o Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS). Sono stati inclusi 33 studi randomizzati controllati (randomized controlled study - RCT) per un totale di 1142 partecipanti sottoposti a CBT. Il 44,5% e il 13,2% dei pazienti ha raggiunto una riduzione rispettivamente del 20% (minimo miglioramento) e del 50% (forte miglioramento) dei sintomi generali. Allo stesso modo, il 52,9% e il 24,8% dei pazienti ha raggiunto una riduzione del 20%-50% dei sintomi positivi. Analisi di sottogruppi e meta-regressione hanno rilevato una migliore risposta al trattamento nei sintomi generali per i pazienti che non erano resistenti al trattamento farmacologico e in studi che presentavano un effetto di researchers’ allegiance. Una migliore risposta (con una significatività limite) è stata anche registrata negli studi che hanno impiegato terapeuti esperti e in pazienti con un grado clinico iniziale più severo. A questo riguardo è necessario però sottolineare che, in media, i pazienti inclusi negli studi considerati presentavano solo un disturbo di gravità moderata con uno score CGI (Clinical Global Impression-Schizophrenia scale) tra 3 e 4, significativamente inferiore a quello dei pazienti arruolati per gli studi sui farmaci antipsicotici 39. Il blinding del valutatore degli esiti, il numero di sedute, la durata del trattamento, l’età e il sesso non si sono dimostrati significativi moderatori della risposta. Gli autori ritengono dunque che aggiungere la CBT alla farmacoterapia porti a un miglioramento minimo dei sintomi complessivi nel 44,5% dei pazienti e a un notevole miglioramento nel 13,2% dei casi. La CBT sembra essere particolarmente efficace per i pazienti che non sono resistenti al trattamento farmacologico, quando il disturbo è di grado più severo e quando il trattamento è fornito da terapeuti esperti.
In una vasta meta-analisi recentemente realizzata dagli stessi autori40, sugli interventi psicologici per il trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia (qualità dello studio media secondo AMSTAR 2), la CBT è stato il più rappresentato tra i trattamenti considerati con 40 studi. In totale sono stati considerati 53 RTC di sette interventi psicologici, per un totale di 4068 partecipanti con diagnosi di schizofrenia o disturbi correlati che hanno ricevuto un trattamento psicologico come add-on agli antipsicotici. Nello studio è stato applicato un approccio di meta-analisi di network che ha integrato un confronto sia diretto sia indiretto. È stata trovata un’efficacia significativa per la CBT se confrontata con i trattamenti standard (treatment as usual - TAU) in molti outcome (sintomi positivi, sintomi generali e negativi, risposta al trattamento, qualità della vita e funzionamento), una maggiore efficacia rispetto ai controlli inattivi per i sintomi positivi (Tabella 3, consultabile online sul sito www.rivistadipsichiatria.it) e la risposta al trattamento, e rispetto alla terapia di supporto per l’aderenza. Non c’è stata alcuna prova convincente dell’efficacia di altri trattamenti psicologici diversi dalla CBT, probabilmente a causa del numero limitato di studi. La CBT è risultata essere associata anche a tassi di drop-out più alti rispetto al TAU (18,8% contro 12%). La CBT potrebbe effettivamente essere meno accettabile, e non tutti i pazienti potrebbero essere disposti a impegnarsi in un trattamento così impegnativo; tuttavia, gli autori sostengono che confrontare i tassi di abbandono con quelli di TAU potrebbe essere fuorviante. I pazienti di quest’ultimo gruppo – per definizione – continuano la loro cura abituale, e potrebbero avere meno ragioni per abbandonarla rispetto a pazienti assegnati a un nuovo intervento, che potrebbe essere ritenuto eccessivamente esigente e impegnativo, o che dopo aver suscitato notevoli aspettative risulti scoraggiante per i risultati ancora non visibili dopo poche sessioni. A conferma di questa ipotesi, nella condizione di controllo inattivo (dove i pazienti partecipano, per es., a sessioni di befriending o ad attività ricreative) si è riscontrato un tasso di abbandono più elevato rispetto al trattamento standard. I pazienti degli studi considerati presentavano un disturbo di gravità moderata rispetto a quelli di una meta-analisi sui farmaci antipsicotici vs placebo, dove l’entità del disturbo era grave 41. Sembra che i pazienti gravemente malati di solito non siano arruolati in studi di psicoterapia. D’altra parte, questa constatazione non fa che riflettere la pratica clinica: la psicoterapia richiede una capacità minima di collaborazione da parte del soggetto e molti pazienti non possiedono questa capacità quando il disturbo è grave. L’interpretazione dei sottogruppi e le analisi di sensibilità sono state limitate dal basso numero di studi disponibili. Tuttavia, i risultati sulla CBT sono rimasti stabili dopo tutte le analisi di sensibilità pre-programmate, corroborando la robustezza dei risultati per questo intervento. È stato anche testato il potenziale ruolo della fedeltà dei ricercatori escludendo gli studi in cui gli autori hanno testato l’efficacia di un intervento che è stato sviluppato da loro stessi, e non sono stati riscontrati risultati significativamente diversi dall’analisi principale. Un problema aperto e sempre più rilevante è se gli interventi psicologici possano causare danni. Sono stati raccolti tutti i dati disponibili sugli effetti indesiderati potenzialmente connessi con l’intervento psicologico, ma questo aspetto è risultato essere scarsamente riportato nei trial. I risultati di questo studio sono poi in accordo con i risultati di alcune precedenti meta-analisi, in cui la CBT è risultata efficace per i sintomi generali, positivi e negativi della schizofrenia in confronto con le condizioni di controllo, ma non se confrontata con altre terapie psicologiche. Come già menzionato, del resto, precedenti studi e rassegne che hanno analizzato l’efficacia della CBT per la schizofrenia hanno prodotto conclusioni contrastanti. In questo contesto, il ruolo degli studi in cieco può essere particolarmente critico. I risultati di Bighelli et al. 40, per es., sono in contrasto con i risultati di Jauhar et al.42; escludendo gli studi con valutatori d’esito non in cieco, questi ultimi autori non hanno trovato differenze tra CBT e qualsiasi condizione di controllo. Al contrario, Bighelli et al.40 hanno scoperto che la superiorità del trattamento con CBT sulla TAU e i controlli inattivi è stata mantenuta anche con gli studi in cieco. Essa non è stata invece mantenuta sulla terapia di supporto e le lista d’attesa, ma solo pochissimi studi hanno fornito prove dirette per questi comparatori. Tuttavia, il lavoro di Bighelli et al.40 non può essere confrontato direttamente con quello di Jauhar et al.42 poiché questi ultimi hanno incluso tutti i pazienti con schizofrenia senza restrizione ai sintomi positivi, hanno utilizzato criteri statistici leggermente diversi per il rischio di bias e hanno messo insieme tutti i comparatori nella loro meta-analisi a coppie. Gli autori segnalano alcuni limiti della loro ricerca. Innanzitutto, i dati disponibili per altri trattamenti che non siano la CBT e per la CBT rispetto ad altri trattamenti che non siano il TAU sono basati solo su pochi studi, riducendo così la possibilità di rilevare possibili differenze. Perciò, i risultati dovrebbero essere interpretati con cautela. In secondo luogo, il focus della meta-analisi era il trattamento dei sintomi positivi, e i risultati osservati per altri outcome potrebbero essere secondari all’effetto del trattamento su questi sintomi. Per esempio, un paziente potrebbe esperire il ritiro, la mancanza di spontaneità, i sintomi depressivi o un basso funzionamento dovuti alle difficoltà collegate a deliri o allucinazioni. Quando questi vengono trattati, la qualità della vita e gli altri sintomi potrebbe migliorare. Per questo motivo, gli autori focalizzano le loro interpretazioni principalmente sui sintomi positivi. Terzo, i pazienti nei trial inclusi stavano assumendo anche farmaci antipsicotici. Sono state raccolte le informazioni disponibili sull’uso degli antipsicotici. Tuttavia, queste sono state scarse e mai fornite sul gruppo sperimentale e quello di controllo in modo separato. L’unica eccezione è lo studio di Morrison et al. 43 che includeva pazienti che non stavano assumendo farmaci antipsicotici (un’analisi di sensibilità post hoc che ha escluso questo studio non ha materialmente cambiato i risultati). Di conseguenza, non è stato possibile valutare il ruolo del trattamento farmacologico come moderatore. Tuttavia, gli autori ritengono che l’assunzione di farmaci possa essere considerata simile tra i gruppi di studio, in quanto tale variabile è stata randomizzata tra i gruppi. Inoltre, si suppone che la situazione negli studi inclusi assomigli a quello che accade nella pratica clinica della vita reale, dove gli interventi psicologici sono utilizzati come add-on alla terapia farmacologica, e i partecipanti di solito proseguono l’assunzione del loro precedente farmaco.
























D’altra parte, questo lavoro presenta notevoli punti di forza. Innanzitutto, lo studio è stato attentamente pianificato in accordo con le linee guida PRISMA e ha seguito una metodologia valida che è stata pubblicata a priori in un protocollo44. In secondo luogo, l’aver considerato le condizioni di controllo come il TAU e la lista d’attesa in modo separato ha permesso di accertare la loro relativa efficacia. Questo è particolarmente importante, poiché la lista d’attesa è risultata essere collegata a un effetto nocebo. In terzo luogo, i rigorosi criteri di selezione hanno portato a una popolazione omogenea. Questo rende fiduciosi gli autori sulla solidità dei risultati di questo studio. Il lavoro di Bighelli et al. conclude che la CBT sembra essere efficace sui sintomi positivi dei pazienti affetti da schizofrenia di gravità moderata, con effetti di dimensioni medio-basse, a seconda delle condizioni di controllo.
Una rassegna di Jones et al.45 si è posta l’obiettivo di valutare gli effetti della CBT rispetto ad altre terapie psicosociali come trattamento aggiuntivo nella schizofrenia (qualità dello studio alta secondo AMSTAR 2). Gli autori hanno selezionato studi randomizzati e controllati che hanno coinvolto pazienti con schizofrenia, i quali sono stati suddivisi in modo casuale per ricevere, oltre alla terapia standard, o la CBT o qualsiasi altra terapia psicosociale. Lo studio, che ha incluso 36 trial con 3542 partecipanti, ha confrontato la CBT con una serie di altre terapie psicosociali che sono state classificate come attive (n=14) o non attive (n=14). I trial erano spesso piccoli e con un rischio elevato o poco chiaro di bias. Quando la CBT è stata confrontata con altre terapie psicosociali, non è stata osservata alcuna differenza nelle ricadute a lungo termine (RR 1,05, intervallo di confidenza - IC 95% da 0,85 a 1,29, partecipanti=375, studi=5, evidenza di qualità bassa). I risultati non hanno mostrato una chiara differenza né per quanto riguarda la riospedalizzazione a lungo termine (RR 0,96, IC 95% da 0,82 a 1,14, partecipanti=943, studi=8, evidenza bassa qualità) né per quanto riguarda lo stato mentale a lungo termine (RR 0,82, IC 95% da 0,67 a 1,01; partecipanti=249; studi=4, prove di qualità bassa). Non sono state osservate differenze a lungo termine sulla mortalità (RR 1,57, IC 95% da 0,62 a 3,98, partecipanti=627, studi=6, prove di qualità bassa). I punteggi di funzionamento sociale erano simili tra i gruppi (long term Social Functioning Scale (SFS): MD 8,80, 95% CI -4,07 a 21,67, partecipanti=65; studi=1, prova di qualità molto bassa), e anche i punteggi di qualità della vita erano simili (sistema modulare a medio termine per la qualità della vita (MSQOL): MD -4,50, 95% CI -15,66 a 6,66; partecipanti=64; studi=1, prova di qualità molto bassa). È stata evidenziata una differenza modesta ma chiara che favoriva la CBT in relazione alla soddisfazione per il trattamento (RR 0,86, IC 95% 0,75 a 0,99, partecipanti=2392, studi=26, evidenza di qualità bassa). Lo studio conclude che non esiste un vantaggio chiaro e convincente della CBT rispetto ad altre terapie psicosociali, a volte molto meno sofisticate e costose, per le persone con schizofrenia. In ogni modo, gli autori sottolineano che, sebbene siano state condotte molte ricerche in questo settore, la qualità delle prove disponibili è per lo più bassa o molto bassa ed è pertanto necessaria una ricerca di buona qualità prima di poter trarre conclusioni definitive.
Un’altra meta-analisi46 si è posta l’obiettivo di valutare se la CBT fosse in grado di ridurre la psicopatologia in pazienti con schizofrenia in modo più efficace rispetto ad altre più semplici terapie psicologiche di supporto (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2). Nove RCT sono stati inclusi nella meta-analisi finale. Il cambiamento della psicopatologia alla fine della terapia è stato l’end-point indagato. La meta-analisi della CBT rispetto alla terapia di supporto non ha trovato differenze significative tra i due gruppi di terapia alla fine del trattamento per quanto riguarda la psicopatologia. Secondo gli autori ciò suggerisce che gli aspetti aspecifici della CBT sono forse altrettanto importanti nella riduzione dei sintomi rispetto a quelli basati sulla teoria delle terapie cognitive per la psicosi. Oggi, dunque, «è difficile sostenere che la CBT possa essere raccomandata sulla base dei suoi soli effetti sulla psicopatologia» rispetto ad altre forme di terapia più semplici e accessibili, sostiene lo studio. Queste conclusioni sono state oggetto di critica da parte di Hutton 47 secondo cui esse sono premature, se non ingiustificate, per una serie di motivi, tra cui errori di base, mancanza di trasparenza nella metodologia e mancata considerazione della dose.
La rassegna di Stafford et al.48 valuta l’efficacia e la sicurezza degli interventi farmacologici, psicologici e combinati nel trattamento delle psicosi e della schizofrenia nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti (qualità dello studio media secondo AMSTAR 2). Sono stati inclusi 27 studi con 3067 partecipanti. Non sono stati trovati studi di terapie psicologiche in pazienti minori di 18 anni. Non sono state rilevate evidenze di un effetto degli interventi psicologici sui sintomi psicotici in un episodio acuto, o sul tasso di ricadute. Sono d’altra parte emerse evidenze (qualità bassa) che interventi familiari+CBT producono un forte effetto statisticamente significativo nel ritardare il tempo di ricaduta (WMD=32,25, 95% CI -36,52 a -27,98). Secondo gli autori sono comunque necessarie ulteriori ricerche per poter stabilire il potenziale dei trattamenti psicologici, da soli e in combinazione con i farmaci antipsicotici, in queste specifiche popolazioni di pazienti.
La meta-analisi di Burns et al.49 ha esaminato l’efficacia della CBT su pazienti ambulatoriali con disturbi psicotici resistenti ai farmaci, sia al termine del trattamento sia al follow-up (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2). Lo studio ha compreso 12 RCT per un totale di 639 pazienti, 552 dei quali hanno completato la valutazione post-trattamento (tasso di abbandono del 14%). La CBT si è dimostrata efficace nel migliorare i sintomi positivi e i sintomi generali sia nel post-trattamento sia nel follow-up. A parere degli autori, dunque, la CBT può apportare benefici aggiuntivi a quei pazienti che continuano a manifestare sintomi di psicosi nonostante una adeguata terapia farmacologica.
Lo studio di Turner et al.50 si è posto l’obiettivo di valutare l’efficacia relativa degli interventi psicologici per la psicosi (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2). La CBT è risultata significativamente più efficace rispetto agli altri interventi raggruppati nel ridurre i sintomi positivi. Questo risultato è stato confermato in tutte le analisi di sensibilità per il rischio di bias, ma ha perso significatività nelle analisi di sensibilità per la fedeltà dei ricercatori, limitata però dalla bassa potenza statistica. Risultati significativi della CBT, rispetto ai sintomi complessivi non sono stati confermati dopo le analisi di sensibilità. La CBT, infine, si è dimostata significativamente più efficace se confrontata direttamente con il befriending per i sintomi complessivi (g=0,42) e con il counseling di supporto per i sintomi positivi (g=0,23).
Jauhar et al.42 hanno effettuato una revisione sistematica e una meta-analisi dell’efficacia della CBT per i sintomi schizofrenici (qualità dello studio media secondo AMSTAR 2). Le informazioni sono state raccolte da studi randomizzati che forniscono dati di fine trattamento sui sintomi generali, positivi e negativi. Sono stati esaminati gli effetti moderatori della randomizzazione, il mascheramento delle valutazioni dei risultati, l’incompletezza dei dati di outcome e l’uso di un intervento di controllo. Le dimensioni degli effetti cumulati erano -0,33 (IC 95% -0,47 a -0,19) in 34 studi dei sintomi generali, -0,25 (IC 95% -0,37 a -0,13) in 33 studi con sintomi positivi e -0,13 (IC 95% -0,25 a -0,01) in 34 studi di sintomi negativi. Il mascheramento ha moderato in modo significativo le dimensioni dell’effetto nelle meta-analisi dei sintomi generali [dimensioni dell’effetto -0,62 (95% CI -0,88 a -0,35) vs -0,15 (95% CI -0,27 a -0,03), p=0,001] e dei sintomi positivi [dimensioni dell’effetto -0,57 (95% CI -0,76 a -0,39) vs -0,08 (95% CI -0,18 a 0,03), p<0,001]. L’uso di un intervento di controllo non ha moderato la dimensione dell’effetto in nessuna delle analisi. Lo studio conclude che la CBT ha un effetto terapeutico di modesta portata sui sintomi schizofrenici. Questo si riduce ulteriormente quando si controllano le fonti di bias, in particolare il mascheramento. Secondo questi autori è oggi difficilmente giustificabile continuare a raccomandare nella pratica clinica la CBT per la schizofrenia dal momento che secondo il loro studio essa avrebbe solo un piccolo effetto sui sintomi globali, e inoltre un ampio e rigoroso studio del 2008 non è riuscito a dimostrare alcun significativo effetto contro le ricadute 18. Sempre secondo gli stessi autori, l’aver rilevato nella meta-analisi effetti non significativi sui sintomi positivi in una serie relativamente ampia di 21 studi in cieco suggerisce anche che non sia più sostenibile affermare l’efficacia della CBT contro questi sintomi del disturbo. La stessa cosa sembra poter essere affermata a proposito dei sintomi negativi anche se, secondo Jahuar et al.42, non può essere esclusa la possibilità che forme specificamente adattate di terapia possano avere un qualche effetto (al momento della loro meta-analisi vi erano solo due studi esistenti). Gli stessi autori non indagano e non si pronunciano sui possibili effetti della CBT sulla depressione, l’ansia e il distress provocati dai sintomi psicotici. Interessanti commenti a questo studio vengono da Birchwood et al.51 e da Byrne52. Nel primo commento viene sottolineato come i risultati della meta-analisi di Jahuar et al.42 siano sostanzialmente in linea con la rassegna del NICE2 e in particolare con la rassegna di Wykes et al.29, le quali hanno dimostrato che gli studi metodologicamente più rigorosi evidenziano una dimensione di effetto piccola della CBT per i sintomi positivi e globali: “ la CBT, dunque non è affatto la panacea ma non è neanche inefficace” commentano Birchwood et al.51. Gli stessi autori ribadiscono che la CBTp non dovrebbe essere concepita e valutata come un “quasi-neurolettico”; la pervasività della dimensione delirante, l’angoscia da essa generata e gli aspetti affettivi delle psicosi dovrebbero essere considerati tra gli obiettivi più appropriati della CBT, con solide giustificazioni teoriche. Nel suo commento, Byrne52 sottolinea l’incompletezza della meta-analisi di Jahuar et al.42 nella misura in cui la rassegna non esamina il significato clinico delle dosi e della durata della terapia CBT, variabili assai rilevanti nel determinare l’efficacia dell’intervento53. Inoltre, lo studio ha escluso dall’analisi gli esiti a lungo termine prendendo in considerazione solo gli esiti al termine dei trial. Questa viene ritenuta un’altra considerevole limitazione dal momento che i miglioramenti sintomatologici ai follow-up a 9 e 18 mesi rappresentano un sostanziale beneficio assicurato da una efficace CBT. Inoltre, continua Byrne52, sebbene la riduzione dei sintomi psicotici sia senz’altro un importante risultato terapeutico da valutare, la CBT ha uno spettro di azione più ampio nel momento in cui si focalizza particolarmente nella riduzione del disagio associato a tali sintomi e a migliorare la capacità di un individuo di far fronte a essi. Dal momento che i sintomi psicotici possono continuare anche con la somministrazione di potenti farmaci antipsicotici, i miglioramenti in queste aree possono essere clinicamente significativi per molte beneficiari della CBT. In effetti, conclude il commento, una estesa sintesi delle ricerche qualitative sulle esperienze dei pazienti con la CBTp ha rilevato che tra gli “ingredienti chiave” più comunemente identificati di questo intervento vi erano proprio la maggiore comprensione dell’esperienza psicotica, le strategie di coping e la rivalutazione delle credenze angoscianti 54.
La meta-analisi di Sarin et al.55 ha studiato l’efficacia della CBT nelle persone con schizofrenia, sia al termine del trattamento sia al follow-up, e l’ha confrontata con il trattamento standard e con altri trattamenti psicologici. Lo studio ha compreso 22 RCT per un totale di 2469 pazienti. Quando la CBT è stata confrontata al follow-up con altri trattamenti psicologici, essa ha dimostrato un effetto (effetto di trattamento piccolo) sui sintomi positivi (p=0,02), sui sintomi negativi (p=0,03) e sui sintomi generali (p=0,003). Anche al termine del trattamento c’era una tendenza a favore della CBT ma essa non era statisticamente significativa. Lo studio conclude che l’effetto della CBT sembra essere ritardato e che il miglioramento potrebbe essere riscontrato alcuni mesi dopo la fine del trattamento. Lo studio ha inoltre evidenziato che le terapie con 20 o più sedute hanno avuto esiti migliori rispetto a quelle più brevi.
In relazione alla durata della terapia, Hazell et al.56 hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi di 10 studi controllati che hanno valutato la cosiddetta CBTp a bassa intensità (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2); ossia una terapia cognitivo-comportamentale breve per le psicosi con un numero di sessioni inferiori alla terapia standard di 16 incontri di un’ora raccomandata dal NICE2. Sono stati riscontrati significativi effetti tra gruppi sui sintomi psicotici, sia al post-intervento (d=-0,46, IC 95%: -0,06, -0,86) che al follow-up (d=-0,40, IC al 95%: -0,06, -0,74). La qualità dello studio non ha moderato gli esiti al post-intervento, né lo hanno fatto il tempo di contatto/il numero di sessioni o il format della terapia (individuale vs gruppo). Gli effetti tra gruppi sugli esiti secondari (depressione, ansia e funzionamento) non erano significativi al post-intervento, ma sono diventati significativi al follow-up per la depressione e il funzionamento (ma non per l’ansia). Nel complesso, i risultati suggeriscono che CBTp a bassa intensità si dimostra un approccio promettente con dimensioni di effetto paragonabili a quelle che si trovano nelle meta-analisi della CBTp in generale. Gli autori ritengono che la CBTp a bassa intensità possa aiutare ad ampliare il numero di pazienti con psicosi che hanno accesso alla CBT.
Lynch et al.35 hanno preso in considerazione gli studi sull’efficacia della CBT nella schizofrenia, nella depressione maggiore e nel disturbo bipolare rispetto agli interventi di controllo non specifici (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2). Sono stati inoltre esaminati gli studi di efficacia contro le ricadute, compresi quelli che hanno confrontato la CBT con il TAU. La CBT non è risultata efficace nel ridurre i sintomi della schizofrenia o nella prevenzione delle ricadute. In conclusione, secondo gli autori, la CBT non è migliore degli interventi di controllo non specifici nel trattamento della schizofrenia e non riduce i tassi di ricaduta. Questo studio è stato comunque criticato da alcuni autori per la scarsa trasparenza nella metodologia di selezione dei trial 57,58. Per es., Lincoln57 segnala che dei 19 criteri maggiori che sono considerati essenziali dalle linee guida QUORUM59 per una trasparente descrizione del metodo e dei risultati di una revisione sistematica, Lynch et al.35 ne rispettano solo cinque. Alla luce delle prove di altre meta-analisi e dei limiti metodologici dello studio di Lynch et al.35, Lincoln57 ritiene che l’assenza di effetti significativi riscontrata da quest’ultima rassegna non dovrebbe essere sovrastimata.
Sebbene la CBTp sia stata inizialmente sviluppata come strumento per il trattamento dei deliri, le meta-analisi hanno generalmente studiato gli effetti sui sintomi positivi nel loro complesso piuttosto che specificamente sui deliri. Pertanto, è ancora una questione aperta se la CBTp sia più efficace nel modificare i deliri rispetto ai trattamenti standard (TAU) e ad altri interventi, e se questo effetto rimanga stabile nel follow-up.
L’obiettivo della rassegna di van der Gaag et al.60 è stato quello di valutare gli effetti a fine trattamento della CBT individualizzata e basata sulla formulazione del caso sui deliri e le allucinazioni uditive utilizzando misure di outcome specifiche per questo tipo di sintomatologia (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2). Per questo studio sono stati selezionati 18 RCT. La meta-analisi ha evidenziato dimensioni dell’effetto modeste ma statisticamente significative per i deliri (0,36) e per le allucinazioni (0,44). Se confrontata con il trattamento attivo, la dimensione dell’effetto della CBT ha perso significatività statistica per i deliri (0,33), ma è aumentata per le allucinazioni (0,49). Gli studi in cieco hanno ridotto le dimensioni dell’effetto per i deliri (0,24) e ne hanno evidenziato un certo incremento per le allucinazioni (0,46). Non è risultata alcuna eterogeneità per le allucinazioni mentre per la sintomatologia delirante essa è risultata moderata. Secondo lo studio, dunque, la CBT è risultata efficace nel trattamento delle allucinazioni uditive. La CBT ha dimostrato anche una certa efficacia per i deliri, ma i risultati dovrebbero essere interpretati con cautela, a causa dell’eterogeneità e della dimensione dell’effetto non significativa rispetto al trattamento attivo.
Una ricerca sistematica della letteratura sperimentale condotta da Mehl et al.61 ha identificato 19 studi randomizzati che hanno confrontato la CBTp con TAU e/o altri interventi e hanno riportato i deliri come una misura di esito (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2). La meta-analisi ha riportato una dimensione dell’effetto significativa da piccola a media per la CBTp rispetto a TAU alla fine della terapia e dopo un periodo medio di follow-up di 47 settimane. Se confrontato con altri interventi, non vi era alcun effetto significativo della CBTp alla fine della terapia e dopo un periodo di follow-up. Il confronto tra i nuovi studi che hanno adottato un approccio causale-interventista (questo approccio seleziona uno dei vari fattori cognitivi ed emotivi che si ipotizza essere coinvolti nella formazione e nel mantenimento dei deliri e mira al cambiamento di questo fattore per mezzo di interventi cognitivo-comportamentali che si focalizzano sul fattore stesso senza sfidare il delirio di per se 62) e gli studi sulla CBTp di prima generazione hanno mostrato una differenza di 0,33 nelle dimensioni degli effetti medi a favore di studi più recenti alla fine della terapia. I risultati di questo studio suggeriscono dunque che la CBTp sia superiore al TAU, ma non ad altri interventi, nel determinare una modifica dei deliri, e che questa superiorità sia mantenuta nel periodo di follow-up. Inoltre, gli interventi che si concentrano sui fattori causali sembrano essere un approccio promettente per migliorare gli interventi su questa dimensione psicopatologica. Tuttavia, Laws 63 ha contestato le conclusioni degli autori sostenendo che questa meta-analisi contiene errori e omissioni che, quando rettificati, mettono in dubbio l’affidabilità degli effetti significativi della CBT rispetto al TAU sia alla fine del trattamento sia al follow-up. In altri termini, a parere di Laws63, se il confronto tra CBT e TAU alla fine del trattamento e al follow-up viene corretto per potenziali bias di pubblicazione, nel primo caso, e per un errore di calcolo su di uno studio, nel secondo caso, questo diventa non significativo per la riduzione dei pensieri deliranti.
Una piccola meta-analisi di Kennedy e Xyrichis64 (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2) che ha incluso 2 RCT (105 pazienti in un contesto di comunità) ha studiato l’efficacia della CBT rispetto alle terapie psicosociali non specifiche (terapia di supporto; befriending) sulle allucinazioni uditive in pazienti con schizofrenia. Lo studio ha concluso che non esiste una differenza clinicamente significativa tra CBT e terapie psicosociali non specifiche nella riduzione dei sintomi positivi in pazienti con schizofrenia e allucinazioni uditive.
Storicamente gli studi sulla CBT nelle psicosi si sono concentrati principalmente sui sintomi positivi e hanno esaminato le modifiche dei sintomi negativi solo come risultato secondario. Per accrescere la comprensione dei fattori che contribuiscono al miglioramento dei sintomi negativi nella schizofrenia e per identificare sottogruppi di pazienti che potrebbero trarre maggior beneficio dalla CBT diretta a migliorare i sintomi negativi, Velthorst et al.65 hanno esaminato tutte le evidenze disponibili su questi aspetti (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2). Le meta-analisi sono state eseguite per valutare i cambiamenti dei sintomi negativi al termine del trattamento, a breve e a lungo termine. Sono state incluse in totale 35 pubblicazioni riguardanti 30 studi su 2312 pazienti, pubblicati tra il 1993 e il 2013. I risultati hanno mostrato che l’effetto sul miglioramento dei sintomi è stato piccolo (Hedges ‘g=0,093, 95% CI -0,028 a 0,214, p=0,130) ed eterogeneo in trial con sintomi negativi come risultato secondario. Risultati simili sono stati trovati per studi focalizzati sulla riduzione dei sintomi negativi (g=0,157 di Hedges, IC 95% -0,10 a 0,409, p=0,225). La meta-regressione ha rivelato che gli effetti del trattamento più rilevanti erano associati alle prime pubblicazioni, con studi di qualità inferiore e con la CBT somministrata a livello individuale piuttosto che in gruppo. L’effetto benefico co-occorrente della CBT convenzionale sui sintomi negativi riscontrato nei primi studi non è stato perciò supportato dagli studi più recenti. Per gli autori è dunque necessario distinguere ulteriormente gli ingredienti di trattamento efficaci negli studi precedenti per guidare lo sviluppo di futuri interventi CBT finalizzati alla riduzione dei sintomi negativi. A questo proposito gli autori ritengono possibile che i più recenti approcci CBT (che sono specificamente mirati a determinati domini di sintomi positivi, e sono spesso meno comportamentali e più orientati al cognitivismo) siano meno completi e quindi anche meno vantaggiosi in termini di riduzione dei sintomi negativi. Ciò implica che nel trattamento di pazienti con diagnosi di schizofrenia, oltre a interventi mirati sui sintomi positivi dovrebbero essere applicati interventi specifici per i sintomi negativi.
Lo studio di Lutgens et al.66 ha valutato l’efficacia delle terapie non biologiche sui sintomi negativi nei disturbi psicotici (qualità dello studio media secondo AMSTAR 2). Nel complesso, la meta-analisi ha preso in considerazione 72 RCT dei quali 26 specificamente dedicati alla CBT che è stato l’intervento più studiato. Nel complesso, le evidenze indicano che la CBT è un intervento efficace per i sintomi negativi (pool SMD -0,34, 95% CI da -0,55 a -0,12). Rispetto al TAU, la CBT è risultata più efficace alla fine del trattamento nel 59% degli studi (pool di SMD -0,43, 95% CI da -0,55 a -0,30). D’altra parte, nessuno dei 12 studi considerati ha rilevato un beneficio maggiore della CBT rispetto ai controlli attivi (SDM raggruppato -0,11, 95% CI da -0,26 a 0,04), anche se 7 di essi segnalano miglioramenti sostanziali ma uguali in entrambe le condizioni attive. Per gli studi che hanno riportato un follow-up a lungo termine (media di 27 mesi), la CBT è risultata vantaggiosa rispetto alla TAU nel 57% (8/14) dei confronti. Nessuno degli studi con controlli attivi ha riportato tale effetto, a eccezione di uno che ha utilizzato il befriending come controllo attivo.
La rassegna di Marshall e Rathbone67 si è posta l’obiettivo di valutare l’efficacia della diagnosi precoce; delle terapie fase-specifiche e dei team specializzati di intervento precoce nel trattamento di persone con sintomi prodromici di psicosi o al primo episodio psicotico (qualità dello studio alta secondo AMSTAR 2). Nello studio sono stati inclusi 18 RCT per un totale di 1808 pazienti. Per quanto riguarda la parte delle meta-analisi dedicata ai primi episodi psicotici, la CBT fase-specifica ha dimostrato un piccolo effetto sulla suicidalità (singolo studio di piccole dimensioni) mentre non sono emerse differenze significative tra CBT fase-specifica e befriending nel tasso di ospedalizzazione a 12 mesi.
Bird et al.68 si sono proposti di valutare l’efficacia dei servizi di intervento precoce, della CBT e dell’intervento familiare nella psicosi in fase iniziale (qualità dello studio bassa secondo AMSTAR 2). Ai fini dello studio, è stata considerata come psicosi iniziale una diagnosi clinica di psicosi entro 5 anni dal primo episodio psicotico o dal primo accesso ai servizi di salute mentale. Sono state condotte una revisione sistematica e una meta-analisi di studi randomizzati controllati di servizi di intervento precoce, CBT e interventi familiari per le persone con psicosi iniziale. La CBT ha ridotto la gravità dei sintomi con un impatto minimo sulle ricadute e sul ricovero ospedaliero. Lo studio conclude che includere la CBT e l’intervento familiare all’interno dei servizi di intervento precoce può contribuire a migliorare i risultati in questo periodo critico. I benefici a lungo termine di questo approccio e delle sue componenti terapeutiche per le persone con psicosi iniziale e stabilizzata necessitano di ulteriori ricerche.
Laws et al.69 hanno realizzato una meta-analisi con l’obiettivo di valutare l’efficacia della CBTp sul funzionamento, il distress e la qualità della vita in individui con diagnosi di schizofrenia e disturbi correlati (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2). I dati di 36 studi randomizzati controllati hanno soddisfatto i criteri di inclusione dello studio: 27 per la valutazione del funzionamento (1579 partecipanti); 8 per il distress (465 partecipanti); 10 per la qualità di vita (592 partecipanti). La dimensione dell’effetto aggregato per il funzionamento è risultata piccola ma significativa alla fine della terapia (0,25: IC 95% da 0,14 a 0,33); tuttavia, questa è diventata non significativa al follow-up (0,10: IC 95% da -0,07 a 0,26). Sebbene un piccolo beneficio della CBT fosse evidente nella riduzione del distress (0,37: IC 95% da 0,05 a 0,69), questo è diventato non significativo quando aggiustato per possibili bias di pubblicazione (0,18: IC 95% da -0,12 a 0,48). Infine, la CBTp non ha mostrato alcun beneficio nel miglioramento della qualità di vita (0,04: IC 95%: da -0,12 a 0,19). Gli autori concludono che la CBTp ha un piccolo effetto terapeutico sul funzionamento a fine terapia, sebbene questo beneficio non sia evidente al follow-up. Sebbene la CBTp abbia prodotto un piccolo effetto nella riduzione del distress, questo è stato soggetto a possibili bias di pubblicazione e non è diventato significativo quando è stato corretto. Non sono emerse evidenze che la CBTp aumenti la qualità di vita nel post-intervento.
La meta-analisi di Pijnenborg et al.70 ha cercato di indagare gli effetti delle terapie psicologiche e farmacologiche nel miglioramento dell’insight nelle psicosi (qualità dello studio criticamente bassa secondo AMSTAR 2). Sono stati inclusi nella rassegna 19 studi. Sebbene la CBT abbia dimostrato effetti da piccoli a moderati, essi sono risultati non significativi, probabilmente a causa della mancanza di potere statistico.
CONCLUSIONI
Negli ultimi dieci anni un numero rilevante di rassegne sistematiche e meta-analisi sulla efficacia della CBT nelle psicosi (19) si è aggiunto agli studi precedenti anche se meno della metà di esse (7) è stata realizzata con una qualità metodologica affidabile (2 di qualità alta e 5 di qualità media secondo la valutazione AMSTAR 2). La CBT è di gran lunga l’intervento più studiato tra tutte le terapie psicologiche per le psicosi e la schizofrenia, in particolare per quanto riguarda i sintomi positivi. Su quattro meta-analisi che studiano specificamente la CBT vs trattamento standard (TAU) sui sintomi positivi, i due studi più grandi, entrambi di qualità metodologica media (AMSTAR 2), ne rilevano un’efficacia significativa a fine trattamento 40,42. Uno studio68, di qualità criticamente bassa, non rileva un effetto significativo rispetto al TAU a fine trattamento ma solo al follow-up (psicosi iniziale) mentre un quarto studio55, anch’esso di qualità metodologica criticamente bassa, non rileva effetti significativi né a fine trattamento né al follow-up. Se si prendono in considerazione i deliri, tutte le meta-analisi concordano nell’evidenziare un’efficacia significativa della CBT rispetto al TAU a fine trattamento61,60 (qualità bassa) e al follow-up61 (qualità bassa). Tale risultato viene confermato anche per le allucinazioni uditive a fine trattamento60. Per quanto riguarda i sintomi generali le tre meta-analisi che studiano la CBT rispetto al TAU evidenziano una sua efficacia significativa in due casi40,42 (di qualità media) e un effetto non significativo in uno55 (qualità criticamente bassa). Se poi si prendono in considerazione i sintomi negativi, tre meta-analisi sostengono effetti significativi della terapia cognitivo-comportamentale rispetto al TAU40,42,66 (qualità media), uno studio di qualità bassa65 e uno criticamente bassa55 al contrario non li riscontrano e un altro ancora68 evidenzia effetti significativi al follow-up ma non a fine trattamento (psicosi iniziale; qualità criticamente bassa). Se si escludono dunque le meta-analisi di qualità metodologica bassa e molto bassa, tutti gli studi degli ultimi 10 anni concordando nel considerare la CBT, una terapia efficace sui sintomi delle psicosi (con un numero particolarmente consistente di studi a favore dei sintomi positivi), con effetti di dimensioni medio-piccole, rispetto ai trattamenti standard.
Se in questi ultimi dieci anni le rassegne sistematiche riguardanti gli effetti della CBT sui core symptoms delle psicosi, quelli che Birchwood e Trower14 hanno chiamato gli effetti “quasi-neurolettici” della CBT, sono stati numerosi, solo tre meta-analisi sono invece andate specificamente a indagare gli esiti secondari o non sintomatici come per esempio l’ansia, la depressione, il funzionamento sociale o la qualità di vita. Un grande studio di qualità metodologica media40 ha evidenziato un effetto significativo della CBT rispetto al TAU nel miglioramento del funzionamento e della qualità di vita. Gli altri due studi non rilevano effetti significativi della CBT su questi outcome tranne che per un piccolo effetto sul funzionamento a fine trattamento non sostenuto però al follow-up in un caso69 (qualità bassa) e per un effetto della CBT a bassa intensità su funzionamento e depressione al follow-up ma non a fine trattamento in un altro56. Una sola meta-analisi70 (qualità metodologica criticamente bassa) studia poi specificamente l’insight rilevando effetti da piccoli a moderati ma non significativi probabilmente per mancanza di potere statistico. Una meta-analisi67 (qualità alta) ha anche evidenziato un piccolo effetto significativo sulla suicidalità al primo episodio di psicosi della CBT fase-specifica. La rassegna ha però preso in considerazione un solo studio di piccole dimensioni. Sono dunque certamente necessari ulteriori e più rigorose meta-analisi per stabilire l’effettiva efficacia della CBT sui sintomi secondari, l’insight e gli outcome non sintomatici.
Le 3 meta-analisi che invece hanno studiato l’efficacia della CBT per le psicosi nel prevenire le ricadute psicotiche – tutte però di qualità criticamente bassa35,55,68 – sembrano confermare quanto evidenziato da precedenti studi18 e cioè la mancanza di effetti significativi su questo specifico outcome. Per quanto riguarda adolescenti e giovani adulti con diagnosi di psicosi e schizofrenia, una meta-analisi di qualità metodologica media48, pur non evidenziando effetti né della CBT né di altri interventi psicologici sui tassi di ricaduta, ha rilevato evidenze di bassa qualità di un’efficacia significativa di interventi familiari+CBT nel ritardare la comparsa di ricadute.
Per quanto riguarda il confronto di efficacia con altre terapie psicologiche e psicosociali (sovente meno complesse e costose), sui sintomi, le ricadute, il funzionamento sociale e la qualità di vita non sembra esistere un vantaggio chiaro e convincente della CBT anche se a oggi la qualità dei trial disponibili è per lo più bassa o molto bassa45 e sono pertanto necessarie ricerche di buona qualità prima di poter trarre conclusioni definitive. Se si prendono in considerazione gli esiti primari (sintomi positivi, negativi e generali) 10 meta-analisi considerate in questa meta-rassegna non hanno complessivamente rilevato vantaggi significativi della CBT su altri trattamenti psicologici (1 di qualità alta45; 3 di qualità media40,42,66; 4 di qualità bassa50,60,61,64; 2 di qualità criticamente bassa35,46). Parziali eccezioni riguardano gli effetti significativi sui sintomi positivi della CBT vs la terapia di supporto nello studio di Bighelli et al.40 (non mantenuti però nei due studi in cieco) e della CBT vs altre terapie psicosociali nello studio di Turner et al.50. Un solo studio55, di qualità criticamente bassa, ha evidenziato effetti significativi della CBT rispetto alle altre terapie psicosociali per quanto riguarda i sintomi positivi, negativi e generali al follow-up ma non alla fine del trattamento.
In conclusione, tornando al quesito iniziale «la terapia cognitiva comportamentale per le psicosi è stata sopravvalutata?»34 possiamo affermare, ispirandoci alla risposta di Kingdon, che le psicosi restano una grande sfida umana e scientifica; la CBT possiede solo alcune risposte, ma evidenze sempre più solide suggeriscono che essa può essere un valido strumento – impiegata insieme alla terapia farmacologica e in base al profilo del singolo paziente – per raggiungere importanti esiti terapeutici e per far fronte, in ultima analisi, alle dolorose e invalidanti esperienze prodotte da questi gravi disturbi psichiatrici.

Conflitti di interesse: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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