Descrizione dell’esperienza, dell’efficacia pratica e della diffusione dell’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo
nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Psichiatria

A review of the experience, the effectiveness and the spread of
Behavioral-Cognitive Group Intervention in Psychiatric Ward

FRANCO VELTRO, ROSSELLA CHIARULLO, VALERIANA LEANZA, PAOLA DI PADUA,
INES ORICCHIO, FRANCO ADDONA, NICOLA VENDITTELLI
1, MASSIMO DI GIANNANTONIO2
E-mail: franco.veltro@asrem.org

1Dipartimento di Salute Mentale, Campobasso, ASReM
2Dipartimento di Salute Mentale, Università di Chieti


RIASSUNTO. L’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo (ICCG) è in uso, da circa dieci anni, nell’ambito di numerosi reparti di psichiatria (SPDC) italiani. Nell’articolo si descrivono brevemente l’intervento, le basi teoriche, l’efficacia pratica e l’efficienza, la diffusione a livello nazionale e internazionale. Esso basa sul modello teorico “stress-vulnerabilità-coping”, è manualizzato, innovativo e valido nei reparti per acuti; utilizza il setting di gruppo per favorire un clima di collaborazione tra utenti e operatori, superare velocemente la crisi, aumentare la consapevolezza, l’adesione al progetto terapeutico e la soddisfazione. Viene fornita una panoramica degli studi di efficacia pratica; quelli condotti con maggior rigore riguardano differenti contesti e sono di diversa durata (1, 2, 4 e 5 anni di follow-up). I risultati hanno dimostrato una riduzione delle riammissioni (volontarie e in TSO; p<,01), un miglioramento dell’atmosfera di reparto, della soddisfazione degli utenti (p<,01) e una diminuzione degli atti aggressivi (p<,01). Vengono quindi descritte la diffusione, le diverse esperienze e le modalità di applicazione dell’intervento nei vari SPDC italiani ottenute attraverso un’indagine esplorativa condotta con una scheda elaborata ad hoc. Risulta che l’ICCG è maggiormente diffuso al Nord, in accordo con una crescente domanda di formazione, meno al Centro e ancor meno nel Sud del nostro paese. Le informazioni raccolte tra coloro che applicano l’intervento confermano i vantaggi pratici osservati nei diversi studi, cioè miglioramento del clima di reparto, della comunicazione positiva tra utenti e tra questi e i professionisti, nella più veloce adesione al trattamento e nella partecipazione attiva e informata alle cure. Sono altresì descritti i fattori che ostacolano l’uso nella routine, tra cui la scarsa partecipazione degli psichiatri e la difficoltà a cambiare lo stile organizzativo di lavoro in reparto.
PAROLE CHIAVE: intervento cognitivo-comportamentale di gruppo, SPDC, diffusione, efficacia.


SUMMARY. The use of Cognitive-Behavioral Group Intervention (CBGI) in Psychiatric Ward (SPDC) in Italy began in the year 2000 and it became more and more popular in different geographic areas of our country. In this paper we briefly describe the intervention, the theoretical framework, the effectiveness and efficiency in Italy as well as in the international context. Based on the theoretical model “stress-vulnerability-coping”, the ICCG is a manualized treatment, innovative and effective in the acute care, using the group setting to foster a climate of collaboration between users and operators, to raise awareness, the adherence to the treatment plan and the satisfaction. This article provides an overview of studies of effectiveness, in particular those performed in Rome, Campobasso, Foggia, Arezzo which are of different lengths (1, 2, 4 and 5 years of follow-up). The results showed a reduction in voluntary as well as compulsory treatment (p<.01), an increase of ward’s atmosphere and of the user satisfaction (p<.01), and also decreased aggressive acts (p.01). Finally, the results obtained through a survey of the various experiences, of the diffusion and how the intervention is applied in the various SPDC Italians are shown. The CBGI is more popular in the North of Italy, according with an increasing demand for training. The practical benefits observed by data collected are also illustrated; they mainly consist in improving the climate of the ward, in a better positive communication among users and between them and the professionals, in the fastest adherence to the treatment and of the active participation and informed care. Are also discussed factors that hinder the use in routine, including the low participation of psychiatrists and the difficulty in changing the organizational style of work in the ward.
KEY WORDS: cognitive-behavioral group, SPDC, spread, effectiveness.

INTRODUZIONE
Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia dei trattamenti psicoeducativi (1) soprattutto se integrati con tecniche cognitivo-comportamentali (2) e con il coinvolgimento dei familiari (3), nella riduzione dei tassi di ricadute, delle riammissioni in ospedale e della riduzione media della degenza con il graduale miglioramento delle condizioni cliniche del paziente.
In diversi contesti ospedalieri a livello internazionale si è proceduto nel tempo a effettuare, anche nei reparti di psichiatria, gli interventi psicoeducativi associati a tecniche cognitivo-comportamentali (4-6).
L’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo (ICCG) nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) dapprima applicato a Roma e poi in maniera sistematica nell’SPDC di Campobasso, ha integrato il trattamento prettamente farmacologico, tipico di un reparto, con l’intervento di tipo psicoeducativo, con il risultato di un reciproco rinforzo, fino a proporre un nuovo modello di modalità operativa per pazienti acuti. Si è visto che i pazienti che partecipano regolarmente all’ICCG mostrano una migliore autogestione del disturbo mentale e dei principali stressor, una maggiore aderenza al trattamento farmacologico e più adeguate strategie di fronteggiamento. Per un reparto questo si traduce in una migliore gestione complessiva dell’assistenza, sia di tipo clinico sia ambientale, relativa soprattutto al miglioramento del clima dell’atmosfera di reparto per i pazienti, ma anche per gli operatori.
L’intervento che ha avuto origine nell’SPDC di Roma, modificato con una proposta applicativa tramite un manuale a Campobasso, ha trovato ampia diffusione in Italia e attenzione a livello internazionale.
Nel presente contributo saranno descritti brevemente gli interventi, l’esperienza (esposta sulla base di contatti informali avuti con gli operatori che hanno applicato l’intervento) e l’efficacia (sono riassunti brevemente gli indicatori di processo e di esito utilizzati con i relativi risultati osservati nei diversi studi) valutata in alcuni studi e soprattutto i risultati di una indagine esplorativa relativa alla diffusione in Italia (basata sulle conoscenze personali, sulla raccolta di informazione tramite internet, mentre dati specifici relativi all’applicazione dell’intervento nei vari contesti nazionali sono stati ottenuti tramite una scheda predisposta ad hoc inviata ai referenti che sono stati supportati per la compilazione anche tramite intervista telefonica).
BREVE DESCRIZIONE DELL’INTERVENTO DI GRUPPO
L’ICCG affonda le radici sul modello di trattamento individuale cognitivo-comportamentale delle psicosi descritto da Fowler et al. (7) e sul modello di intervento psicoeduacativo integrato di Falloon et al. (2).
La comprovata efficacia dei suddetti interventi con pazienti psichiatrici è stata utilizzata e riadattata al contesto dei reparti psichiatrici. In particolare, si è scelto di utilizzare la metodologia di gruppo in quanto consente di impiegare un numero esiguo di risorse e offrire una prestazione per diversi pazienti. Oltre l’utilità in termini di costi, il gruppo risulta uno strumento in grado di soddisfare un duplice scopo: facilitare la collaborazione tra pazienti, e quindi implementare le abilità interpersonali, e favorire la condivisione dell’esperienza di sofferenza psichica tra le persone, volta a normalizzare lo stesso disturbo.
L’ICCG si basa sul modello teorico “stress-vulnerabilità-coping”, che pone l’accento sulla vulnerabilità specifica che ogni individuo possiede in relazione allo stress, ossia quella condizione di squilibrio psicobiologico che si crea nel momento in cui le situazioni stressanti (stressor) sono eccedenti rispetto alle capacità di farvi fronte, possedute dal soggetto. Evidenziare il ruolo degli eventi stressanti nell’elicitare sintomi psichiatrici, favorisce la normalizzazione dei disturbi e una migliore comprensione di questi. Inoltre, tale modello fornisce ai pazienti possibilità concrete di gestione del malessere psichico, ossia strategie di coping come l’assunzione degli psicofarmaci e il riconoscimento dei fattori stressanti. Queste, infatti, consistono nell’insieme di pensieri e comportamenti in grado di ridurre l’impatto negativo degli eventi spiacevoli. È necessario offrire al paziente un’occasione per riflettere sulle numerose risorse esterne e interne cui può attingere per il superamento della crisi e il mantenimento del benessere. Tale intervento coniuga un modello secondo cui è bene lavorare sulle risorse e le abilità dei soggetti, per ridurne il senso di isolamento, e le conseguenze nefaste di una rappresentazione negativa del disturbo psichico. Ciò si è rivelato efficace per una maggiore adesione al trattamento e una riduzione delle ricadute dei pazienti psichiatrici. Per una dettagliata descrizione dell’intervento si rimanda al manuale di Vendittelli et al. (8).
OBIETTIVI
L’obiettivo generale dell’ICCG è quello di ottenere la partecipazione attiva e informata del paziente alle cure.
Gli obiettivi specifici dell’intervento per il Servizio sono: 1) fornire un modello cognitivo-comportamentale di intervento che possa essere di facile utilizzo per gli SPDC italiani, in quanto è stato sistematizzato e manualizzato; 2) aumentare la partecipazione di varie figure professionali dei reparti psichiatrici ai trattamenti psicosociali e aumentare i livelli di motivazione e gratificazione di questi, contribuendo a ridurre il fenomeno del burn-out; 3) migliorare il processo di acquisizione delle informazioni sullo status clinico dei pazienti osservati durante l’attività di gruppo, nonché la collaborazione del personale e dei pazienti al processo terapeutico.
Gli obiettivi specifici per i pazienti risultano significativi in quanto: 1) è possibile rendere il momento del ricovero meno noioso e vuoto e un’occasione di riflessione, uno spazio in cui poter sviluppare una visione della malattia in senso dimensionale, normalizzare l’esperienza vissuta e accrescere in tal modo la conoscenza relativa al disturbo; 2) permette di aumentare l’adesione al trattamento farmacologico e di ridurre possibili fallimenti terapeutici; 3) aiutano a migliorare i livelli di autostima e di autoefficacia dei pazienti, attraverso strumenti di gestione della malattia.
ORGANIZZAZIONE E STRUTTURA DEGLI INCONTRI
L’ICCG dovrebbe essere svolto ogni mattina, dal lunedì al venerdì, dalle 9,15 alle 11,00 circa; è preferibile svolgere quest’attività al mattino, in quanto l’osservazione e l’acquisizione delle informazioni relative allo status clinico dei pazienti durante il lavoro di gruppo aiutano a programmare il lavoro dei professionisti durante la giornata.
Durante la riunione di équipe della mattina, i professionisti scelgono il tema da affrontare in base alla tipologia di disturbi presenti in reparto. Il setting previsto per l’intervento è costituito da un ampio salone, ove disporre le sedie in semicerchio, e due lavagne, ove sintetizzare gli argomenti trattati.
Al mattino i pazienti sono invitati dagli infermieri a partecipare all’attività di gruppo, e vengono spiegati loro scopi, modalità e regole della stessa.
Una volta riuniti, il conduttore (medico, infermiere, psicologo o tecnico della riabilitazione psicosociale), che ha ricevuto uno specifico addestramento1, coadiuvato da un co-conduttore, svolge l’intervento. Gli altri professionisti possono sedersi accanto ai pazienti e presiedere nel ruolo di osservatori.
Ogni incontro prevede una struttura di base, costituita dai seguenti passaggi: presentazione dei presenti; chiarimenti sugli scopi e le regole del gruppo; ricapitolazione del lavoro svolto nel precedente incontro; introduzione del tema del giorno. È possibile affrontare argomenti vari ben strutturati all’interno del manuale di riferimento. Sono i cosiddetti moduli costanti: “Che cosa è accaduto prima del ricovero”, “Modello stress-vulnerabilità-coping”, “Psicofarmaci”, “Segni precoci di crisi”, “Obiettivi individuali alla dimissione”. Oltre ai moduli costanti, è possibile utilizzare quelli opzionali: “Alcol”, “Allucinazioni”, “Ansia e paura”, “Delirio e pensiero psicotico”, “Disturbi dell’umore: tristezza e gioia”, “Disturbi di personalità cluster B: rabbia”, “Disturbi di personalità cluster B: vantaggio secondario”, “Idee di suicidio”, “Trattamento sanitario obbligatorio”, “Benessere fisico: alimentazione e attività motoria”, “Comprendere e gestire le emozioni”. Inoltre, nella seconda edizione del manuale è previsto un modulo Psicoeducativo per la gestione dell’Aggressività. I suddetti moduli sono scelti dai professionisti sulla base dei bisogni prevalenti in reparto.
TECNICHE
L’ICCG prevede l’utilizzo flessibile di alcune tecniche. La più importante è la maieutica, o metodo socratico, che conduce i pazienti alla comprensione dei disturbi e alla risoluzione di problemi, attingendo al bagaglio di conoscenze ed esperienze in loro possesso, in quanto si ritiene che la persona sia la principale esperta del disturbo di cui soffre. Il metodo socratico impedisce di ricorrere a un approccio didattico tradizionale e implementa la collaborazione tra i pazienti, l’ascolto attivo del punto di vista altrui e quindi la comunicazione efficace, tramite la condivisione di vissuti ed esperienze.
La non direttività adottata dal conduttore si affianca a tecniche quali le simulate o role-playing, il problem solving e il decentramento cognitivo, che favoriscono lo sviluppo di comportamenti adeguati, abilità funzionali opportunamente rinforzate dal conduttore tramite feed-back positivi. Viene stimolata la riflessione da parte dei pazienti sui possibili collegamenti tra pensieri, emozioni e comportamenti, sui possibili antecedenti situazionali, scatenanti la situazione di malessere, per comprendere la genesi della crisi ed evitare ricadute future.
Tutto ciò ha un duplice e importante scopo, quello di normalizzare i sintomi, manifestazioni comuni ad altri esseri umani e condivisibili nell’attività di gruppo e di favorire una rappresentazione del ricovero, inevitabilmente spiacevole, come occasione di crescita e di riflessione su di sé e sul proprio malessere.
ESPERIENZE NAZIONALI E INTERNAZIONALI CON L’ICCG
L’esperienza nazionale
Per quanto riguarda l’esperienza negli SPDC italiani, ottenuta tramite comunicazioni dirette con gli operatori che hanno applicato l’intervento, si evidenzia soprattutto quanto segue in termini di vantaggi e svantaggi riscontrati, mentre il quadro esaustivo della diffusione lo si può avere nel successivo paragrafo.
L’SPDC del San Filippo Neri di Roma è stato il primo nel dare avvio a quest’esperienza, ritenuta entusiasmante sia per i pazienti sia per gli psicologi che conducevano l’intervento.
L’esperienza è stata giudicata molto positiva, laddove si è lamentato solo un basso coinvolgimento da parte degli psichiatri del reparto e scarsa integrazione nel sistema di cura.
Nell’SPDC di Campobasso i risultati positivi saranno descritti di seguito in maniera dettagliata. Qui si vuole evidenziare soprattutto un cambiamento nel clima di reparto, una comunicazione efficace e positiva tra utenti e personale con ripetuti episodi di aiuto reciproco tra i pazienti ricoverati. L’intervento è diventato nel tempo integrato nel sistema di cure del reparto ma anche tra SPDC e territorio.
Nell’SPDC di Foggia l’intervento ha avuto come risultato positivo una buona integrazione tra infermiere, medico e psicologo nella conduzione del gruppo. L’intervento però non si è integrato nella routine.
In diversi SPDC (Galatina in provincia di Lecce, Matera, Pontedera, Pistoia, Termoli, Ostia, Siena) pur di fronte agli aspetti positivi osservati sono state lamentate difficoltà di tipo organizzativo con particolare riferimento alla continuità da parte del personale nell’applicare l’intervento. In alcuni SPDC l’intervento viene effettuato in maniera periodica.
Nell’SPDC di Arezzo l’intervento gestito prevalentemente dagli infermieri, con il supporto del medico responsabile, ha avuto un impatto positivo sia nella gestione del sistema di cura di reparto sia sulla formazione degli infermieri. Viene comunicato un innalzamento della formazione professionale fino al punto che alcuni di essi sono diventati formatori presso altri SPDC in Italia e anche autori di un contributo scientifico che illustra i risultati ottenuti in uno studio longitudinale a 5 anni. Gli infermieri hanno proceduto a formare altre équipe di reparto tra cui Siena e Valdarno.
Nell’SPDC di Parma l’impatto positivo sugli utenti e su alcuni operatori ha avuto come risultato la proposta da parte degli utenti e la predisposizione di un modulo aggiuntivo relativo al benessere. L’intervento però è stato condotto prevalentemente da uno psichiatra (il direttore dell’SPDC), da uno psicologo a contratto e da due infermieri, ma non si è riusciti a integrarlo nel sistema di cura assistenziale.
Analoga esperienza a Perugia, dove gli utenti hanno mostrato entusiasmo e hanno lavorato per la messa a punto di un modulo per ridurre il numero di sigarette da fumare in reparto, ma il gruppo condotto da una psicologa a contratto non si è integrato nel sistema di cura. Inoltre, come conseguenza del cambio organizzativo relativo all’incarico di responsabilità del dirigente di reparto esso non è stato più applicato.
Nell’SPDC dell’Università dell’Aquila è stato utilizzato soprattutto in condizioni di Day-Hospital e all’inizio in maniera diversificata, applicato cioè per due giorni a settimana e non giornalmente. L’intervento è stato effettuato in maniera continuativa anche in condizioni precarie (a causa del terremoto), considerati i vantaggi, e quindi nel tempo si è ritenuto di applicarlo giornalmente. Inoltre, l’équipe dell’SPDC della Clinica Universitaria dell’Aquila ha contribuito su stimolo dei pazienti alla messa a punto di un modulo sul benessere. Lo stesso, come sopra descritto, è accaduto a Parma dove il modulo è stato concepito in maniera del tutto indipendente da quello dell’Aquila. Gli Autori del manuale hanno accettato le proposte e condiviso il modulo opzionale. In aggiunta, i tecnici della riabilitazione psicosociale hanno messo a punto un modulo specifico sulla psicoeducazione della gestione del comportamento aggressivo concepito per essere applicato quotidianamente nel pomeriggio come modulo strutturato.
Nell’SPDC di Trento l’intervento è stato effettuato dallo psichiatra, da un infermiere e da un tecnico della riabilitazione psicosociale, e l’approccio è stato integrato nel sistema di cure sia del reparto sia tra reparto e territorio.
Nell’SPDC di Saronno l’intervento è stato condotto da uno psichiatra che, trasferitosi a Milano come Direttore di Dipartimento, ha ritenuto di implementare anche nel successivo servizio questo trattamento sulla base dei risultati positivi. I risultati ottenuti hanno riguardato la migliore gestione clinica dell’emergenza, l’atmosfera di reparto e la soddisfazione dei ricoverati.
Nell’SPDC di Desio (Milano) l’intervento è stato condotto solo da una psicologa che si è formata a Campobasso. L’intervento però non si è integrato completamente nel sistema di cure del reparto, nonostante siano stati osservati risultati positivi clinici. L’intervento risulta a distanza di anni ancora in corso.
A Brescia è stato applicato nella struttura per acuti del Fatebenefratelli e la psichiatra, dopo aver letto il manuale, quindi senza formazione specifica, ha applicato il metodo riferendoci un’ottima impressione in termini di accettabilità, atmosfera e buona gestione clinica.
 A Fabriano (Ancona) uno psichiatra ha trasferito l’intervento in una struttura di post-acuzie, cercando anche un adattamento del metodo rendendo meno flessibili, e quindi ancor più strutturati, alcuni step dei moduli. Il tentativo di adattamento, in accordo con il nostro punto di vista, non è apparso positivo e quindi l’applicazione risulta interrotta.
A Nocera Inferiore (Salerno) da oltre un anno l’intervento viene applicato con regolarità e sono stati valutati i risultati positivi soprattutto in termini di accettabilità e soddisfazione.
Esperienze di contaminazione tra questo intervento e approcci che si fondano su presupposti teorici diversi (per es., psicodinamico o sistemico) sono stati condotti in alcuni contesti (per es., Firenze) con soddisfazione da parte del conduttore, mentre non si hanno informazioni da parte degli utenti.
Negli ultimi mesi altri servizi hanno chiesto corsi di formazione (Cremona, Ferrara, Modena, Verona) e si è a conoscenza che presso alcuni SPDC (in particolare Modena e Ferrara) sono riferiti risultati complessivamente positivi.
L’esperienza internazionale
La prima esperienza internazionale è stata quella di un Centro per pazienti acuti nelle isole Hawaii dove, a cura di una psicologa clinica, è stata chiesta la traduzione del manuale. I moduli sono stati esposti dalla collega (S. Rubenstein) all’équipe terapeutica con risultati molto positivi. Inoltre, i moduli sono stati presentati al Master in Advance Practice Nursing Program anche allo scopo di effettuare una valutazione del programma.
Tra le esperienze internazionali segnaliamo anche quella di Lynch et al. (5), che hanno strutturato per il reparto per acuti un approccio di gruppo sulla base del modello elaborato da Veltro et al. (9) e da Page e Hooke (10), i cui risultati osservati in uno studio pilota sono stati positivi per quanto riguarda il funzionamento generale.
Allo stesso modo per i pazienti acuti allo Stanford Medical Center negli Stati Uniti d’America, parti del manuale sono state incorporate nei loro programmi CBT per acuti con particolare riferimento al modulo Pensiero Psicotico.
L’ICCG è stato un punto di riferimento anche per il Counties Manukau District Health Board (CMDHB) della Nuova Zelanda. Qui, infatti, nel 2011 Anna Elders ha condotto uno studio per valutare l’effetto di un intervento cognitivo-comportamentale nella cura dei pazienti ricoverati. In particolare, le finalità dello studio erano quelle di aumentare la quantità di tempo che gli infermieri dedicano ai pazienti, migliorare l’empatia e la comprensione clinica, migliorare la collaborazione con i pazienti, fornire un intervento adattabile ai Maori e ad altri gruppi culturali della popolazione neozelandese, accrescere la fiducia e la soddisfazione del lavoro clinico, fornire sostegno di supervisione per gli infermieri, garantire la qualità della ricerca e la valutazione del progetto. Lo studio è stato condotto suddividendo il personale in tre gruppi, di cui uno non ha ricevuto formazione, un altro un’intensa formazione cognitivo-comportamentale e un terzo una formazione di gruppo Hauora (filosofia Maori). Nella formazione cognitivo-comportamentale, fra tre modelli di riferimento internazionali, si è tenuto conto del nostro ICCG (www.cbt.org.nz).
Infine, segnaliamo la collaborazione con Raune del National Health Service Foundation Trust, Central and Nord West London, per la messa a punto del “Questionario di soddisfazione per l’Intervento Cognitivo-Comportamentale di Gruppo”, ossia un questionario per misurare il grado di soddisfazione dei pazienti che partecipano all’ICCG nei reparti psichiatrici.
L’articolo pubblicato da Veltro et al. (9) è recensito ampiamente sul blog del Beck Institute for Cognitive Behavior Therapy di New York (www.beckinstituteblog.org).
Inoltre, il contributo precedente pubblicato su una rivista online (11) ha ricevuto oltre 8000 accessi con una media di 120 accessi mensili.
L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO
Tra gli indicatori utilizzati nei vari studi, alcuni ci sembrano di particolare interesse per la rilevanza che hanno per il contesto (un reparto ospedaliero) e per la letteratura internazionale. Ci si riferisce all’atmosfera di reparto e alla soddisfazione degli utenti. Per quanto riguarda la valutazione nei vari studi, è stata effettuata con un semplice strumento disponibile nel manuale e scaricabile online dal sito www.rsmcampobasso.it nella sezione “strumenti e documenti”. La scheda valuta la comunicazione tra i pazienti e i professionisti, la presenza/assenza di comportamenti aggressivi, violenti o bizzarri sulla base di 5 item di codifica. È possibile effettuare una classificazione dell’atmosfera di reparto attraverso una codifica che utilizza 5 diversi colori: bianco, se l’atmosfera è eccellente; verde, se l’atmosfera è accettabile; giallo, se uno o più pazienti hanno un comportamento disturbante che però non provoca allarme; arancio, se uno o più pazienti presentano un comportamento disturbante che richiede un intervento immediato ma senza procedere a un eventuale contenimento; rosso, se il comportamento disturbante è talmente grave che richiede l’uso del contenimento per effettuare la terapia.
Allo stesso modo il questionario di soddisfazione messo a punto dall’Istituto Superiore di Sanità è contenuto sia nel manuale sia sul sito. Gli item del questionario valutano la soddisfazione per: a) “assistenza ricevuta”; b) “disponibilità dei professionisti quando richiesta”; c) “aiuto ricevuto”; d) “utilità della partecipazione alla psicoeducazione”; e) “informazioni ricevute durante il ricovero”; f) “compliance farmacologica”; g) “utilità del ricovero”.
Gli indicatori di efficacia maggiormente utilizzati nei diversi studi con i relativi risultati positivi statisticamente significativi (p<,01) sono qui di seguito descritti:
 1. proporzione di riammissioni volontarie e in Trattamenti Sanitario Obbligatorio (TSO) per tutti i pazienti a 1 anno (12-14), a 2 anni (11), a 4 anni (9) e a 5 anni da Travi et al. (15);
 2. proporzione di riammissioni volontarie e in TSO per categorie diagnostiche principali (schizofrenie, bipolari, depressioni, personalità), con risultati positivi a 4 anni per le schizofrenie e i disturbi bipolari nello studio di Veltro et al. (9);
 3. proporzione di allontanamenti non concordati dal reparto sono risultati positivi nell’unico studio che li ha presi in considerazione da Bazzoni et al. (12);
 4. contenzioni con risultati positivi negli unici due studi che li hanno presi in considerazione (12,13);
 5. sintomatologia con esiti positivi accertata da Massaro et al. (14);
 6. numero di incidenti che hanno dato luogo a “denunce per infortuni” (15) nell’unico studio che li ha presi in esame;
 7. atmosfera di reparto, valutata con una scala sviluppata ad hoc in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, presa in considerazione con risultati positivi in diversi studi da Veltro et al. (9,11,13), Adami et al. (16) e Travi et al. (15);
 8. soddisfazione dei pazienti, valutata con un questionario breve autocompilato che deriva da uno strumento di valutazione messo a punto dall’Istituto Superiore di Sanità aumentata negli studi che hanno valuto questo indicatore (9,11,13,15);
 9. opinione sul gruppo accertata da Bazzoni et al. (12) e da Lepre et al. (17);
10. atti di violenza e/o di aggressività valutati e stimati come diminuiti da Bazzoni et al. (12), da Massaro et al. (14), Dosa e Cavicchio (18) e Travi et al. (15);
11. insight valutata e migliorata nello studio di Adami et al. (16).

Il criterio di efficienza del suddetto intervento è stato valutato in un solo contributo di Veltro et al. (9) relativamente al valore economico delle SDO con risultati positivi.
Alcuni indicatori “proxy”, in parte spiegabili dal lavoro effettuato con il gruppo ma anche con l’assistenza territoriale, sono relativi alla statistica sanitaria ospedaliera, tra cui la diminuzione della degenza media che a Campobasso è diminuita in 10 anni, dall’inizio cioè dell’attività di gruppo, da 15 giorni a 10 giorni. Allo stesso modo i posti letto sono diminuiti da 15 nel 2009 (con mobilità passiva) a 7 nel 2012 (con mobilità attiva).
In conclusione, tali indicatori risultano soddisfatti in seguito all’applicazione dell’ICCG e documentati dagli studi svolti dagli SPDC di Campobasso (19) e Roma (12). Questi studi dimostrano che, con l’applicazione costante e quotidiana di un intervento di gruppo e con un approccio molto strutturato di tipo cognitivo-comportamentale a valenza fortemente psicoeducativa, si possono ottenere grandi benefici per i pazienti e per il servizio che li cura.
La maggior parte dei pazienti ricoverati ha trovato il gruppo utile poiché l’ha percepito come una possibilità concreta di apprendere strategie adeguate di fronteggiamento e iniziare ad autogestire il proprio disturbo per evitare una nuova ricaduta.
DIFFUSIONE DELL’ICCG
Sono state condotte due indagini esplorative per valutare la diffusione e le modalità applicative dell’intervento nei diversi SPDC italiani (2001 e 2008) aggiornando le informazioni precedentemente acquisite. L’indagine è stata svolta tramite una scheda elaborata ad hoc inviata via mail agli SPDC di cui si aveva notizia che praticassero l’intervento, e anche con successivi contatti telefonici per assistenza e chiarimenti. Sulla base dell’ultima indagine l’intervento viene o è stato applicato in 25 SPDC (Tabella 1). Il trattamento ha preso piede nei vari servizi in tempi differenti (Tabella 2).
Dei 25 servizi citati è stato possibile ricevere informazioni da 18 di essi. Da 7 SPDC non è stato possibile avere dati esaustivi per vari motivi, tra cui difficoltà ad avere un qualsiasi tipo di contatto (colloquio telefonico, mail) con il responsabile del reparto o del gruppo, interruzione temporanea o permanente dell’intervento di gruppo, ecc. Pertanto di seguito sono riportate informazioni relative a 18 SPDC.



I servizi contattati hanno svolto l’intervento con la seguente cadenza settimanale: a) 9 SPDC lo effettuano 5 giorni a settimana; b) 6 SPDC lo applicano 3 volte a settimana; c) 2 SPDC 2 volte a settimana; d) 1 SPDC 1 volta a settimana.
È stato chiesto ai responsabili in quale fascia oraria venisse svolto il trattamento. In 14 SPDC l’intervento viene svolto come da manuale dalle 9 alle ore 11.00, in 2 SPDC dalle ore 11.00 alle 13.00 e in 2 SPDC nel pomeriggio, dopo le 14.
Le figure professionali che svolgono il ruolo di conduttore dell’intervento sono: a) in 7 SPDC i medici; b) in 3 SPDC gli psicologi; c) in 5 SPDC gli infermieri; d) in 2 SPDC i tecnici della riabilitazione psicosociale; e) in 1 SPDC l’educatore. Le figure professionali che partecipano alla conduzione dell’ICCG sia nel ruolo di conduttore sia di co-conduttore sono diverse, rendendone così possibile l’applicazione; il medico è presente regolarmente all’attività in 10 servizi.
Dall’indagine risulta che 8 SPDC utilizzano regolarmente tutti i moduli costanti relativi al manuale di riferimento (8), 5 applicano maggiormente il secondo modulo costante “Stress-vulnerabilità-coping”, 3 invece ricorrono più frequentemente al primo modulo costante “Cosa è accaduto prima del ricovero”, 2 danno maggiore importanza in termini di frequenza a quello degli “Psicofarmaci”.
Per quanto riguarda i moduli opzionali, quelli maggiormente utilizzati sono “Disturbi di personalità cluster B: rabbia” (6 SPDC), “Disturbi dell’umore: tristezza e gioia” (4 SPDC), “Ansia e paura” (4 SPDC) e “Idee di suicidio” (2 SPDC).
Nonostante i risultati positivi osservati in tutti gli SPDC contattati, alcuni di essi hanno sospeso in modo temporaneo o definitivo l’intervento per problemi che, sulla base dei colloqui informali avuti con i responsabili della conduzione, possiamo sintetizzare in “difficoltà nell’organizzazione” o nel fatto che “il responsabile del servizio non considera l’intervento come parte integrante dell’attività di reparto”.
DISCUSSIONE
Dalla descrizione fornita nei tre paragrafi relativi all’esperienza, alle prove di efficacia e alla diffusione dell’intervento emerge che in un periodo inferiore ai 10 anni questo intervento è stato effettuato in un numero cospicuo di SPDC, con diversi studi e indagini valutative che ne hanno dimostrato l’effectiveness. Questa affermazione riveste ancora più importanza se si confronta tale esperienza con l’intervento psicoeducativo familiare nella comunità. Sebbene di quest’ultimo sia stata dimostrata ripetutamente l’efficacia teorica e pratica a livello internazionale e l’applicabilità in Italia (11), esso ha ricevuto nei primi 15 anni poca attenzione da parte degli operatori, nonostante un’intensa attività formativa, interessando solo l’8% dei servizi territoriali (20). A nostro giudizio, uno dei fattori che ne ha ostacolato la diffusione è la difficoltà organizzativa dei servizi, fattore che abbiamo riscontrato anche in questa indagine. Infatti nel paragrafo dell’esperienza (così come in quello delle prove di efficacia), nonostante il giudizio positivo degli operatori e degli stessi pazienti, in molti SPDC l’intervento è stato interrotto proprio perché non si è riusciti a coinvolgere tutto il personale, sulla base, come riferito, di carenze organizzative.
Tuttavia, a nostro parere, la progressiva diffusione dell’intervento di gruppo in SPDC, e la costante richiesta di formazione da parte degli operatori, sicuramente è stata favorita dall’assenza di un modello di riferimento esplicito per i reparti di psichiatria che storicamente in Italia sono stati oscurati dall’attenzione dedicata alla “psichiatria territoriale”, come se il successo della Legge 180 fosse spiegabile solo in termini di assistenza erogata dai CSM e non invece in una cornice più ampia dove anche l’SPDC (come d’altronde le Strutture Residenziali) ha rivestito un ruolo strategico (21).
L’esperienza acquisita con questo intervento, come brevemente sopra descritta, deve far anche riflettere sul bisogno di poter disporre di un intervento che sia erogabile da parte di diverse figure professionali, “interscambiabili”, di sostegno l’una all’altra e di esaltazione delle specificità di ruolo. Il modello proposto di tipo bio-psico-sociale infatti ben si presta a enfatizzare il ruolo del medico così come dell’infermiere, dello psicologo e delle figure con maggiori competenze di tipo sociale (tecnici della riabilitazione, educatori, ecc.) in modo ben calibrato per interventi di tipo integrato.
L’esperienza e l’efficacia acquisita sul campo ci permettono di affermare che l’intervento risponde pienamente ai bisogni più importanti sia per il paziente sia per gli operatori. Infatti, uno dei bisogni del paziente è un ripristino quanto più veloce possibile delle condizioni di salute precedenti il ricovero, che possono essere soddisfatte con una intensità di cura che prenda in considerazione i diversi aspetti della problematica psichiatrica. In tal modo si evita anche la parcellizzazione dell’intervento (farmaco o farmaco più colloquio in una dimensione meramente clinica) e la frammentazione della persona ridotta semplicisticamente a un corpo biologico da “nutrire” con rimedi di natura chimica. Il gruppo diventa invece esso stesso elemento terapeutico di riferimento e dà l’opportunità al nuovo ricoverato di “riconoscersi” tramite i suoi simili, cioè gli altri pazienti, anche in un immediato “messaggio di speranza” che riceve da coloro che hanno già superato lo stato di crisi. Non è da sottovalutare l’aspetto della “comunicazione tra pari” che in alcuni contesti e circostanze risulta di per sé molto più efficace della comunicazione accademica, ma fredda, dello psichiatra in un asettico contesto di visita “individuale”. Ovviamente il gruppo non sostituisce il colloquio clinico individuale, anzi dà l’opportunità al “clinico” di orientare meglio il suo colloquio attraverso le tematiche emerse durante l’attività di gruppo.
Tra i bisogni del paziente che sono soddisfatti da questo intervento vi è quello di essere una persona alla ricerca di un senso della sua esperienza di crisi. Il modello, come proposto, mette l’accento, fin dal primo momento, cioè dalla presentazione del nuovo ricoverato, su cosa sia successo prima del ricovero, per orientarsi a cercare i fattori determinanti la crisi all’interno di un modello stress-vulnerabilità-coping. Questa operazione permette sia di trovare una più veloce spiegazione dello stato di crisi, ma soprattutto di far emergere quanto sia opportuno conoscere la propria vulnerabilità, il modo in cui essa si manifesta (i sintomi), i rimedi di cura che sono sicuramente i farmaci, e quindi una maggiore e più consapevole conoscenza degli stessi, ma anche le strategie non farmacologiche (per es., gestione delle voci o collegamenti tra eventi, cognizioni ed emozioni) e soprattutto gli obiettivi alla dimissione. L’efficacia di questo lavoro svolto in reparto è testimoniata soprattutto dai dati dei diversi studi condotti in vari contesti che concordano sulla diminuzione significativa delle riammissioni volontarie ma soprattutto in TSO, degli atti aggressivi, degli allontanamenti non concordati e delle misure di coercizione fisica.
I dati di efficacia proprio perché ottenuti in diversi contesti e su vari parametri, clinici, così come extra-clinici (atmosfera dell’ambiente e soddisfazione), anche se ricavati con studi diversi da quelli controllati randomizzati, assumono grande rilevanza. L’unico limite, infatti, relativo alla documentazione di efficacia è la metodologia utilizzata per la conduzione degli studi, in quanto fino a oggi ancora non è stato possibile condurre un randomized clinical trial. Non vanno, tuttavia, ignorati la complessità, i costi associati a questa tipologia di studi ma soprattutto il contesto e la metodologia che si dovrebbe utilizzare. Infatti, qui non siamo di fronte a un intervento concepito per il trattamento della singola persona, ma a un intervento che impatta sull’intero sistema di cura innalzando e modificando l’intensità delle cure stesse. Di conseguenza il miglior metodo di studio è quello clinico controllato randomizzato a cluster, coinvolgendo quindi molti SPDC, dei quali la metà dovrebbe costituire il gruppo sperimentale e l’altra metà il gruppo di controllo.
CONCLUSIONI
La panoramica qui riportata rispetto all’esperienza, alle prove di efficacia e alla diffusione dell’ICCG, per quanto sintetica, ci appare esaustiva e metodologicamente appropriata per lo scopo del nostro contributo. Infatti, il presente studio aveva la finalità di descrivere l’impatto in termini di diffusione e di efficacia di un intervento concepito per migliorare l’assistenza sia delle singole persone ma anche del sistema generale di cura.
L’aver proposto come sistema metodologico la “narrazione” dell’esperienza da parte degli stessi operatori in diversi contesti geografici, interpreti anche della volontà e dei bisogni dei pazienti, ci è sembrato il modo più diretto per comunicare l’impatto dell’intervento sui servizi. Il lettore in questo modo può facilmente farsi un’idea, una rappresentazione mentale di cosa realmente sia successo nella routine dei servizi con l’effettuazione di questo intervento.
L’esperienza “narrativa” è stata controbilanciata da una indagine, semplice, della diffusione del metodo attraverso una scheda elaborata ad hoc e inviata ai responsabili dei vari servizi. I risultati ottenuti ci hanno dato ulteriori informazioni sulla progressiva diffusione dell’intervento nei singoli contesti in riferimento a variabili più oggettive, vale a dire fasce orarie e frequenza nell’applicazione, prevalenza dei moduli utilizzati, tra quelli costanti e opzionali, e tipologia del ruolo del conduttore.
A completezza del dato della diffusione vi è quello degli studi di “monitoraggio” dell’efficacia pratica dell’intervento. È da considerare in modo molto positivo che l’intervento sia stato studiato in diversi contesti (Roma, Campobasso, L’Aquila, Foggia, Nocera Inferiore) e da professionisti che non sono gli autori del metodo stesso. Inoltre, grazie a questi studi, vi sono dati replicati di un impatto statisticamente significativo su un set di indicatori molto variegato che prende in considerazione variabili cliniche, variabili di esito particolare, come la soddisfazione degli utenti, variabili di risultato del setting operativo, come l’atmosfera di reparto che dal 1967 viene sempre più considerato come elemento fondamentale nella cura delle persone (22) e nella prevenzione del burn-out degli operatori (23).
Come già accennato nella discussione, probabilmente uno studio controllato randomizzato presso i servizi potrebbe favorire un’ulteriore diffusione dell’intervento soprattutto a livello internazionale a beneficio, in primo luogo degli utenti, ma anche degli stessi operatori.
BIBLIOGRAFIA
 1. Xia J, Bertil Merinder L, Belgamwar MR. Psychoeducation for schizophrenia. www.thecochranelibrary.org 2011.
 2. Falloon I, Montero I, Sungur M, et al. Implementation of evidence-based treatment for schizophrenic disorders: two-year outcome of an international field trial of optimal treatment. World Psychiat 2004; 3: 104-9.
 3. Pharoah F, Mari J, Rathbone J, Wong W. Family Intervention for schizophrenia. www.thecochranelibrary.org 2011.
 4. Haddock G, Tarrier N, Morrison AP, Hopkins R, Drake R, Lewis S. A pilot study evaluating the effectiveness of individual inpatient cognitive-behavioural therapy in early psychosis. Soc Psychiatry Psychiatr Epidemiol 1999; 34: 254-8.
 5. Lynch D, Laws KR, McKenna PJ. Cognitive behavioural therapy for major psychiatric disorder: does it really work? A meta-analytical review of well-controlled trials. Psychol Med 2010; 40: 9-24.
 6. Raune D, Daddi I. Pilot study of group cognitive behaviour therapy for heterogeneous acute psychiatric inpatients: treatment in a sole-standalone session allowing patients to choose the therapeutic target. Behav Cognit Psychot 2011; 39: 359-65.
 7. Fowler D, Garety P, Kuipers E. Terapia cognitivo-comportamentale delle psicosi. Milano, Masson, 1998.
 8. Vendittelli N, Veltro F, Oricchio I, et al. L’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. II ed. Torino: Centro Scientifico Editore, 2008.
 9. Veltro F, Vendittelli N, Oricchio I, et al. Effectiveness and efficiency of cognitive-behavioral group therapy for inpatients: 4 year follow-up study. J Psychiat Pract 2008; 14: 281-8.
10. Page AC, Hooke GR. Outcomes for depressed and anxious inpatients discharged before or after group cognitive behavior therapy: a naturalistic comparison. J Nerv Ment Dis 2003; 191: 653-9.
11. Veltro F, Falloon I, Vendittelli N, et al. Effectiveness of cognitive-behavioural group therapy for inpatients. Clinic Pract Epidemiol Ment Health 2006; 21: 2-16.
12. Bazzoni A, Morosini P, Polidori G, Rosicarelli ML, Fowler D. La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) di gruppo nella routine di un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC). Epidemiol Psichiatr Soc 2001; 10: 27-36.
13. Veltro F, Cuccaro A, Vendittelli N, et al. Valutazione di efficacia dell’intervento strutturato cognitivo-comportamentale di gruppo per pazienti ricoverati. Riv Psichiatr 2005; 6: 353-9.
14. Massaro CRM, Matrella L, Petito A, et al. Efficacia di un intervento psicoeducativo di gruppo a orientamento cognitivo-comportamentale applicato a pazienti in fase acuta. Psichiatria e Psicoterapia 2007; 26: 1-11.
15. Travi M, Cappuccini M, Pinzaglia L. Valutazione nell’SPDC di Arezzo di “L’Intervento Cognitivo-Comportamentale di Gruppo in SPDC”. Nuova Rassegna di Studi di Psichiatria, rivista online 2010; 1.
16. Adami L, Corradi AT, Pontarelli I, Cavicchio A. Intervento cognitivo-comportamentale di gruppo nel SPUDC dell’Aquila. Abstract Book, 2010; 70, http://www.sirp-abruzzo.it/cms/ images/stories/abstract_book_sirp_2010.pdf
17. Lepre F, D’Andria V, Faiella N, et al. L’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) dell’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore (SA). Nuove Prospettive in Psicologia 2012; 55.
18. Dosa M, Cavicchio A. Gruppi per il miglioramento dell’atmosfera in reparto e la diminuzione di comportamenti aggressivi. Abstract Book, 2010; 87. http://www.sirp-abruzzo.it/cms/images/ stories/abstract_book_sirp_2010.pdf
19. Veltro F, Vendittelli N, Oricchio I, et al. Studio di efficacia nella pratica dell’intervento cognitivo-comportamentale di gruppo per pazienti ricoverati: follow-up di 4 anni. Giornale Italiano di Psicopatologia 2007; 13: 497-503.
20. Magliano L, Fiorillo A. Psychoeducational family interventions for schizophrenia in the last decade: from explanatory to pragmatic trials. Epidemiol Psichiatr Soc 2007; 1: 22-36.
21. Veltro F. SPDC e riforma dell’assistenza psichiatrica in Italia: la luna nuova e il sistema solare. Psichiatria di Comunità 2008; 4: 189-92.
22. Kellam SG, Goldberg SC, Schooler NR, Berman A, Shmelzer JL. Ward atmosphere and outcome of treatment of acute schizophrenia. J Psychiatr Res 1967; 5: 145-63.
23. Tuvesson H, Wann-Hansson C, Eklund M. The ward atmosphere important for the psychosocial work environment of nursing staff in psychiatric in-patient care. BMC Nursing 2011; 10: 12.
Sitografia
– http://www.ausl.vda.it
– http://www.aslcagliari.it
– http://www.beckinstituteblog.org/2009/04/group-cbt-for-inpatients/
– http://www.biomedcentral.com/1472-6955/10/12
– http://www.cbt.org.nz/sites/default/files/Anna Elders
CBT training inpatient ward.pdf
– http://www.centrobasaglia.provincia.arzzo.it
– http://nuke.fondazionelugli.org/Ricerca/tabid/66/Default.aspx
– http://www.francoveltro.com
– www.rsmcampobasso.it
– www.thecochranelibrary.org