Nuovi sviluppi dell’ipotesi serotoninergica della depressione:
shunt del triptofano

New developments on the serotonin hypothesis of depression:
shunt of tryptophan


DONATELLA MARAZZITI, Stefano BARONI, Michela PICCHETTI, Armando PICCINNI,
Stefano SILVESTRI, LILIANA DELL’OSSO
E-mail: dmarazzi@psico.med.unipi.it

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa



RIASSUNTO. A partire dalla fine degli anni Sessanta, il deficit di serotonina, ampiamente dimostrato nella depressione maggiore, fu messo in relazione con un aumento dell’attività dell’enzima triptofano-pirrolasi epatica stimolato dall’eccesso di corticosteroidi circolanti, che avrebbe deviato il metabolismo del triptofano dalla produzione di serotonina verso quella della chinurenina. La scoperta che la chinurenina provocava diversi effetti a livello del sistema nervoso centrale suggerì che una up-regulation della via che dal triptofano porta alla chinurenina determinava non solo un deficit di serotonina, ma poteva essere implicata nello sviluppo di ansia, sintomi psicotici e deterioramento cognitivo associati alla depressione.
Questa review si propone di passare in rassegna i vari fattori ormonali e genetici che regolano il metabolismo del triptofano lungo la via della chinurenina, e di evidenziare come tale via metabolica possa essere coinvolta nell’eziopatogenesi della depressione. Gli enzimi limitanti la formazione di chinurenina sono due: la triptofano 2,3-diossigenasi (TDO), attivata dagli ormoni dello stress, e l’indolammina 2,3-diossigenasi (IDO), attivata da citochine pro-infiammatorie. L’aumentata espressione dei geni che producono citochine pro-infiammatorie (interferone-gamma e fattore di necrosi tumorale alfa) potrebbe determinare una predisposizione genetica a sviluppare la depressione mediante una up-regulation della via della IDO, mentre gli stressor ambientali attivano la via ormonale della TDO. Si potrebbe quindi ipotizzare che la via della triptofano-chinurenina rappresenti uno dei principali punti di incontro dell’interazione tra fattori genetici e ambientali coinvolti nella fisiopatologia della depressione e anche un nuovo target per strategie terapeutiche innovative.

PAROLE CHIAVE: serotonina, depressione, triptofano, chinurenina, triptofano 2,3-diossigenasi (TDO), indolammina 2,3-diossigenasi (IDO).


SUMMARY. Since the late 1960s, the serotonin deficiency, as demonstrated in major depression, was related to an increased activity of the liver enzyme tryptophan-pyrrolase stimulated by an excess of circulating corticosteroids, which would shift the metabolism of tryptophan from serotonin to kynurenine production. The finding that the kynurenine causes different effects in central nervous system suggested that an up-regulation of the tryptophan-kynurenine pathway determined not only a deficiency of serotonin, but could also play a role in the development of anxiety, psychotic symptoms and cognitive impairment associated with depression.
This review aims to evaluate the different hormonal and genetic factors regulating the metabolism of tryptophan via kynurenine, and to highlight how this metabolic pathway may be involved in depression pathogenesis. Rate-limiting enzymes of kynurenine formation are two: tryptophan 2,3-dioxygenas (TDO) activated by stress hormones, and indoleamine 2,3-dioxygenase (IDO), activated by proinflammatory cytokines. The increased expression of the genes that produce inflammatory cytokines (interferon-gamma and tumor necrosis factor alpha) would determine a genetic predisposition to develop depression by up-regulating the IDO pathway, while environmental stressors would activate TDO via hormonal activation. Therefore, it can be reasonably assumed that the pathway of tryptophan-kynurenine represents one of the main melting points of the interaction between genetic and environmental factors involved in the pathophysiology of depression, as well as new targets for future antidepressant strategies.

KEY WORDS: serotonin, depression, tryptophan, kynurenine, tryptophan 2,3-dioxygenas (TDO), indoleamine 2,3-dioxygenase (IDO).

INTRODUZIONE
Per decenni, le ricerche nel campo della neurobiologia e psicofarmacologia della depressione si sono concentrate sullo studio delle monoamine, in particolare della serotonina (5-HT). I dati presenti in letteratura evidenziavano varie alterazioni del sistema serotoninergico, in particolare la riduzione dei livelli plasmatici di triptofano (TRP), o di quelli plasmatici e cerebrali di 5-HT, e modificazioni del trasportatore (SERT) e dei recettori della 5-HT, come una down-regulation dei recettori 5-HT1A e una up-regulation di quelli 5-HT2 (1-3). Con l’introduzione di farmaci antidepressivi di seconda generazione, che agiscono da inibitori selettivi del re-uptake della 5-HT, si osservò che solo circa due terzi dei pazienti affetti da depressione maggiore presentava una remissione completa della sintomatologia (4), per cui fu chiaro che l’ipotesi serotoninergica non era sufficiente a spiegare la complessità del quadro clinico di questa patologia. Nel corso degli ultimi vent’anni, si sono così andati accumulando numerosi dati derivanti da vari filoni di ricerca neurobiologica che hanno infatti evidenziato che altri sistemi e processi, in particolare quelli infiammatori e neurodegenerativi, potrebbero essere coinvolti nello sviluppo della depressione (5,6).
L’infiammazione è considerata il processo finale di un’interazione tra stressor esterni e interni che potrebbero determinare l’insorgenza di una malattia. Tale concetto, universalmente accettato per gran parte delle malattie somatiche, è stato esteso anche ai disturbi neuropsichiatrici e in particolar modo alla depressione. Infatti, nei pazienti affetti da depressione sono stati trovati molti marker infiammatori quali: elevati livelli di proteine di fase acuta e di citochine pro-infiammatorie sia nel sangue periferico sia nel liquido cerebrospinale, bassi livelli sierici di zinco, e alte concentrazioni ematiche di chemochine, molecole di adesione e mediatori infiammatori come le prostaglandine (7-10). È stato anche dimostrato che l’infiammazione sistemica può indurre un processo simile nel sistema nervoso centrale (SNC); tale condizione viene detta “neuroinfiammazione”, mediante l’attivazione della microglia (11). Non è ancora chiaro, però, se l’infiammazione che si presenta durante un episodio depressivo origini a livello periferico, o se lo stress o altri fattori possano indurre direttamente un processo infiammatorio a livello del SNC. In ogni caso, le citochine pro-infiammatorie sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di raggiungere il SNC dove possono attivare sia le cellule immunitarie e endoteliali, compresi i macrofagi perivascolari che a loro volta possono produrre altri mediatori dell’infiammazione, sia i nervi afferenti periferici, come il vago, cosicché il segnale delle citochine può raggiungere aree cerebrali più distanti, quali i nuclei del tratto solitario e l’ipotalamo (12,13).
È importante sottolineare che nel 1969 un articolo pubblicato su Lancet suggerì che il principale fattore eziologico della depressione (la cosiddetta “ipotesi serotoninergica”) fosse un’alterazione del metabolismo del TRP, che veniva deviato dalla sintesi di 5-HT verso quella della chinurenina (KYN) (14). Questo meccanismo sarebbe stato innescato dagli ormoni dello stress che inducono l’attivazione della triptofano 2,3-diossigenasi (TDO), enzima limitante la via della TRP-KYN, dalla ridotta disponibilità di TRP, substrato della biosintesi di 5-HT, conseguente a un incremento della sintesi di KYN a partire dal TRP stesso, e dall’aumento della produzione di cortisolo per una riduzione dell’effetto inibitorio esercitato dalla 5-HT sull’amigdala (15).
Il deficit di 5-HT rappresenta l’effetto principale della deviazione (o, come si dice con termine inglese, shunt) del metabolismo del TRP verso la produzione di KYN.
Un altro aspetto importante correlato all’ipotesi serotoninergica riguarda la valutazione dell’attività biologica e neurotropa della KYN e dei suoi derivati (detti genericamente “chinurenine”) e dei fattori di regolazione della via della KYN coinvolti nel metabolismo del TRP (16-21).
Questa rassegna si propone di offrire una disamina esaustiva delle conoscenze attuali relative all’ipotesi serotoninergica della depressione, considerando soprattutto le nuove scoperte sull’indolammina 2,3-diossigenasi (IDO), sugli altri enzimi limitanti la via della TRP-KYN, sulla TDO, nonché sulla sede e i meccanismi di regolazione e sul processo infiammatorio (22).
METABOLISMO DEL TRIPTOFANO
Nell’uomo, il TRP è un aminoacido essenziale metabolizzato mediante due vie non proteiche: 1) quella dei metossindoli, 2) quella delle KYN.
Via metossindolica
La disponibilità di TRP (substrato) rappresenta il fattore dose-limitante la via del metossindolo nella biosintesi di 5-HT, dato che meno del 5% del metabolismo del TRP procede attraverso questa via (23). L’altro fattore limitante è rappresentato dalla idrossilazione del TRP che avviene mediante l’enzima triptofano-idrossilasi (TRP-idrossilasi) con formazione di 5-idrossitriptofano. Successivamente questo composto viene decarbossilato a 5-HT, il substrato per la sintesi di melatonina. La limitazione nella sintesi di melatonina è la N-acetilazione della 5-HT che porta alla formazione di N-acetil-serotonina (NAS) e successiva O-metilazione in 5-metossi-N-acetiltriptamina (melatonina) (24). La 5-HT (in maniera non competitiva) e la NAS insieme alla melatonina (in maniera competitiva) inibiscono la TDO epatica (25). La ridotta sintesi di 5-HT, di NAS e di melatonina possono contribuire all’insorgenza di umore depresso, ad alterazioni del pattern ipnico e dei ritmi circadiani (26-28) ( Figura 1).



Via della KYN
Circa il 95% del TRP viene metabolizzato nella via della KYN (23,29). Tale via prevede due tappe: la formazione di KYN a partire dal TRP e il metabolismo della KYN mediante due strade diverse che competono per la KYN che rappresenta il substrato di partenza.
Conversione del triptofano in chinurenina: contrariamente alla via dei metossindoli che non influenza l’anello indolico del TRP, la via della KYN inizia con il clivaggio dell’anello indolico del TRP con formazione di N-formilchinurenina e poi di KYN in un passaggio successivo (23). Gli enzimi dose-limitanti di questa tappa sono le IDO a livello degli astrociti, cellule della microglia, cellule endoteliali del microcircolo, macrofagi, e le TDO a livello epatico, renale e cerebrale (22,23).
La KYN inibisce il trasporto di TRP attraverso la barriera ematoencefalica, stimola l’attività delle IDO e induce ansia in modelli animali (17,23).
Metabolismo della chinurenina: la KYN viene ulteriormente metabolizzata mediante due vie distinte che competono per la KYN come substrato: 1) la via chinurenina-acido chinurenico (KYNA); 2) la via chinurenina-nicotinamide adenina dinucleotide (KYN-NAD).
1) La via KYN-KYNA è regolata dalla KYN aminotrasferasi, il principale enzima coinvolto nella sintesi di KYNA a livello cerebrale (30). Il KYNA, l’unico antagonista endogeno conosciuto dei recettori della N-metil-D-aspartato (NMDA), potrebbe, in maniera simile agli antagonisti esogeni delle NMDA ossia la ketamina e il MK-801, avere un effetto antidepressivo e psicotomimetico (31,32). La KYNA può agire a livello della via della melatonina e della KYN inibendo la 5-HT-N-acetilazione, che rappresenta la tappa limitante della biosintesi di melatonina (33). La KYNA ha maggiore affinità per i recettori nicotinici alfa-7 rispetto ai recettori NMDA, ciò potrebbe contribuire alla comparsa di deficit cognitivi che si possono osservare nella depressione, nella schizofrenia e nella demenza (34,35).
2) La via KYN-NAD produce agonisti dei recettori NMDA (acido quinolinico, QA, e picolinico) e generatori di radicali liberi (3-idrossichinurenina e acido-3-idrossiantranilico) (29). L’aumentata produzione di agonisti dei recettori NMDA potrebbe indurre uno stato di attivazione del sistema glutammatergico che viene attualmente associato allo sviluppo di depressione (34).
Gli acidi QA e picolinico incrementano i livelli di ansia in modelli sperimentali (17). Tali composti infatti, stimolano la sintesi di ossido nitrico sintasi-inducibile (iNOS) e insieme con la 3-idrossichinurenina e all’acido 3-idrossiantranilico potrebbero determinare l’aumento della perossidazione dei lipidi e attivare la cascata dell’acido arachidonico determinando un aumento della sintesi dei fattori dell’infiammazione: le prostaglandine mediante le ciclossigenasi (COX) e i leucotrieni mediante la arachidonato 5-lipossigenasi (5-LO) (29,36,37). La COX-2 riveste un ruolo particolarmente importante in quanto la sua inibizione porta al blocco della produzione di KYNA ed esercita un effetto antidepressivo e antipsicotico, mentre la 5-LO sembra coinvolta in alcuni aspetti presenti sia nella depressione sia nell’aterosclerosi (34,38-41).
Un altro meccanismo mediante il quale l’infiammazione può indurre processi neurodegenerativi è rappresentato dall’attivazione delle IDO con produzione di cataboliti del TRP, inclusi la KYN, l’acido chinurenico (KA) e il QA (42-44). La KYN viene trasformata in KA soprattutto a livello degli astrociti e in QA nella microglia (45). La KA agisce sul sistema glutammatergico riducendo il rilascio di glutammato e quindi di dopamina (46). Il QA è responsabile della distruzione acuta dei neuroni post-sinaptici, in particolare a livello dello striato, del pallido e dell’ippocampo, e di alterazioni metaboliche di dopamina, colina, GABA ed encefalina (47-50). L’elevata neurotossicità del QA potrebbe essere ascritta al comportamento agonistico a livello dei recettori glutammatergici di tipo NMDA e la conseguente morte cellulare, oppure a un più generale effetto pro-ossidante collegato anche al primo meccanismo, come spiegato tra breve (51-55) ( Figura 2).



Regolazione degli enzimi dose-limitanti nella via della KYN, DEL triptofano
2,3-diossigenasi e della indolammina 2,3-diossigenasi
TDO
Attivazione del substrato: la triptofano 2,3-diossigenasi (TDO) viene attivata dal suo substrato ossia dal TRP (23). Dal momento che la KYN compete per il trasporto cerebrale e per l’uptake cellulare del TRP e provoca inibizione del substrato sulla TRP-idrossilasi,  un aumento eccessivo di TRP può determinare una riduzione della sintesi di 5-HT (56). Non a caso, numerosi studi hanno dimostrato che la depressione è caratterizzata da bassi livelli plasmatici di L-TRP, il precursore della 5-HT, e la deplezione di TRP induce sperimentalmente sintomi depressivi in soggetti sani (14). Le basse concentrazioni plasmatiche di TRP osservate nella depressione potrebbero essere correlate a un aumento dei livelli di interleuchina-1 β (IL-1β), del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) e di interferone gamma (INFγ) (57,58). Infatti, mediante la stimolazione della via dell’infiammazione, per esempio del fattore nucleare (NF) kB, della proteina chinasi attivata dal mitogeno p38 (MAPK), del trasduttore di segnale e attivatore della trascrizione (STAT) 1a, le citochine pro-infiammatorie possono attivare la IDO che a sua volta induce la degradazione del TRP lungo la via della IDO che porta, come già detto, alla KYN (59,60). L’importanza della IDO nella depressione indotta dalle citochine è supportata da numerose evidenze, come la riduzione dei livelli ematici del TRP e l’aumento di KYN in caso di depressione in pazienti affetti da epatite C e trattati con INFα (61,62). Inoltre, durante il post partum, l’attività della IDO correla in maniera significativa sia con i marker dell’infiammazione sia con la gravità della sintomatologia depressiva (17).
È stato poi ipotizzato che l’attivazione della via dell’infiammazione da parte delle citochine pro-infiammatorie, che determina l’attivazione della IDO e la riduzione dei livelli plasmatici di TRP, potrebbe essere responsabile delle più basse concentrazioni di 5-HT a livello centrale riscontrate nella depressione. La produzione dei metaboliti del TRP sembra poi responsabile di per sé di effetti comportamentali, indipendentemente dai bassi livelli di 5-HT. Nel topo, infatti, la somministrazione di KYN da sola è in grado di indurre sia depressione sia sintomi d’ansia (62,63). I metaboliti del TRP sembrano essere neurotossici; in particolare, a livello della microglia, la KYN viene trasformata in QA che, come già accennato, determina uno stress ossidativo che porta a una perossidazione dei lipidi mediante l’attivazione dei recettori NMDA (52-54).
È stata quindi proposta una nuova ipotesi serotoninergica della depressione che sottolinea l’importanza della degradazione del TRP indotta dall’infiammazione e dalla produzione dei suoi metaboliti (6). Infatti, dopo l’attivazione della IDO, una quota maggiore di TRP potrebbe essere convertita nei metaboliti, con riduzione sia della 5-HT sia della TRP e aumento della neurotossicità.
Attivazione ormonale: il cortisolo attiva la TDO e incrementa la sintesi di KYN (64). I dati presenti in letteratura relativi agli effetti esercitati dagli estrogeni e dal testosterone sulla TDO sono controversi: la surrenectomia e l’ovariectomia riducono l’attività della TDO negli omogenati epatici di topi, mentre la somministrazione di estrogeni e testosterone non ha effetti sulla TDO (65,66). L’attivazione ormonale della TDO, e di conseguenza lo shunt del metabolismo del TRP dalla sintesi di 5-HT a quella della KYN, è stata considerata un altro importante fattore eziologico della depressione (14).
IDO
Sono soprattutto le citochine pro-infiammatorie a regolare le IDO.
IFNγ: l’attivazione delle IDO avviene in numerose cellule del sistema immunitario (macrofagi e microglia) (67). L’IFNγ è l’induttore più potente delle IDO (68). Inoltre, lo shunt del metabolismo del TRP potrebbe determinare non solo l’attivazione della TDO da parte del cortisolo, ma anche delle IDO da parte dell’IFNγ. Lo shunt del TRP verso la sintesi delle KYN potrebbe quindi essere favorito da una stimolazione indotta dell’IFNγ sulla via degli enzimi della KYN-NAD, ossia dell’enzima 3-idrossilasi e chinureninasi (69) ( Figura 3).
IFNα: una volta somministrato, l’IFNα attraversa la barriera ematoencefalica e agisce sui recettori delle cellule della microglia e dei macrofagi (70). L’IFNα ha un effetto più debole sulla stimolazione delle IDO rispetto all’INFγ, ma ne potrebbe potenziare l’attività stimolando la produzione di IFNγ e -α (71). Come già menzionato, la somministrazione di IFNα a pazienti affetti da epatite C scatena la comparsa di una sintomatologia depressiva dovuta probabilmente a un aumento della sintesi di KYN (43,72,73) ( Figura 3).
TNFα: il TNFα stimola l’attività delle IDO e incrementa (più del 300%) l’espressione delle IDO indotta da IFNγ (74). L’induzione delle IDO da parte del lipopolisaccaride (LPS) batterico è IFNγ indipendente e potrebbe essere mediato dai recettori di tipo Toll (75) (Figura 3).
IL (IL-1, IL-12, IL-18) e prostaglandine (PGE2): queste molecole agiscono in maniera sinergica all’IFNγ, stimolando l’attività delle IDO (76,77).
Dati clinici e sperimentali dimostrano che gli IFNγ e α possono scatenare la depressione mediante l’induzione delle IDO e il conseguente aumento della sintesi di chinurenine a partire dal TRP (43,78).



Polimorfismo del gene delle citochine e IDO
I geni che codificano per le citochine presentano dei polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) localizzati all’interno di regioni di tipo regolatorio/codificatorio che influenzano sia l’espressione sia la secrezione delle citochine (79).
L’IFNγ è codificato da un gene polimorfo (+874) con un numero elevato di alleli T e un basso numero di alleli A (79). La concentrazione media di IFNγ rilasciato in seguito allo stimolo esercitato dalle cellule mononucleate del sangue è maggiore in portatori sani di T rispetto ai portatori dell’allele A (80). L’elevata produzione dell’allele T si associa a una maggiore attività delle IDO (alti livelli plasmatici di KYN del rapporto KYN/TRP) in donne sane (81). Questi risultati suggeriscono che il genotipo dell’IFNγ influenza il catabolismo del TRP mediante la regolazione dell’attività delle IDO.
Il TNFα è codificato dal gene polimorfico TNFα (-308 A/G). Dato che il TNFα stimola le IDO e potenzia la stimolazione INFγ indotta dalle IDO, una maggiore presenza di allele A potrebbe rafforzare l’associazione tra IFNγ (+874) con elevato T e una up-regulation delle IDO (29). Un incremento della frequenza dell’allele -308A del TNFα è stato riportato in pazienti coreani affetti da depressione maggiore, disturbo bipolare I, e anche in polacchi affetti da disturbo bipolare e anamnesi familiare positiva per disturbi dell’umore (82-84). Ciò suggerisce che il polimorfismo del gene TNFα potrebbe essere coinvolto nella suscettibilità genetica che predispone allo sviluppo di un disturbo dell’umore.
Interazione IDO-TDO
Attivazione ormonale della IDO
Sebbene la IDO sia indotta principalmente dalle citochine, dati sperimentali suggeriscono che l’espressione del gene IFNγ potrebbe essere sotto il diretto controllo ormonale dato che i recettori della prolattina e dell’IFN condividono le stesse strutture e via di traduzione del segnale. La prolattina ha un effetto scarso o nullo sulla IDO, ma potenzia l’attivazione delle IDO INFγ-indotta sulle cellule CD14-positive (85). Il 17 beta-estradiolo aumenta l’attività del promotore del INFγ nei linfociti (86).
Per quanto riguarda i corticosteroidi, i dati disponibili sono molto scarsi, è stato visto solo che l’idrocortisone e il desametasone inducono la IDO nelle cellule di astrocitomi e negli astrociti umani (87).
Citochine e asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA)
L’asse HPA rappresenta il sistema chiave per la regolazione della risposta biologica allo stress. Una sua iperattività, insieme a una disfunzione del meccanismo di feed-back negativo, sottesa da una riduzione della risposta ai glucocorticoidi o da una resistenza ai glucocorticoidi, rappresenta un correlato biologico ampiamente replicato di depressione (88). Attualmente si ritiene che circa il 40-60% dei pazienti depressi, soprattutto quelli con sintomi melancolici e/o psicotici, non presentino la fisiologica soppressione di cortisolo dopo somministrazione di desametasone (Dex), un glucorticoide sintetico (88-93).
Le citochine sono in grado di esercitare numerosi effetti sull’asse HPA. La somministrazione acuta di quelle pro-infiammatorie agisce sull’asse HPA e stimola l’espressione e il rilascio dell’ormone che libera la corticotropina (CRH) (94,95). L’aumento dei livelli di cortisolo dopo stimolazione dell’asse HPA svolge un ruolo fisiologico nel limitare la progressione del processo infiammatorio. Infatti, il cortisolo dovrebbe inibire l’ulteriore rilascio di agenti pro-infiammatori mediante la sua azione sui recettori glucocorticoidi (GR) localizzati sulle cellule immunitarie (96). Per esempio, in volontari sani, la somministrazione di INFα determina un significativo aumento della concentrazione di cortisolo (97). Nella depressione i glucocorticoidi sembrano perdere la loro capacità di interagire con le cellule immunitarie, mentre inibiscono l’ulteriore rilascio di citochine pro-infiammatorie, come le molecole di adesione e le proteine di fase acuta (96). Nei pazienti depressi è stata riscontrata una correlazione significativa e positiva tra l’attività dell’IL-6 e i valori di cortisolo post-Dex (98). Inoltre, alcune pazienti affette da carcinoma mammario e depressione mostravano elevati livelli plasmatici di IL-6 e un’alterazione del test di soppressione al Dex, rispetto a quelle senza depressione (99). Dopo esposizione al lipolisaccaride (LPS), i soggetti con resistenza ai glucocorticoidi, come rilevato da una elevata risposta del cortisolo dopo somministrazione di Dex, mostravano anche un incremento della risposta delle citochine (IL-6 e TNFα), sebbene non fossero depressi (100). Infatti, la risposta dell’ACTH e del cortisolo alla somministrazione di INFα era significativamente più alta in sette pazienti che avevano sviluppato successivamente un quadro di depressione, rispetto ai pazienti che non l’avevano sviluppata. La risposta dell’asse HPA alla somministrazione acuta di INFα potrebbe dunque rilevare una vulnerabilità alla depressione indotta dall’INFα (100).
È stato proposto che l’alterazione dell’espressione e del funzionamento dei GR, che spiegherebbe la resistenza ai glucocorticoidi, potrebbe sottendere sia l’incapacità dei glucocorticoidi di limitare l’infiammazione, sia il mancato funzionamento del meccanismo di feed-back negativo osservato nella depressione (96,101,102). L’attivazione della via dell’infiammazione mediata dalle citochine, NF-kB, MAPK p38 e STAT, sembrerebbe alterare i GR mediante un’alterazione della translocazione dal citoplasma al nucleo e un’inibizione del legame dei GR al DNA (103). Inoltre, sembra che le citochine possano alterare l’espressione dei GR mediante un incremento della produzione di GRβ, un’isoforma meno attiva di GR e una riduzione dell’espressione dell’isoforma α, che è la forma attiva del recettore (103). Un recente studio sperimentale, volto a valutare l’impatto dell’interferone di topo (mINFα) sulla funzionalità dei GR, ha evidenziato un’inibizione significativa dell’attività della MMTV-luciferasi e una significativa riduzione del legame dei GR indotto dal Dex. Si ritiene, quindi, che le citochine potrebbero essere responsabili, almeno in parte, della resistenza ai glucocorticoidi tipica dei pazienti depressi (96,104).
Il meccanismo mediante il quale lo stress può determinare una risposta infiammatoria coinvolge le catecolamine e l’asse HPA (96). In particolare, si sa che gli stress psicosociali, inclusi eventi avversi precoci, conflitti interpersonali e isolamento sociale, possono provocare il rilascio di CRH e catecolamine. L’interazione delle catecolamine con i recettori α- e β-adrenergici a livello del sistema immunitario potrebbe comportare un incremento del legame NFkB-DNA che determinerebbe un rilascio di mediatori dell’infiammazione (105,106). Le citochine pro-infiammatorie, a loro volta, potrebbero raggiungere l’encefalo e, a livello della microglia, attivare il segnale della cascata infiammatoria, determinando una neuro-infiammazione (11). Poi, il CRH, stimolato dalle citochine, a sua volta attiverebbe l’asse HPA che normalmente inibisce l’infiammazione, ma in condizioni patologiche perderebbe tale azione inibitoria. Infatti, durante un episodio depressivo o in condizioni di stress cronico, i glucocorticoidi non sono in grado di inibire la reazione infiammatoria e di sopprimere l’ulteriore rilascio di cortisolo. Tale condizione, definita “resistenza ai glucocorticoidi”, sembra essere, almeno in parte, correlata all’azione delle citochine sui GR e determinare la persistenza dell’infiammazione a livello centrale e dell’attivazione dell’asse HPA (96). Questi fenomeni, a loro volta, sembrano provocare effetti devastanti nel cervello quali eccitotossicità, riduzione del neurotrofismo e alterazione del metabolismo delle monoamine, tutti eventi che sembrano contribuire al danno encefalico che sottende, o accompagna, o consegue alla depressione (106).
L’invecchiamento come punto d’incontro dell’interazione IDO-TDO
L’invecchiamento si caratterizza per un’elevata sintesi di cortisolo conseguente a una disinibizione dell’asse HPA e un incremento dei livelli di INFγ e del TNFα (107-110). È importante sottolineare come l’aumento della produzione dell’allele T del gene INFγ+874 e dell’attività delle IDO sia un predittore di alta mortalità nei soggetti più anziani (111).
Allo stesso modo è stato visto come un ceppo di Drosophila melanogaster, portatore di un’anomalia nella produzione di KYN, presenti una durata di vita più lunga rispetto al tipo selvatico (112). Questi risultati suggeriscono che l’attivazione sia delle IDO sia delle TDO potrebbero comportare un elevato rischio di sviluppare un episodio depressivo maggiore nell’anziano.
Neurogenesi e neurodegenerazione nella depressione
Recenti studi di neuroimaging, e soprattutto la risonanza magnetica (RM), hanno contribuito a spiegare la fisiopatologia della depressione. Nei pazienti depressi sono state infatti riscontrate alterazioni strutturali a carico dell’ippocampo, della corteccia prefrontale, dell’amigdala, del cingolato anteriore e dei gangli basali (107,113-117), e anche alterazioni funzionali nella corteccia prefrontale mediale e orbitale, ippocampo, amigdala, nello striato e nel talamo, e nel tratto limbico-corticale-striatale-pallido-talamico (118-120). La perdita di volume di tale aree si correla sia alla riduzione del fenomeno della neurogenesi, sia a un incremento dei fenomeni neurodegenerativi (121).
I fenomeni di neurogenesi avvengono anche nell’adulto e rappresentano un processo fondamentale per l’integrità del cervello. La neurogenesi nell’adulto è localizzata nelle zone sub-ventricolari, dove le cellule migrano attraverso la via rostrale verso il bulbo olfattorio, e nella zona sub-granulare (122). Esperienze stressanti potrebbero inibire la neurogenesi nell’adulto nel giro dentato dell’ippocampo (123,124). Stress precoci, che potrebbero associarsi a sviluppo di anomalie a livello dell’ippocampo, dell’amigdala, della corteccia cingolata anteriore e del corpo calloso, sembrano provocare una riduzione prolungata nel tempo della neurogenesi. È stato dimostrato che la separazione di cuccioli di ratto dalle loro madri durante il periodo post-natale porta a un decremento della proliferazione di precursori delle cellule granulose dell’ippocampo durante lo sviluppo e nell’infanzia (125). Al contrario in modelli animali di arricchimento ambientale, come quello offerto dall’introduzione di una ruota girevole nella gabbia per compiere esercizio fisico, o la somministrazione di antidepressivi, sembrano avere un ruolo positivo sulla neurogenesi (126-128).
Le neurotrofine, in particolare il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), sono fondamentali per la neurogenesi dell’adulto. Il BDNF attiva i fattori di trascrizione che a loro volta agiscono sui geni che controllano la vita/morte dei neuroni, nonché la differenziazione/crescita e la plasticità degli stessi (129,130). Il BDNF è un fattore neurotrofico ampiamente distribuito nell’encefalo che determina un incremento della lunghezza e della complessità dell’albero dendritico dei neuroni corticali e contribuisce al rimodellamento e alla distribuzione delle sinapsi lungo i processi neuronali e la crescita dendritica (131).
È stato ipotizzato che ridotte concentrazioni di fattori neurotrofici, in particolare il BDNF, potrebbero correlare con la perdita di volume di alcune strutture cerebrali osservate nella depressione. Nei topi knock-out eterozigoti (BDNF+/-), la neurogenesi nel giro dentato e nell’ippocampo è significativamente ridotta e ne consegue una marcata riduzione del volume del giro dentato (132). Nei campioni di tessuto cerebrale umano post mortem di soggetti morti suicidi che non assumevano farmaci psicotropi, l’espressione del BDNF era ridotta nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale ventrale, rispetto ai campioni di tessuti prelevati da soggetti morti per altre cause o suicidi che assumevano terapie specifiche (133). Altri studi che hanno valutato i livelli ematici periferici di BDNF in pazienti affetti da depressione hanno riscontrato ridotte concentrazioni sieriche e plasmatiche di BDNF e un loro incremento dopo antidepressivi (134-141). Una ricerca effettuata presso il nostro dipartimento ha confermato una riduzione dei livelli sierici e plasmatici di BDNF in 15 pazienti depressi, rispetto a un gruppo di soggetti sani di controllo (142). Valutando i pazienti nel corso di un follow-up di un anno, è stato visto che i livelli plasmatici di BDNF aumentavano già dopo un mese di terapia parallelamente al miglioramento della sintomatologia clinica, ma solo in quei pazienti che rispondevano (141).
L’alterazione dei normali processi neurogenetici osservata nella depressione, probabilmente legata alla riduzione dell’espressione e del funzionamento del BDNF, è stata correlata all’insorgenza di un processo infiammatorio. Studi condotti sugli animali avevano dimostrato che, in condizioni fisiologiche, le citochine (IL-1, IL-6, TNFα) giocavano un ruolo importante nel supporto trofico ai neuroni e nella stimolazione della neurogenesi (143,144). Una stimolazione patologica eccessiva e/o prolungata del sistema immunitario, come nel caso della depressione in cui si verifica una stimolazione stress-indotta della risposta infiammatoria, determina un incremento dei livelli cerebrali delle citochine, le quali, a loro volta, potrebbero indurre una riduzione del supporto neurotrofico e della neurogenesi in aree cerebrali di fondamentale importanza per il comportamento e in processi cognitivi (145-149). È stato anche riportato che la somministrazione di LPS poteva indurre un aumento della concentrazione di IL-1 e TNFα nell’ippocampo, ma anche determinare una riduzione dell’espressione del BDNF nell’ippocampo e quindi una riduzione della neurogenesi (149). La somministrazione acuta o cronica di IL-1, invece, determinava alterazioni citogenetitiche e neurogenetiche nell’ippocampo (143,146). Studi sperimentali hanno dimostrato che gli effetti acuti e cronici dello stress sul comportamento e sulla neuroplasticità potrebbero essere evitati con il blocco dell’attività delle citochine mediante la somministrazione di antagonisti del recettore dell’IL-1, o mediante l’utilizzo dell’IL-1 di topi knock-out o, ancora, col trapianto di cellule progenitrici che secernono antagonisti del recettore dell’IL-1 nell’ippocampo (143,146-148).
Inoltre, l’overdrive dell’asse HPA stress-correlato, che rappresenta uno dei più importanti correlati biologici della depressione, sembra giocare un ruolo importante nella riduzione dei processi neurogenetici (150-153). L’ipotesi che l’inibizione della neurogenesi conseguente a esperienze stressanti determini una maggiore esposizione del cervello ai glucocorticoidi è supportata dai risultati ottenuti, dopo surrenectomia, nei ratti adulti che non mostravano alterazioni della proliferazione delle cellule dell’ippocampo se separati dalla madre dopo la nascita (125). Altri dati sembrerebbero confermare gli effetti negativi dello stress e dei glucocorticoidi sulla plasticità dell’ippocampo: in vitro la somministrazione di corticosterone, così come l’esposizione cronica allo stress, può ridurre la plasticità sinaptica nel CA1 e nel giro dentato dell’ippocampo dei ratti, spiegando in parte i deficit cognitivi (154).
Bassi livelli di acidi grassi polinsaturi ω3 potrebbero rappresentare un fattore di vulnerabilità della depressione attraverso il loro effetto sulla produzione di citochine infiammatorie (155). Questi composti sembrano avere un impatto positivo sulla neurogenesi nei topi adulti (156).
CONCLUSIONI
Una delle prime formulazioni sulla biologia della depressione del 1969 prevedeva che il deficit serotoninergico presente in questa patologia fosse determinato per lo più da uno shunt del metabolismo del TRP dalla formazione di 5-HT a quella di KYN (14). La scoperta dell’attività neurotropa delle KYN sembrava supportare ulteriormente questa teoria (72,73). Più di recente è stato visto che l’IDO, l’enzima limitante questa via metabolica, viene attivato da citochine pro-infiammatorie, il che sembra conciliare, ma anche ampliare e integrare la teoria originaria con dati più recenti alla base dell’ipotesi infiammatoria della depressione. Il polimorfismo dei geni coinvolti nella produzione di cellule pro-infiammatorie fornisce un ulteriore prova del ruolo eziologico della up-regulation del metabolismo TRP-KYN nella depressione.
Questa review ha passato in rassegna gli studi di questi ultimi anni che hanno evidenziato come diversi fattori genetici e/o ambientali possano indurre depressione mediante una up-regulation del metabolismo del TRP-KYN. L’effetto dei fattori genetici potrebbe a sua volta essere mediato da una up-regulation indotta dalla citochine sulla IDO. La presenza contemporanea di numerosi alleli dei geni IFNγ +874 e TNFα-308 stimolerebbe un aumento delle citochine e di conseguenza una sorta di super-induzione delle IDO. L’effetto dei fattori ambientali, intesi come eventi vitali stressanti, potrebbe, invece, essere mediato dall’attivazione ormonale, soprattutto corticosteroidea, della TDO. La stimolazione della sintesi di cortisolo indotta dalle citochine pro-infiammatorie e l’aumento dell’attivazione delle IDO provocata da stress ormonali suggeriscono, inoltre, che la via del TRP-KYN potrebbe essere il punto d’incontro dell’interazione tra fattori genetici e ambientali, come si verifica anche nell’invecchiamento e, forse, in altre patologie neurodegenerative.
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