Alcune ricerche italiane sul fenomeno del figlicidio

Some italian research on the phenomenon of filicide

VINCENZO MASTRONARDI1, LUANA DE VITA2, federica umani ronchi3
E-mail: vincenzo.mastronardi@uniroma1.it

1Cattedra di Psicopatologia Forense, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma
2Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa ed Esperta Scienze Forensi
3Dipartimento di Medicina Legale, Sapienza Università di Roma


RIASSUNTO. In questo lavoro sul fenomeno del figlicidio strutturato sulla scorta della disamina di centinaia di casi dal 1880 fino al 2010, sono state prese in considerazione le 5 cause, dal figlicidio altruistico a quello a elevata componente psicotica, a quella del bambino indesiderato, al figlicidio accidentale, fino a giungere al figlicidio per vendetta del coniuge. In seguito all’osservazione di 530 psicobiografie, dalla precedente Classificazione di Resnick del 1969, si è poi giunti a una più articolata tipizzazione suddividendo le madri infanticide sulla scorta del loro movente e/o della loro psicopatologia in 20 categorie: le prime 10 comportano la franca imputabilità per stressor event, per pietas, per immaturità della madre, perché trattasi di bambino iperattivo, perché figlio della colpa, per sindrome di Medea, per disturbo dipendente, narcisistico oppure istrionico di personalità, perché figlio indesiderato, per depressione, per disturbi comportamentali legati all’assunzione di droga e poi, lì dove può sussistere compromissione dell’imputabilità, per psicosi post partum (normalmente del disturbo psicotico breve), fundus isterico + fattori precipitanti, depressione maggiore, schizofrenia, stato crepuscolare oniroide, disturbo psicotico dovuto a una condizione medica generale, epilessia, oligofrenia, sclerosi a placche e personalità multipla, anche se quest’ultima comparirebbe come abbastanza rara. La disamina delle cause di morte conclude il lavoro.

PAROLE CHIAVE: figlicidio, infanticidio, depressione post partum, criminologia.


SUMMARY. In this work on the phenomenon of filicide, structured on the basis of the examination of hundreds of cases from 1880 to 2010, the five causes were taken into account: the altruistic filicide, the high psychotic component, that of the unwanted child, accidental filicide, and the spouse revenge filicide. Following the observation of Resnick’s (1969) 530 psycho-biographiesss, a more structured typing was developed which on the basis of their motive and/or psychopathology divides mother infanticide into 20 categories: the first 10 imply full imputability, stessor events, for piety, immaturity of the mother, hyperactivity of the child, the son of the blame, Medea syndrome, disturbance dependent, narcissistic, or histrionic personality, unwanted child, depression, behavioral disorders involved in the recruitment of drugs. The remaining 10 are those where there may be impairment of traceability for postpartum psychosis (Brief psychotic disorder), Fundus hysterical plus precipitating factors, major depression, schizophrenia, twilight state, psychotic disorder due to a general medical condition, epilepsy, oligophrenia, multiple sclerosis and multiple personality, which however appears to be quite rare. An examination of the causes of death concludes the work.

KEY WORDS: filicide, infanticide, postpartum depression, criminology.

INTRODUZIONE
Dal 1880 al 1883, si sono repertati in media 30 casi di figlicidio ogni anno. Dal 1906 al 1911 abbiamo avuto 47 casi ogni anno fino a giungere a 75 casi annui nel decennio 1950-1959. Viceversa, nei successivi dieci anni diminuiscono fino a 54 casi in media all’anno. Dal 1978, con l’entrata in vigore della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, si registra un rapidissimo calo (1). Presso l’Istituto di Medicina Legale di Milano sono stati esaminati 147 casi dal 1926 al 1990 e interessante appare la ricerca di Selmini (2) che nel 1987, analizzando 31 processi di infanticidio giudicati presso la Corte d’Assise di Bologna dal 1880 al 1913, verifica che 17 donne su 31 sono state prosciolte perché il fatto non sussiste, 5 prosciolte per totale infermità e 9 condannate da 15 mesi a 7 anni di reclusione. Le infanticide di tale ricerca sono giovani donne, nubili, di provenienza contadina, domestiche spesso analfabete e con istruzione elementare. Un’altra ricerca, svolta presso la Cattedra di Criminologia dell’Università di Milano (3), ha esaminato 118 casi di figlicidio materno e 115 paterno avvenuti dal 1985 al 2003 ed evinti dagli organi di stampa. In un apprezzabile lavoro di Bramante (4) a proposito delle percentuali delle madri affette da infermità di mente, in uno studio su 80 perizie effettuate dal 1967 al 2003 sull’intero territorio italiano troviamo che:
– l’età: è percentualmente maggiore da 26 a 32 anni, segue da 18 a 25 anni e poi decresce;
– il luogo di nascita: è per il 56% il Nord, seguono Sud e Isole (30%);
– livello di istruzione: medie inferiori (42%), elementari (25%), licenza media superiore (19%), laurea (3%);
– stato civile: coniugate (61%), nubili (14%), conviventi (15%), separate (9%);
– relazione con il partner: conflittuale (33%), buona (28%), marito assente (10%);
– occupazione: casalinga (58%), operaia (8%), studentessa (5%), pensionata (5%), segretaria (3%), disoccupata (8%);
– numero dei figli: nel 52% il figlio è unico, nel 33% ha un fratello o una sorella, nel 15% sono in tre o più figli;
– disturbi psichici al momento del reato: già sofferenti di disturbi psichici e in cura presso servizi sanitari locali (74%: depressione 55%, psicosi 11% sindrome dissociativa 8%, ecc.), nessun disturbo (29%);
– precedenti allarmanti: nel 69% dei casi si erano verificati episodi che potevano mettere in allerta. Chiari segni di disagio per il 35% e il 25% aveva subito ricoveri. Un quarto delle donne con problemi psichici aveva tentato almeno una volta il suicidio e il 5% già aveva tentato di uccidere la futura vittima;
– status socio-economico ceto medio (62%), ceto medio/basso (28%), ceto alto (1%).

Dei fatti rilevanti accaduti nel periodo precedente l’evento omicidiario, Bramante indica il 61% in cui si sono verificati eventi particolari che così si elencano, a titolo esemplificativo:
– quando il bambino ha raggiunto l’età per cominciare a parlare, la mamma inizia a deprimersi perché pensa che non potrà mai andare d’accordo con il fratello più grande che soffre di un ritardo nello sviluppo con gravi problemi comportamentali;
– la madre tenta il suicidio ma non viene ricoverata in ospedale psichiatrico per assenza di posti letto;
– la madre in gravidanza, verso la fine del nono mese, era da giorni convinta che il bambino sarebbe nato deforme;
– pochi giorni prima dell’omicidio, muore il padre cui la madre era fortemente legata;
– da giorni la donna è in preda a voci che le ordinano di uccidere;
– una donna viene percossa dal marito perché non vuole curarsi e delira immaginando di essere l’incarnazione del diavolo;
– muoiono il fratello e la cognata della donna figlicida in un incidente stradale, così la donna, oltre a sopportare il dolore, deve anche prendersi cura dei tre figli del fratello oltre ai suoi quattro;
– due mesi prima la donna tenta il suicidio con la bambina in braccio cercando di gettarsi dalla finestra: viene fermata da un familiare;
– più di una donna riceve insistenti minacce da parte dell’ex marito il quale voleva portarle via il figlio;
– in un caso una donna aveva perso da pochi mesi i genitori che come lei erano gravemente depressi;
– una donna aveva ricevuto la visita del fratello che secondo lei aveva portato a casa liquidi organici pericolosi per lei e per il bambino;
– una madre pensava che la psicologa da cui era in cura la sua bambina da circa un mese gliela volesse portare via;
– in alcuni casi i genitori si trovano in fase di una burrascosa separazione;
– più di una donna dei casi esaminati stava attraversando un periodo di prolungata deprivazione di sonno;
– una delle madri si sentiva da mesi minacciata da tutti e da tutto, persino dalla tv;
– tre mesi prima del figlicidio, una madre aveva tentato di uccidere la futura vittima scuotendola e gettandola a terra ripetutamente;
– durante la gravidanza una mamma aveva perso il suocero con il quale era molto legata dopo la morte del padre avvenuta due anni prima;
– una donna prima di commettere il figlicidio aveva allucinazioni deliranti: vedeva “mostri” ovunque, anche la bambina diventa per lei un mostro;
– pochi anni prima dell’attuazione del figlicidio, muore il marito della donna che fatica a portare avanti la famiglia;
– una donna è convinta, fin dalla nascita del bambino, di non essere in grado di accudirlo e di proteggerlo;
– un anno prima dell’attuazione del figlicidio, una donna aveva tentato l’omicidio della futura vittima dando fuoco alla culla dove dormiva;
– una donna si dimostra molto preoccupata perché il bambino presenta anomalie nel comportamento e non parla;
– una donna è convinta che lei e la sua bambina abbiano un tumore;
– una donna è convinta, fin dal secondo mese di gravidanza, che la sua bambina sia handicappata;
– una donna, dopo aver subito un furto nel suo appartamento, è terrorizzata per la sicurezza del bambino;
– una madre pensa di uccidersi da qualche giorno prima dell’omicidio;
– una madre, dopo aver partorito, ha la convinzione che le debbano portare via il bambino;
– una donna, prima di attuare il figlicidio, ha inviato alla questura due lettere nelle quali accusa il marito, la suocera e i vicini di casa di avercela con lei e di averle provocato dei danni;
– una madre deve affrontare la grave malattia del figlio, che si aggrava sempre di più.
ANALISI DEI DATI RELATIVI AL REATO
Tipologia di reato: nella maggior parte dei casi presi in considerazione nella ricerca si tratta di omicidio di un unico bambino (61%) o di tentato omicidio sempre di un unico bambino (24%); nel 6% dei casi vi sono più vittime.
Luogo del reato: in casa (85%), all’aperto (11%).
Luogo dell’abitazione: bagno (64%), camera da letto (20%), sala da pranzo (13%).
Modalità lesiva: annegamento (19%), soffocamento (18%), arma da punta e da taglio (15%), defenestrazione (15%), strangolamento (10%), arma da fuoco (4%).
Movente: patologia mentale (61%), sindrome di medea (14%).
Comportamento dopo l’omicidio: mette in atto un tentativo di suicidio (23%), subito confessa il reato (21%), occulta il cadavere (10%), non conosciuto (46%).
Sesso della vittima: 53% maschio, 47% femmina
Età della vittima: 36% da 2 a 6 anni, 20% da un mese a un anno, 16% meno di un mese di vita.
Presenza di problemi fisici e psichici nella vittima: 89% senza alcuna patologia fisica o psichica.
Capacità di intendere e di volere al momento del reato: nel 68% dei casi totalmente abolita, nel 14% perfettamente lucida e cosciente, nel 28% capacità di intendere e di volere grandemente scemata.
Presenza di patologia mentale: patologia mentale (85%) (disturbo psicotico [49%], disturbi di personalità [17%], disturbi d’ansia [25%], disturbi organici [7%], disturbi dell’umore [1%], reazione abnorme con valore di malattia [1%]).
Dopo la sentenza: tra le donne affette da patologia mentale, giudicate incapaci di intendere e di volere e riconosciute pericolose socialmente, il destino dopo la sentenza è il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per il 56% dei casi presi in esame; nel 13% vi è la detenzione in carcere; nel 6% dei casi compare il ricovero in comunità o clinica psichiatrica.

La ricerca effettuata da Bramante (4) ha dato modo di tracciare il profilo della madre figlicida. Si tratta di giovane donna di età compresa tra i 18 e i 32 anni; nazionalità italiana; livello di scolarità medio; coniugata; relazione con il partner problematica e/o conflittuale; casalinga, molte volte non per sua scelta ma del marito/compagno; attua il delitto nella sua abitazione, soprattutto nel bagno e in camera da letto; compie figlicidio solitamente sui bambini di età inferiore ai 7 anni; utilizza per commettere il delitto modalità “immediate”, quali annegamento, soffocamento, defenestrazione, ecc.; il movente principale è costituito dalla patologia mentale; dopo il reato, trovata spesso in stato confusionale sul luogo del delitto, confessa oppure tenta il suicidio; ha dato in passato segnali di disagio psichico (tentati suicidi, ricoveri psichiatrici e in alcuni casi, tentato omicidio della futura vittima).
CAUSE DEL FIGLICIDIO
Una interessante classificazione del figlicidio fu già proposta da Resnick nel ’69 (5) e strutturata sulla scorta delle motivazioni e nelle cause a monte dell’impulso di uccidere. La ricerca fu effettuata dal 1951 al 1967, evidenziando 5 categorie e sottolineando che il periodo più a rischio per il minore è quello fino a sei mesi di vita. Le categorie individuate dall’autore sono:
1. Figlicidio altruistico, in cui molto spesso la madre si suicida dopo aver ucciso il figlio (suicidio allargato) con l’intenzione di salvare il figlio dalle sofferenze che avrebbe se invece continuasse a vivere poiché malato (omicidio pietatis causa, detto anche omicidio compassionevole), molto spesso caratterizzato dalla sindrome di Beck: visione pessimistica di sé, del mondo, del futuro proprio e del figliolo.
2. Figlicidio a elevata componente psicotica, allorquando un genitore uccide in preda ad allucinazioni imperative in forma di comando.
3. Figlicidio di bambino indesiderato, perché frutto di una relazione extraconiugale o perché trattasi di madre immatura in piena fase adolescenziale, sia pure protratta negli anni. Sono poco frequenti in questo caso tentativi di suicidio.
4. Figlicidio accidentale, vedi la sindrome del bambino maltrattato (Battered Child Syndrome) già esaminata, in cui la madre è comunque abitualmente avversa alle violenze sul figlio, causandone la morte in occasione di un gesto impulsivo conseguente ai soliti pianti o alle urla del piccolo. Spesso queste madri sono affette da disturbi di personalità, irritabilità, comportamento impulsivo. Non di rado hanno subito violenza da piccole, spesso il marito è disinteressato ai problemi della moglie.
5. Figlicidio per vendetta sul coniuge.

A ogni modo, il numero estremamente variabile di casi rende impossibile presentare generalizzazioni, avanzandosi nella descrizione di una sola categoria-tipo di madri figlicide.
Presenteremo dunque le ipotesi avanzate dai diversi autori, in modo da delineare quelle che sembrano essere le tipologie principali riconosciute.
La letteratura sulle tipologie di madri omicide è veramente molto ampia; quindi, piuttosto che elencare i numerosi autori, fermo restando che le categorie proposte sono sostanzialmente quelle presentate fin qui, appare opportuno riferire del contributo di Nivoli (6), che presenta categorie finora non sufficientemente esaminate. Le principali sono:
– il figlicidio causato da un agire omissivo di madri passive e negligenti: si verifica quando la madre, soprattutto se in giovane età, non accudisce in modo adeguato alle necessità del figlio (nutrimento, vestiario adeguato alla temperatura, protezione e cure mediche). Il suo comportamento negligente e omissivo può derivare da un’incapacità di affrontare adeguatamente la funzione materna (maternal coping), in base a ignoranza, incapacità personale, insicurezza, ma anche scelta deliberata. Esse vedono il proprio figlio come una minaccia o una rovina per la propria vita, oppure lo vivono come qualcosa di invadente, chiaramente in preda a scompensi psicotici che producono paure di fusione. La morte del bambino, in relazione a quanto detto, non è infatti determinata da gesti concreti, è semmai causata da comportamenti passivi e omissivi: alimentazione insufficiente, mancato ricorso a cure mediche in seguito a una malattia, accudimento superficiale e sbadato che mette in pericolo il piccolo.
– Madri che uccidono i figli trasformati in capri espiatori di tutte le loro frustrazioni: sono madri che ritengono, talora in modo delirante, che il bambino sia la causa di una rovinosa esistenza. Esse manifestano la percezione che il bambino abbia “sformato” attraverso la gravidanza il loro corpo, le abbia condizionate a vivere in un ambiente a loro non gradito, le obblighi ad accettare un compagno che non amano oppure a non vivere felici col compagno che amano, le costringa a dover trascorrere tutta la giornata per badare alle malattie reali o presunte, alle necessità fisiologiche e ai loro capricci (6). In casi di questo tipo, è abbastanza comune la presenza di malattie mentali con elementi persecutori, deliranti e paranoidei.
– Madri che negano la gravidanza e fecalizzano il neonato: sono madri che negano, in maniera prettamente isterica, la loro gravidanza, vestendosi in modo da dissimulare, agli occhi di tutti, di essere incinte, non richiedendo cure mediche durante la gestazione né in concomitanza del parto, che viene quindi eseguito in solitudine. Si tratta generalmente di giovani donne sole, che nell’immediatezza del parto uccidono o abbandonano (nelle discariche, nei bagni pubblici) il figlio, considerato un “prodotto fecale”, cioè un oggetto addirittura privo di umanità.
– Madri che spostano sul figlio il desiderio di uccidere la propria madre: il figlicidio è in questo caso legato a un grave conflitto con la propria “madre cattiva”, verso la quale sono in realtà riferiti i sentimenti di odio e rabbia, e i desideri di annientamento. Vi è quindi prima un’introiezione del desiderio di uccidere la propria madre cattiva, e solo secondariamente lo spostamento di questa aggressività nei confronti del figlio, che chiaramente non è vissuto per come è in realtà, ma alla luce del proprio passato.

In definitiva, il figlicidio può avvenire in relazione a processi emotivi e di pensiero che non sono influenzati obbligatoriamente dalla presenza di patologie o alterazioni mentali tali da determinare una compromissione evidente della capacità di intendere e di volere. È importante specificare questo, poiché in questi casi di madri assassine, la legge prevede una privazione della libertà attraverso l’attribuzione di una pena da scontare in carcere.
Nei casi in cui, invece, il gesto sia compiuto in preda a infermità mentale, con compromissione (grandemente scemata) o totale abolizione della capacità di giudizio (intenzione e volontà), è giuridicamente previsto che la pena venga scontata in regime di detenzione parzialmente o totalmente in OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), dove tali madri sono sottoposte a un trattamento psicoterapeutico personalizzato.
In realtà, tutte le classificazioni fornite attraverso i decenni si ripetono, pur migliorandosi nelle peculiarità delle osservazioni diagnostiche.
È proprio grazie all’osservazione di oltre 530 psicobiografie in nostro possesso, effettuate presso il Master Internazionale in Scienze Criminologico-forensi della Sapienza Università di Roma (vedi oltre), che possiamo suddividere le madri infanticide sulla scorta del loro movente e/o della loro psicopatologia in 20 categorie (7):
A) in caso di “follia mostruosa della normalità razionale” capaci di intendere e di volere:
– per life stressor event (eventi di grande perdita affettiva: lutti, abbandoni reali o amplificati, separazione);
– per pietas (omicidio altruistico);
– per immaturità della madre;
– perché il bambino è iperattivo (bambino maltrattato);
– perché figlio della colpa;
– per sindrome di Medea;
– per disturbo (dipendente, narcisistico oppure istrionico) di personalità;
– perché figlio indesiderato;
– per depressione (non maggiore) in soggetto narcisista (c.d. suicidio allargato);
– per disturbi comportamentali dovuti all’assunzione di alcool e droga.

B) Se sussistono cause patologiche con compromissione parziale (grandemente scemata) o totale della capacità di intendere e di volere), vi troviamo:
– psicosi post partum (varianti del disturbo psicotico breve);
– fundus isterico + fattori precipitanti;
– depressione maggiore (quid novi e quid plus);
– schizofrenia (paranoide, disorganizzata, indifferenziata, catatonica, residua);
– stato crepuscolare oniroide;
– disturbo psicotico dovuto a una condizione medica generale (scompenso ormonale gravidico) (manifestazioni catatimiche – monomania impulsiva);
– epilessia;
– oligofrenia;
– sclerosi a placche (>colesterolo);
– personalità multipla (raro).

Sempre Resnick (5) descrive i metodi più comunemente utilizzati per causare l’infanticidio, distinguendo in base al sesso del genitore: così, tecniche come lo strangolamento, l’asfissia o l’annegamento sono più tipiche per le madri, mentre invece la morte causata tramite l’uso di armi da taglio o altre tecniche violente che causano il trauma cranico, si riferiscono di più al padre.
LE CAUSE DI MORTE
Dalle ricerche sudamericane condotte miratamente in Brasile, dove il fenomeno si presenta particolarmente degno di attenzione per l’evidenziata, alta incidenza del numero oscuro (8), risulta che: è indispensabile premettere quanto sia evidente che la morte del feto o del neonato possa accadere anche in forma naturale, in relazione a cause di carattere non criminoso, come per esempio: pre-maturità, malattie congenite, emorragia ombelicale. Durante il parto, la morte delittuosa del nascituro è meno frequente, tuttavia possibile nella fase del coronamento encefalico, per contusione cranica o per perforazione delle fontanelle e dopo la fuoriuscita della testa, per ostruzione diretta degli orifizi esterni delle vie respiratorie.
Fra le cause criminali della morte del neonato, Hélio Gomes (9) enuncia quelle più importanti per il medico legale (che si ritiene coincidano con quelle più frequenti):
– frattura delle ossa del cranio: possono essere provocate da colpi o da proiezione della testa contro una parete o il soffitto;
– soffocamento (atto di soffocare e impedire la respirazione): può avvenire otturando la narice e la bocca con mani, guanciali o cuscini, oppure per mezzo dell’“abbraccio mortale”, ossia comprimendo il torace con il peso del proprio corpo; oppure ancora rinchiudendo il neonato in casse o bauli e più raramente interrandolo da vivo);
– strangolamento: può essere attuato per mezzo delle due mani causando anche il soffocamento oppure con un laccio, utilizzando anche il cordone ombelicale del neonato;
– annegamento: avviene quando il neonato è immerso in apparecchi sanitari o qualsiasi altro recipiente che contenga sostanza liquida;
– ferite: causate generalmente da strumenti taglienti che mirano alla mutilazione o a dilaniamenti per facilitare l’occultamento dei resti;
– bruciature: comunemente sono accidentali, tuttavia nell’infanticidio è frequente l’impiego del fuoco per occultare il cadavere, anche se l’utilizzo dell’acido si presenta in grado di neutralizzare un corpo di un adulto;
– avvelenamento: è considerata una modalità abbastanza rara pur sussistendo non di rado la possibilità si somministrazioni di sostanze in bocca attraverso spugne imbevute di veleno;
– incuria e mancanza di attenzioni per mantenerlo in vita: caratterizza la modalità di infanticidio per inazione o omissione, per esempio con la mancanza della legatura del cordone ombelicale, la privazione degli alimenti, così come lasciare le mucosità nella bocca del neonato.

In caso di uccisione di più figli in un unico evento i mezzi lesivi utilizzati sono: asfissia per gas, accoltellamento, annegamento, uccisione con armi da fuoco (suicidio allargato).
Indipendentemente da quanto riferito dalla letteratura internazionale, vediamo un caso di bassa soglia di tolleranza allo stress (immaturità: impazienza, sconforto, eventi stressogeni).
Bibliografia
1. Bistarini S, Cavaliere E. Rilievi statistici sulla frequenza dell’infanticidio in Italia nel periodo 1968-1981. Rassegna di Criminologia 1987; 18: 37-48.
2. Selmini R. Profili di uno studio storico sull’infanticido: esame di 31 processi per infanticidio giudicati dalla Corte d’Assise di Bologna a dal 1880 al 1913. Seminario giuridico dell’Universita di Bologna (Series). Milano: Giuffrè Editore, 1987.
3. Bramante A, Beringhelli E, De Micheli A, Merzagora Betsos I. Madri e padri che uccidono: fenomenologie e differenze tra il figlicidio materno e quello paterno. Atti del XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Criminologia: “Neutralizzazione o riabilitazione? Dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario al territorio”. Gargnano del Garda, 9-11 ottobre 2003.
4. Bramante A, Merzagora Betsos I. Psichiatria, cultura, figlicidio. Interazioni-psichiatria-giustizia. Atti del Convegno, Aversa, 2004.
5. Resnick PJ. Child murder by parents: a psychiatric review of filicide. Am J Psychiatry 1969; 126: 325-34.
6. Nivoli GC. Medea tra noi. Le madri che uccidono il proprio figlio. Roma: Carocci, 2002.
7. Mastronardi VM, Villanova M. Madri che uccidono. Le voci agghiaccianti e disperate di oltre trecento donne che hanno assassinato i loro figli. Roma: Newton Compton, 2007.
8. de Paula Rodrigues V. Infanticidio e a morte culposa do recém-nascido. Campinas, SP: Millennium Editora, 2004.
9. Gomes HH. Medicina legal Hélio Gomes. 32. Ed., Rev. e Ampl. por Equipe Coordenada pelo Prof. Huggino de C. Hercules Freitas Bastos 1997.