Le ferite non rimarginabili della guerra: danni epigenetici e intergenerazionali

ANGELA IANNITELLI1, MASSIMO BIONDI2

1Società Psicoanalitica Italiana; 2Sapienza, Università di Roma.

Riassunto. Le conseguenze delle guerre si estendono oltre la generazione direttamente esposta, influenzando la salute mentale e fisica dei discendenti. Studi recenti mostrano come il trauma possa trasmettersi intergenerazionalmente anche per via epigenetica, modificando l’espressione genica in assenza di alterazioni del DNA. Questo editoriale si interroga sull’impatto psichico delle guerre, evidenziando le ricadute epigenetiche nella prole dei sopravvissuti.

Parole chiave. Epigenetica, guerra, salute mentale, trauma.

The unhealable wounds of war: epigenetic and intergenerational damage.

Summary. The consequences of war extend beyond the directly exposed generation, affecting the mental and physical health of descendants. Recent studies show that trauma can be transmitted intergenerationally through epigenetic mechanisms, altering gene expression without changes to the DNA sequence. This editorial explores the psychological impact of war, highlighting epigenetic effects in the offspring of survivors.

Key words. Epigenetics, mental health, trauma, war.

«La pace non è utopia spirituale»

Papa Leone XIV

Introduzione

Un ampio dibattito, non privo di posizioni forti e divergenti, si è aperto negli ultimi mesi in seno ad alcune Società scientifiche che si occupano di salute mentale. La domanda è solo apparentemente banale. Hanno queste Società il compito di prendere posizione sul tema della guerra e soprattutto su quanto sta avvenendo nel conflitto tra Israele e Palestina?

A partire dal Comunicato della Società Psicoanalitica Italiana, che riportiamo in nota*, questo breve editoriale vuole prendere posizione, da un vertice prettamente scientifico, e descrivere le ricadute epigenetiche e transgenerazionali della guerra. Nel farlo, inevitabilmente si colloca dalla parte di una rivoluzione della pace, ritenendo la guerra come una delle espressioni massime di psicosi collettiva1 e, dunque, inserendola come oggetto della ricerca psichiatrica e psicoanalitica. Rivoluzione della pace che richiama la “rivoluzione dell’amore” citata da Papa Leone XIV solo pochi giorni fa e che ci ricorda la “rivoluzione di una novità inaudita” di Franco Fornari2. Rivoluzione, nel suo significato fisico, astronomico, che metta cioè al centro del pensiero la pace, i legami di eros, le politiche di costruzione, di riconoscimento reciproco, di riconoscimento dell’alterità, del diverso. Studiare la guerra impone lo studio della pace, impone cioè lo studio dell’impasto delle forze costruttive, anaboliche, con quelle distruttive, cataboliche.

Per un approfondimento sulle riflessioni psicoanalitiche sulla guerra, si rimanda a una recente review dei lavori pubblicati su Rivista di Psicoanalisi, dal 1958 a oggi3.

È un dato acclarato che le guerre, oltre ai morti che lasciano sui campi di battaglia e tra i civili, rappresentano una grave minaccia per la salute mentale dei soggetti direttamente e indirettamente coinvolti. Anche le relazioni comunitarie vengono smembrate, al pari dei corpi, dei legami civili e affettivi che le sostanziano. Ci soffermeremo qui solo sui traumi a breve e a lungo termine sui civili, tragicamente gravi sui bambini4.

Evidenze epidemiologiche e vulnerabilità nei gruppi esposti ai traumi bellici

Numerosi studi documentano un marcato aumento di disturbi psichiatrici tra coloro che sono stati esposti a combattimenti, bombardamenti o altre atrocità belliche. Le evidenze epidemiologiche dimostrano che tra il 30% e il 50% dei civili esposti a guerre sviluppano sintomi post-traumatici e disturbo da stress post-traumatico (post-traumatic stress disorder - PTSD), con valori analoghi per ansia e depressione. Se osserviamo poi i dati epidemiologici sui rifugiati, vediamo che essi mostrano tassi medi del 30% per PTSD e disturbi depressivi5-7. Inoltre, l’espressione del disagio varia anche con i fattori demografici e culturali: i migranti mostrano più sintomi somatici rispetto ai nativi; tra i rifugiati, le donne presentano livelli maggiori di depressione e ansia rispetto agli uomini, questi ultimi più esposti ai traumi bellici8-10. Per quanto concerne l’età, non possiamo non considerare gli effetti della guerra sui giovani, in particolare sui bambini, con impairment dello sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale. Citiamo solo due studi: lo studio di Mollica, sugli adolescenti cambogiani rifugiati, in cui oltre la metà presentava sintomi clinici significativi, con gravità crescente all’aumentare dei traumi cumulativi subiti11; e lo studio di Foster & Brooks-Gunn, che ha confermato quei risultati per esposizioni croniche alla violenza comunitaria, nei contesti africani, con esiti comportamentali negativi (condotte antisociali e abuso di sostanze) nei giovani4.

Prospettive psicosociali ed epigenetiche

Un aspetto allarmante emerso dalla letteratura è che gli effetti del trauma bellico possono estendersi oltre la generazione direttamente esposta, influenzando anche i figli dei sopravvissuti, spostando quindi l’attenzione verso i meccanismi intergenerazionali ed epigenetici della trasmissione del trauma.

Ricerche sui figli di sopravvissuti all’Olocausto hanno documentato un aumento del rischio di disturbi mentali in questa popolazione12. In questi casi, inoltre, avere entrambi i genitori sopravvissuti comporta un rischio significativamente più elevato di quadri depressivi, ansiosi e traumatici. Diversi fattori concorrono a tale trasmissione: la qualità dell’attaccamento, la presenza di psicopatologie genitoriali, la narrazione familiare del trauma, la disfunzione familiare e lo stress ambientale. In molti casi, i figli di traumatizzati crescono in ambienti ipervigilanti, instabili o emotivamente carenti. Dal punto di vista fisiologico, questi soggetti mostrano alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (hypothalamic-pituitary-adrenal - HPA), con anomalie nei livelli di cortisolo, suggerendo una reattività biologica amplificata dallo stress12. Questi risultati sembrerebbero a favore di una eredità biologica del trauma, che non si limiterebbe all’ambiente psicologico ma implicherebbe anche modificazioni molecolari legate allo sviluppo di una vulnerabilità accentuata alle condizioni di stress.

Le vie di trasmissione del trauma sembrerebbero essere molteplici. Dal lato psicosociale, il PTDS e la depressione nei genitori possono essere fattori influenzanti l’ambiente familiare (per es., attraverso caregiving disfunzionale, attaccamento insicuro) con il rischio di aumento della probabilità che i figli sviluppino disturbi psichici. Dal lato più strettamente biologico, invece, gli studi suggeriscono che il trauma genitoriale possa lasciare un’impronta epigenetica nei figli, modificando l’espressione dei geni legati allo stress. L’epigenetica fornirebbe quindi un possibile ponte esplicativo tra esperienza traumatica e vulnerabilità intergenerazionale.

Le modificazioni epigenetiche – in particolare la metilazione del DNA – possono alterare l’espressione genica senza mutare la sequenza nucleotidica. Diversi studi suggeriscono che il trauma genitoriale possa indurre tali cambiamenti nei figli. Yehuda et al.13 hanno identificato un’alterazione nella metilazione del gene FKBP5 in figli di sopravvissuti all’Olocausto, associata a una maggiore reattività allo stress. Analogamente, McNerney et al.14 hanno evidenziato una ipometilazione del gene NR3C1 (recettore dei glucocorticoidi) in soggetti con PTSD, in combinazione con un ridotto volume ippocampale. Tali biomarcatori potrebbero spiegare la maggiore vulnerabilità psicopatologica nei figli di sopravvissuti a traumi estremi. Altri studi, come quello di Serpeloni et al.15, mostrano come lo stress prenatale – spesso presente nelle gravidanze in contesti di guerra – modifichi l’epigenoma della prole in modo potenzialmente adattivo, ma anche patogeno. Queste modificazioni sono state osservate anche in contesti contemporanei come nei bambini rifugiati siriani16, suggerendo che gli effetti epigenetici del trauma non siano un fenomeno isolato né relegato al passato17.

È importante sottolineare che tali alterazioni molecolari non sono fattori determinanti il destino dei figli dei traumatizzati, ma si inseriscono in un contesto più ampio di fattori di rischio e protezione. Sarà l’interazione tra predisposizione epigenetica, ambiente di crescita e supporto sociale a determinare lo sviluppo o meno di un disturbo psichico.

Sebbene le evidenze epigenetiche siano ancora parziali, esse aprono nuove prospettive sulla prevenzione e sull’intervento terapeutico. Comprendere i meccanismi biologici della trasmissione del trauma può aiutare a identificare precocemente i soggetti a rischio e sviluppare approcci personalizzati. Tuttavia, gli studi disponibili restano limitati per numerosità campionaria, disegno longitudinale e controllo dei fattori confondenti18.

Studi in corso, come la coorte BIOPATH17, mirano a colmare queste lacune, integrando biomarcatori epigenetici con dati psicologici, ambientali e sociali. Inoltre, approcci multilevel e trauma-informed risultano essenziali per affrontare la complessità della salute mentale nei contesti post-bellici, in particolare per i bambini19.

Conclusioni

Le guerre, dunque, non terminano con il cessate il fuoco. Le loro conseguenze si estendono alle generazioni successive, influenzando la salute mentale, l’equilibrio familiare e comunitario, e la regolazione biologica dello stress. Le alterazioni epigenetiche osservate nei figli dei sopravvissuti rappresentano un meccanismo plausibile di trasmissione del trauma, pur ancora in fase di chiarificazione empirica.

Questi dati non solo rafforzano l’urgenza di proteggere le popolazioni vulnerabili e di adottare politiche di supporto psicosociale e sanitario mirate, capaci di interrompere il ciclo intergenerazionale del trauma, ma ci obbligano a una presa di posizione, se non altro perché scientificamente supportata, della condanna di tutte le forme di distruttività dell’altro, dei genocidi passati e tragicamente attuali, del valore fondamentale di ogni essere vivente.

Nota

*La Società Psicoanalitica Italiana condanna fermamente gli atroci crimini perpetrati nei confronti del popolo di Gaza da parte del governo di Israele e del suo primo ministro che, in risposta alla ferocia distruttiva di Hamas scatenatasi il 7 ottobre 2023, stanno agendo nel disprezzo delle leggi internazionali e della convivenza umana, mettendo ora colpevolmente in grave pericolo la vita di tutti i palestinesi di Gaza.

Respingendo ogni identificazione del popolo israeliano con il suo governo e del popolo palestinese con Hamas, ribadisce che la premessa per la pace e la prosperità dei due popoli è il riconoscimento reciproco del loro eguale diritto all’esistenza.

La Società Psicoanalitica Italiana chiede pertanto un’azione tempestiva per fermare immediatamente il massacro dei civili, per assicurare una piena ripresa degli aiuti alimentari e sanitari ripristinando condizioni di vita umana a Gaza, per ottenere un immediato rilascio di tutti gli ostaggi, scongiurando che prevalga tragicamente la logica distruttiva e autodistruttiva dell’eliminazione dell’altro.

Bibliografia

1. Iannitelli A, Biondi M. La guerra come fatto psichico. Riv Psichiatr 2024; 59: 1-3.

2. Fornari F. Thanatos e la guerra assoluta. Rivista di Psicoanalisi 1958; 4: 215-21.

3. Iannitelli A. La “rivoluzione di una novità inaudita” contro la guerra negli scritti pubblicati su Rivista di Psicoanalisi. In: Lombardozzi A, Molinari E, Musella R (a cura di). Psiche e Polis. Normalità e patologia della cosa pubblica. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2025. Disponibile su: https://lc.cx/-qQn7- [ultimo accesso 16 luglio 2025].

4. Foster H, Brooks-Gunn J. Children’s exposure to community and war violence and mental health in four African countries. Soc Sci Med 2015; 146: 292-9.

5. Javanbakht A. Gaza’s hidden crisis: adults, children, and generations of psychological torment to come. Eur J Psychotraumatol 2024; 15: 2416824.

6. Patanè M, Ghane S, Karyotaki E, et al. Prevalence of mental disorders in refugees and asylum seekers: a systematic review and meta-analysis. Glob Ment Health 2022; 9: 250-63.

7. Barlattani T, Renzi G, D’Amelio C, Pacitti F. Acute depressive reaction as a consequence of war trauma exposure: a case report of a Ukrainian refugee. Riv Psichiatr 2023; 58: 237-40.

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13. Yehuda R, Daskalakis NP, Bierer LM, et al. Holocaust exposure induced intergenerational effects on FKBP5 methylation. Biol Psychiatry 2016; 80: 372-80.

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19. Bürgin D, Anagnostopoulos D; Board and Policy Division of ESCAP; Vitiello B, Sukale T, Schmid M, Fegert JM. Impact of war and forced displacement on children’s mental health – multilevel, needs-oriented, and trauma-informed approaches. Eur Child Adolesc Psychiatry 2022; 31: 845-53.