La cognizione sociale nel disturbo depressivo maggiore:
una rassegna sulle basi neurali


The neural bases of social cognition in major depressive disorder: a review

FILIPPO TURCHI1, ALESSANDRO CUOMO2, GIOVANNI AMODEO2, ETTORE FAVARETTO3,
STEFANIA RIGHINI
4, EUGENIA MELLINA4, CARMELO LA MELA5, ANDREA FAGIOLINI2
E-mail: turchif@gmail.com

1Sigmund Freud University, Milano
2Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Siena
3Servizio Psichiatrico, Bressanone
4Centro Studi Cognitivi, Firenze
5Scuola Cognitiva, Firenze


RIASSUNTO. Introduzione. Il disturbo depressivo maggiore (MDD) è caratterizzato da un’importante compromissione del funzionamento sociale e interpersonale. Diversi studi recenti di neuroimmagine hanno esaminato uno dei principali domini della cognizione sociale, la comprensione delle emozioni, in pazienti con MDD, nel tentativo di individuarne il possibile substrato neurobiologico. Metodi. Sono stati selezionati e revisionati gli articoli pubblicati fino ad agosto 2016 indicizzati su PubMed e PsycINFO abbinando i termini: “major depressive disorder”, “major depression”, “unipolar depression”, “clinical depression”, “fMRI”, “emotion comprehension”, “emotion perception”, “affect comprehension”, “affect perception”, “facial expression”, “prosody”, “theory of mind”, “mentalizing”, “empathy”. Risultati. Dall’analisi dei risultati emergerebbe complessivamente che pazienti con MDD in fase acuta di malattia differiscono dai controlli sani nel pattern di risposta neurale durante l’elaborazione delle emozioni. Nonostante alcuni studi dimostrino come tali anomalie tendano a normalizzarsi con la remissione sintomatologica, altri evidenziano la permanenza di tali alterazioni anche durante le fasi libere da malattia. Limiti. Le ricerche selezionate esplorano solo una componente della cognizione sociale e non tutti gli studi includono campioni di controllo. Conclusioni. I risultati neurobiologici supportano l’idea che deficit di comprensione emotiva possano essere considerati un elemento clinico rilevante nel modello di malattia dell’MDD, soprattutto nella sua dimensione interpersonale, offrendo possibilità di ricerca e integrazione per nuovi approcci terapeutici.

PAROLE CHIAVE: disturbo depressivo maggiore, elaborazione delle emozioni facciali, fMRI, cognizione sociale, eutimia, prosodia.


SUMMARY. Introduction. Major depressive disorder (MDD) is associated with a significant impairment of social and interpersonal functioning. Several neuroimaging studies have evaluated social cognition, i.e. how people with MDD process, store and analyze information about other people and social situations. Methods. We conducted a focused review and selected manuscript published until August 2016 indexed on PubMed and PsycINFO, searching for the following keywords: “major depressive disorder”, “major depression”, “unipolar depression”, “clinical depression”, “fMRI”, “emotion comprehension”, “emotion perception”, “affect comprehension”, “affect perception”, “facial expression”, “prosody”, “theory of mind”, “mentalizing”, “empathy”. Results. During depressive episodes, patients with MDD show a difference pattern of neural response during emotion processing, compared to healthy controls. Many studies show that those alterations disappear once the acute episodes remit. However, other studies show that the alterations may persist during remission periods. Limits. The studies evaluate only one component of social cognition and not all studies include a control group. Conclusions. Neurobiological research supports a role of social cognition deficits in MDD, especially for what pertains interpersonal functioning, this suggesting the need for further research and the possibility for treatment implications.

KEY WORDS: major depressive disorder, facial emotions, fMRI, social cognition.

INTRODUZIONE
Il funzionamento sociale e interpersonale è da sempre considerato uno dei domini clinici principali del disturbo depressivo maggiore (Major Depressive Disorder - MDD). La ricerca suggerisce che i pazienti affetti da MDD presentano compromissioni del funzionamento socio-cognitivo, in particolare nell’elaborazione delle emozioni facciali1,2 e nella teoria della mente (Theory of Mind - ToM)3,4. I risultati mostrano come l’MDD sia associato a pervasive alterazioni nella cognizione sociale, presenti soprattutto durante le fasi acute di malattia5, in particolare per quanto riguarda la comprensione emotiva. Più controversa è la questione riguardante presenza o gravità della compromissione delle abilità socio-cognitive durante le fasi interepisodiche del disturbo. Non è chiaro se tale compromissione sia da considerarsi esclusivamente come conseguenza delle fasi depressive né se esista una relazione con la gravità e la frequenza degli episodi. È possibile che una storia clinica più lunga e la conseguente compromissione a livello sociale e interpersonale possano condurre a un impoverimento generale delle funzioni metacognitive, ma è stato ipotizzato anche che sia proprio tale impoverimento a contribuire all’aumento del rischio di episodi depressivi più gravi 5, proponendo quindi per questa dimensione clinica un ruolo di variabile interdipendente. In letteratura, la cognizione sociale è stata concettualizzata come un ampio costrutto comprendente molte abilità tra le quali comprensione emotiva, percezione sociale, ToM, stile di attribuzione6 e, secondo alcuni autori, empatia7-12.
Come dimostrano i risultati di neuroimmagine, un complesso network di aree cerebrali implicate in processi cognitivo-affettivi13 costituisce la base neurale della cognizione sociale in soggetti sani14-21.
Basi neurali dell’elaborazione delle emozioni
Dagli studi che hanno confrontato soggetti sani e soggetti con specifiche lesioni neurologiche sappiamo che esiste un complesso network di aree cerebrali coinvolto nell’elaborazione delle emozioni facciali. Per quanto riguarda il riconoscimento delle emozioni e l’elaborazione di una risposta emotiva a uno stimolo, le aree cerebrali coinvolte sono amigdala, insula anteriore, corteccia orbito-frontale (OFC) e striato ventrale, mentre sono specificatamente reclutati nella percezione delle espressioni facciali anche giro fusiforme e solco temporale superiore 22. La corteccia cingolata anteriore (ACC) e le regioni corticali prefrontali sono centrali nella regolazione delle emozioni23,24. La corteccia prefrontale è coinvolta nella costruzione di strategie di reappraisal che possono modulare l’attivazione durante molteplici processi di elaborazione delle emozioni. La corteccia cingolata subgenuale anteriore (sgACC) è una regione della corteccia prefrontale orbitomediale (omPFC) implicata nella regolazione dell’umore e nell’elaborazione dell’informazione negativa autoriferita25-27. In particolare, recenti modelli teorici ipotizzano sia processi di regolazione emotiva di tipo top-down da parte delle regioni corticali prefrontali e della ACC, sia processi di regolazione e valutazione delle emozioni di tipo bottom-up da parte delle regioni limbiche e sottocorticali coinvolte nella valutazione e generazione di emozioni22,28,29. Inoltre, le strategie di ristrutturazione o di trasformazione del significato emozionale di un evento dipendono dall’attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC), implicata nella memoria di lavoro e nel controllo cognitivo30-32, mentre la corteccia prefrontale mediale (mPFC) risulta coinvolta nei processi di automonitoraggio32,33, inclusa la valutazione degli stati interni rispetto a stimoli esterni34. Queste osservazioni sostengono quindi la tesi di un’attività di modulazione sulle regioni subcorticali e limbiche da parte della corteccia prefrontale laterale (lPFC), della mPFC, della OFC e della corteccia cingolata dorsale anteriore22,32. Infine, il ruolo dell’amigdala risulta centrale nell’elaborazione automatica degli stimoli emotivamente salienti, incluse le emozioni espresse dai volti35-37, mentre nella valutazione approfondita del significato dello stimolo emotivo vengono coinvolte anche regioni paralimbiche e corticali38,39. Infatti è noto come la dlPFC sia attivata da compiti di elaborazione esplicita di emozioni più che implicita17.
L’articolo si pone l’obiettivo di esplorare la presenza di deficit di comprensione emotiva alla base della compromissione sociale e del funzionamento interpersonale in pazienti con MDD.
METODO
Gli studi selezionati per il lavoro sono stati individuati nella letteratura scientifica pubblicata fino ad agosto 2016 attraverso i siti PubMed e PsycINFO abbinando le parole: “major depressive disorder”, “major depression”, “unipolar depression”, “clinical depression”, “fMRI”, “emotion comprehension”, “emotion perception”, “affect comprehension”, “affect perception”, “facial expression”, “prosody”, “theory of mind”, “mentalizing”, “empathy”. Abbiamo selezionato, per il presente articolo, studi che hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per analizzare l’elaborazione delle emozioni; per la prosodia invece i paradigmi sono comportamentali.
RISULTATI
Dalla letteratura scientifica sono stati selezionati n. 67 studi nel rispetto dei criteri metodologici del presente lavoro.
Regioni neurali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni in pazienti con MDD
Fase depressiva
Studi di neuroimmagine suggeriscono che pazienti depressi in fase acuta di malattia mostrano attivazioni neurali nell’elaborazione di emozioni facciali, sia positive che negative, differenti rispetto ai controlli sani40-79. In una consistente review di studi fMRI, Delvecchio et al.63 evidenziano come pazienti con MDD mostrino un’aumentata attivazione nella parte destra del giro paraippocampale, fino all’amigdala, oltre a una diminuita attivazione nel putamen di destra e nella parte sinistra del caudato, evidenziando l’importanza del ruolo giocato dalle regioni dell’area limbica nella patofisiologia del disturbo63. Infatti, il giro paraippocampale e l’amigdala sono posti vicini l’uno all’altra e frequentemente si attivano insieme durante l’elaborazione delle emozioni80,81. Infine, durante l’esecuzione di compiti di elaborazione delle emozioni facciali, sono state evidenziate alterazioni a carico della connettività funzionale fra amigdala e cingolato subgenuale che avrebbero implicazioni nella valutazione della salienza e nella regolazione delle emozioni46,82, così come un’aumentata attivazione della porzione subgenuale della ACC54,56,58.
Per quanto riguarda le emozioni negative di paura, tristezza e disgusto, i pazienti MDD in fase attiva di malattia, confrontati con i controlli sani durante l’elaborazione di emozioni facciali velate40-43 ed esplicite44-48 mostrano un’aumentata attivazione dell’amigdala, dell’ippocampo, dello striato ventrale, delle cortecce orbitofrontali, orbitoprefrontali mediali e della corteccia anteriore temporale, regioni centrali nel processo di rappresentazione delle emozioni. L’aumentata attivazione dell’amigdala durante l’elaborazione di volti esprimenti paura è stata riscontrata anche in soggetti depressi non trattati farmacologicamente49-51 anche se la letteratura a tal proposito mostra risultati contraddittori. Arnone et al.52 hanno evidenziato come, durante un compito di elaborazione indiretta di emozioni facciali, i soggetti MDD in fase attiva di malattia mostrino un significativo aumento nell’attivazione dell’amigdala durante l’elaborazione di volti tristi ma non di quelli esprimenti paura. L’anomala attivazione dell’amigdala riscontrata nei depressi in fase attiva di malattia sembra normalizzarsi a seguito del trattamento con SSRI50,52. Alcuni autori suggeriscono che l’iperreattività dell’amigdala di fronte a stimoli negativi possa essere associata a bias negativi durante le fasi automatiche di elaborazione emotiva41,53, incluso il riconoscimento di emozioni facciali, specialmente di tristezza41. Nello specifico, un’iperreattività dell’amigdala potrebbe svolgere un ruolo nell’esordio e nel mantenimento del disturbo fin nelle fasi automatiche dell’elaborazione delle emozioni41. L’elaborazione emotiva negativamente distorta potrebbe rappresentare un elemento determinante per un decorso più lungo e grave della depressione, con l’iperresponsività dell’amigdala che ne costituisce il substrato neurologico corrispondente41. Fales et al.54 evidenziano come, durante un compito con un distrattore emozionale, pazienti con MDD mostrino un’aumentata attività dell’amigdala e falliscano nell’attivazione della dlPCF in risposta a volti spaventati; i controlli, invece, mostrano aumentata attivazione della dlPCF, ma nessuna differenza di attivazione nell’amigdala. Tali risultati sembrano in linea con le teorie sulla regolazione emotiva secondo le quali le regioni prefrontali, come la dlPFC, inibiscono l’attività delle regioni sottocorticali e corticali implicate nella valutazione delle emozioni e nei sistemi volti a generarle 28,29. Altri studi riscontrano una ridotta attivazione del giro temporale superiore in risposta a volti tristi e neutri60, della vmPFC e del giro cingolato anteriore di fronte a volti moderatamente arrabbiati83. Inoltre, in risposta alla presentazione di stimoli facciali negativi, pazienti con MDD in fase attiva di malattia confrontati ai controlli sani, mostrano una ridotta attivazione della dlPFC61,62 e della corteccia anteriore/mediale insulare (AMIC)55, la quale sembra giocare un ruolo di primo piano nell’elaborazione delle emozioni e nella patofisiologia del disturbo55.
Altri lavori scientifici si sono concentrati sull’analisi della connettività funzionale tra diverse aree cerebrali. Durante un compito di elaborazione di volti esprimenti tristezza e rabbia, Frodl et al.64 rilevano, in pazienti depressi non trattati, una ridotta connettività fra cingolato dorsale anteriore-precuneo, quest’ultimo implicato nelle rappresentazioni mentali riferite a sé, e la OFC, fra amigdala e OFC, fra amigdala e ACC e fra ACC e PFC69. La diminuita connettività fra il cingolato dorsale anteriore e la OFC potrebbe contribuire a un disfunzionale controllo cognitivo nell’elaborazione delle emozioni, mediato dalle regioni orbitofrontali8. Durante l’elaborazione di volti che esprimono paura è presente una ridotta connettività fra sgACC e amigdala65, fra sgACC e precuneo, insula e giro frontale mediale66, così come fra PFC rostrale sinistra e amigdala, anche in pazienti non trattati67. Non è stata invece riscontrata alcuna differenza significativa nella connettività fra vmPFC sinistra e amigdala, o fra sgACC e amigdala durante l’elaborazione di volti felici65. Inoltre, cronicità e ricorrenza della malattia risultano significativamente associate a una ridotta connettività funzionale fra amigdala e dlPFC durante la visione passiva di facce arrabbiate e tristi68. Al contrario, è stata evidenziata un’aumentata connettività funzionale tra OFC e dlPFC durante l’elaborazione di espressioni facciali negative, che potrebbe contribuire al bias di elaborazione delle emozioni negative tipico del disturbo64. Infine, un’aumentata connettività fra AMIC e giro fusiforme destro è stata trovata da Henje Blom et al.55, sempre in pazienti con MDD confrontati ai controlli sani, durante l’elaborazione di volti tristi, mentre è presente un’aumentata connettività funzionale fra sgACC e amigdala durante l’elaborazione implicita di volti spaventati66 e fra PFC e OFC sinistra durante l’elaborazione di emozioni facciali di tristezza e rabbia69. Per quanto riguarda le emozioni positive, in risposta a volti felici, Henje Blom et al.55, sempre confrontando pazienti con MDD e controlli sani, rilevano una ridotta attivazione del giro linguale destro, del giro fusiforme bilaterale e del declivio destro del cervelletto, nonché una maggiore attivazione del talamo destro. Alcuni studi, inoltre, evidenziano una diminuita attivazione dell’amigdala in risposta a stimoli positivi41,49,59 assente in condizione di bassa intensità emotiva49. Tale iporesponsività dell’amigdala a stimoli emotivi positivi potrebbe derivare da un diminuito coinvolgimento di risorse cognitive nell’elaborare tali stimoli41.
Riassumendo, i risultati degli studi esposti mostrano come nei pazienti depressi, a differenza del gruppo di controllo dei sani, sia presente una complessiva compromissione delle capacità d’identificazione ed elaborazione delle emozioni facciali (Tabella 1).
In linea con i risultati riassunti nella Tabella 1 appaiono anche quelli riportati da studi che hanno utilizzato paradigmi di stimolazione emotiva diversa dall’elaborazione emozionale facciale84-91 (Tabella 2).






Fase eutimica
I soggetti con MDD in fase di remissione, rispetto ai controlli sani, mostrano un’aumentata attivazione della dlPFC in risposta a facce spaventate, mentre per quanto riguarda i livelli di attivazione dell’amigdala non si evidenziano differenze92. Gli autori interpretano l’aumentato livello di attivazione della regione dorsolaterale prefrontale come un meccanismo di controllo corticale volto a compensare le alterazioni a carico delle regioni limbiche, compresa l’amigdala92. Al contrario, Victor et al.42 evidenziano un’aumentata risposta dell’amigdala durante l’elaborazione di volti che dissimulano tristezza e una diminuita attivazione nell’elaborare volti che dissimulano felicità. Nel confronto fra pazienti con MDD in fase attiva di malattia e quelli in remissione non emergono differenze significative nella risposta dell’amigdala in nessun tipo di compito42. Kerestes et al.93 rilevano come pazienti con MDD in remissione, confrontati con soggetti sani, mostrino una ridotta attivazione nella OFC sinistra e nella dlPFC se posti di fronte a volti impauriti rispetto a volti neutri. È interessante notare come vi sia una correlazione positiva fra la durata dell’eutimia e l’aumento dell’attivazione della dlPFC destra. Questi risultati supportano l’ipotesi di un’alterazione nel funzionamento nella OFC sinistra e della dlPFC nel rispondere a stimoli emozionali negativi in fase eutimica che potrebbe costituire un marcatore di tratto della patologia o addirittura rappresentare una vera e propria “cicatrice” dovuta ai precedenti episodi depressivi 93. Il recupero dell’equilibrio eutimico potrebbe inoltre essere associato a un maggiore funzionamento a scopo compensatorio da parte della dlPCF destra93. Jenkins et al.94 evidenziano, in soggetti depressi in remissione confrontati ai controlli sani, un’iperattivazione nelle regioni che includono il giro mediale temporale bilaterale e il giro frontale superiore sinistro.
Rispetto alla connettività funzionale, Goulden et al.95 hanno mostrato come soggetti depressi, non trattati e in remissione, presentino un’anomala modulazione della connettività frontotemporale in risposta a facce tristi e felici nonostante la normale attivazione in ogni singola regione neurale. In particolare, l’elaborazione dell’emozione di felicità, incongruente con lo stato dell’umore tipico della fase attiva di malattia, risulta associata a una maggiore modulazione del circuito frontotemporale, a differenza di quanto accade nell’elaborazione di emozioni “mood congruent” (volti tristi) associata, invece, a una minore modulazione di tale network. Nello specifico, nei soggetti sani, l’elaborazione di volti tristi è modulata in modo bidirezionale dalle connessioni tra amigdala e OFC, tra giro fusiforme e OFC, e l’elaborazione di volti felici in modo unidirezionale dalle connessioni fra giro fusiforme e OFC. Nei soggetti con MDD in remissione, invece, si osserva il processo opposto con l’elaborazione di volti felici modulata in modo bidirezionale dalle connessioni frontotemporali e quella di volti tristi in modo unidirezionale dal giro fusiforme alle connessioni orbitofrontali. Tali anomalie supporterebbero l’ipotesi di una disfunzione nelle connessioni corticolimbiche in individui vulnerabili alla depressione 95. Dagli studi sopra riportati, in linea anche con quanto osservato da Cusi et al.8, emergerebbe come talune anomalie, funzionali e strutturali, caratteristiche della fase depressiva, tendano, in diversi casi e con modalità talvolta differenti, a persistere anche in fase eutimica. Appaiono in linea con i precedenti risultati anche quelli di studi che hanno utilizzato altri paradigmi di stimolazione emotiva (per es., immagini cariche emotivamente, scene sociali a contenuto emotivo, ecc.)96,97 (Tabella 3).



Studi di resting state
Alcuni studi che hanno confrontato, attraverso l’fMRI, pazienti con MDD e controlli sani in condizioni di resting state, evidenziano, in pazienti con MDD, un incremento dell’attivazione nel lobo mediale occipitale sinistro, nel lobo parietale inferiore destro, nel precuneo destro e nella convoluzione sinistra98, nonché nel giro mediale frontale dorsale destro anche nel confronto con fratelli sani99. È da rilevare che sia soggetti con MDD sia i fratelli sani mostrano un incremento dell’attività nel giro mediale frontale sinistro rispetto al gruppo di controllo. Il fatto che sia i soggetti con MDD sia i fratelli sani mostrino un incremento dell’attività nel giro mediale frontale sinistro rispetto al gruppo di controllo porta a ritenere tale disfunzione un possibile tratto endofenotipico di vulnerabilità alla patologia99. L’alterazione nella parte destra del giro mediale frontale dorsale, presente solo nei soggetti depressi, potrebbe invece giocare un ruolo critico nella patogenesi della sintomatologia depressiva99 ed essere quindi considerato marcatore biologico di stato. Altri studi hanno evidenziato una ridotta attivazione nel giro paraippocampale sinistro, precentrale e postcentrale sinistro, nel cingolato sinistro98 così come nel giro linguale bilaterale99. Tadayonnejad et al.100 hanno riscontrato, in pazienti con MDD non trattati confrontati a un gruppo di controllo sano, anomalie nell’attivazione di alcune regioni coinvolte nel circuito che sottende l’affettività, come la via corticostriata motoria e senso-motoria, ravvisando inoltre una forte relazione positiva fra intensità sintomatologica e attivazione della ACC.
Anche per quanto riguarda la connettività funzionale, il confronto fra pazienti con MDD e controlli ha evidenziato specifiche alterazioni101-110.
Complessivamente, gli studi che hanno utilizzato paradigmi diversi da quello dell’elaborazione delle emozioni facciali, oppure che hanno analizzato le basi neurali del’MDD in situazioni di resting state, evidenziano anomalie nelle regioni fronto-limbiche le quali tendono a persistere anche dopo la remissione sintomatologica coerentemente con i risultati degli studi che si sono concentrati esclusivamente sull’elaborazione delle emozioni facciali.
Fattori in grado di influenzare il substrato neurale dell’elaborazione emotiva
Alcuni studi riportano come il livello di gravità della malattia sia negativamente associato con l’attivazione del giro fusiforme44,111, della ACC112 e generalmente associato all’attività dell’amigdala41,47 così come a un’alterata risposta nelle regioni prefrontali, cingolate, striatali e limbiche durante l’elaborazione di volti a contenuto emozionale negativo60. Studi di neuroimmagine sulla reattività dell’amigdala durante l’elaborazione di stimoli emotivi hanno prodotto risultati contrastanti41,53. Alcuni studi evidenziano come la connettività fra amigdala e dlPFC risulti significativamente associata alla gravità di malattia poiché pazienti MDD con ridotta connessione fra queste regioni sono caratterizzati da un più grave e pervasivo corso di malattia68. In linea anche Davey et al.102 evidenziano come la forza della connettività fra ACC e corteccia dorsomediale frontale correli positivamente con la gravità della malattia. Inoltre, anche studi su pazienti affetti da depressione cronica, confrontati con controlli sani113,114 o con soggetti al primo episodio di malattia5, non sembrano supportare l’ipotesi di un’associazione tra durata della storia clinica e maggiore deficit di mentalizzazione5,113,114. Il mancato riscontro di un’associazione fra gravità del disturbo e risposte neurali durante l’elaborazione delle emozioni facciali potrebbe essere un artefatto derivante dall’utilizzo di campioni poco numerosi e dal diverso grado di gravità dell’espressione psicopatologica40,53,115-117.
L’eventuale assunzione di farmaci può alterare i circuiti neurali sottostanti l’elaborazione delle emozioni tendendo a normalizzare i pattern neurali che ne stanno alla base42,50,52,118-121. In particolare, i risultati degli studi sulla connettività funzionale1 sembrano suggerire che il trattamento antidepressivo potrebbe attenuare l’iperattivazione in risposta a stimoli negativi e aumentare la salienza di quelli positivi, in accordo con l’evidenza per cui il trattamento antidepressivo può incidere nel correggere le distorsioni cognitive dei pazienti MDD durante l’elaborazione di stimoli emozionali123.
Il trattamento psicologico, così come quello farmacologico, può alterare i pattern di risposta neurale conseguenti all’elaborazione di stimoli emotivi in pazienti MDD. In particolare, Fu et al.124 riportano come un trattamento di psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) normalizzi l’iperattivazione dell’amigdala e dell’ippocampo tipiche in pazienti MDD durante l’elaborazione di volti felici. È stato inoltre evidenziato come un’elevata attivazione della ACC dorsale, coinvolta nel controllo cognitivo, sia associata alla risposta al trattamento CBT124,125.
La presenza di disturbi in comorbilità, inclusi quelli dello spettro ansioso126,127 potrebbe giocare un ruolo sull’attivazione neurale evidenziata durante l’elaborazione delle emozioni in pazienti MDD. Per tale motivo alcuni studi hanno escluso pazienti con diagnosi psichiatriche in comorbilità, compresi i disturbi d’ansia46,52,54,64,66,67,69,82,87,97,108,111,122,124,128, tuttavia altri studi, indagando la comorbilità fra disturbi d’ansia e depressione, non evidenziano differenze significative41.
Basi neurali del riconoscimento emotivo nella prosodia in pazienti MDD
Si ritiene che alla base della prosodia vi sia un circuito neurale situato prevalentemente nella regione temporale superiore destra129-132 mentre le regioni posteriori del solco temporale destro superiore sembrano coinvolte nel processo di rappresentazione di significato di quanto udito133,134. La valutazione del contenuto emotivo della prosodia sembra invece mediata dalla corteccia frontale inferiore bilaterale131,132,135.
Soggetti con MDD mostrano difficoltà nel riconoscimento delle emozioni prosodiche135,136 similmente a quanto avviene nell’elaborazione delle emozioni facciali; è stata riscontrata una distorsione nell’interpretare emozioni neutre (per es., di sorpresa) come se fossero negative137,138 , nonché difficoltà nell’identificare il tono di emozioni a valenza sia positiva che negativa139-142.
DISCUSSIONE
La compromissione del funzionamento sociale e interpersonale, uno dei principali domini clinici del MDD, sembrerebbe almeno in parte riconducibile a un’alterazione della cognizione sociale, come dimostrato dalle anomalie nell’attivazione neurale osservate nei pazienti MDD durante l’esecuzione di compiti di comprensione emotiva. Complessivamente gli studi di neuroimmagine mostrano una serie di alterazioni nell’attivazione e nella connettività di regioni sia sottocorticali che corticali. Mentre le interazioni anomale tra regioni sottocorticali, limbiche e prefrontali ventrali si assocerebbero ad alterazioni a carico dei processi d’identificazione e percezione delle emozioni osservate, quelle tra la corteccia cingolata dorsale anteriore (dACC) e le regioni prefrontali dorsolaterali si assocerebbero ad alterazioni nella regolazione delle emozioni e di altre funzioni cognitive di livello superiore, suscettibili di significativi cambiamenti a seconda della valenza emozionale (positiva/negativa) dello stimolo affettivo 8. Tali risultati tendono a evidenziare la presenza di una ridotta capacità di regolazione da parte delle strutture corticali su quelle limbiche (top-down) implicate nei processi di riconoscimento e rielaborazione emotiva durante compiti di riconoscimento delle emozioni facciali, sia positive che negative, così come in altri paradigmi di stimolazione emotiva. Anche a livello di connettività funzionale i risultati supportano l’ipotesi di una disfunzione nelle connessioni cortico-limbiche in individui vulnerabili alla depressione 8,95.
I risultati sono sostanzialmente confermati anche da diversi studi su campioni di adolescenti e bambini con MDD51,55,60,66,87,90,101,105 oltre che da molti altri studi non selezionati nel presente lavoro per la scelta dei criteri utilizzati. Per esempio, alcuni lavori evidenziano, in soggetti con MDD in fase depressiva, bias cognitivi negativi durante compiti di elaborazione delle emozioni76,78,137,143-152.
Dall’analisi della letteratura emerge inoltre, in pazienti MDD, una disregolazione di tipo bottom-up, che si esprime soprattutto attraverso un’iperattivazione dell’amigdala nel riconoscimento della tristezza, effetto definito mood congruent o, in soggetti con disturbo depressivo di grado moderato e grave, nell’erronea valutazione di espressioni neutre come tristi153-155. Tale tendenza risulta inoltre associata a un bias attenzionale, cioè un’amplificata attenzione selettiva rispetto alle emozioni di tristezza72,148,156-158 e rabbia159. Anche altre emozioni sembrano disregolate, per esempio il senso di colpa tende a persistere anche dopo la remissione sintomatologica, così come l’autosvalutazione160,161. Tuttavia, un piccolo numero di studi ha trovato anche un’ipoattività nell’amigdala in risposta a stimoli facciali positivi88,162.
Un’altra conferma all’effetto mood congruent arriva da alcuni studi sulla prosodia140,141 i quali evidenziano come pazienti MDD, confrontati ai controlli sani, sottovalutino l’intensità della valenza emotiva di stimoli positivi pronunciati con tono di felicità e mostrino un’attenuata elaborazione delle informazioni a carattere positivo, sia per quanto riguarda il canale verbale che non verbale141. Tali risultati potrebbero indicare che i pazienti MDD siano caratterizzati da una difficoltà nell’elaborare stimoli positivi piuttosto che negativi141. Tutto ciò è in linea con la già evidenziata minore capacità di elaborare emozioni facciali positive, tanto più consistente quanto meno le espressioni facciali sono marcate, unitamente a un bias mood congruent di elaborazione delle emozioni negative. Tale mood congruity effect può essere considerato a tutti gli effetti come un meccanismo di amplificazione e mantenimento di un episodio di malattia nel MDD158. Per esempio, un soggetto in fase depressiva tenderà ad avere una maggior capacità di identificare e presenterà una maggiore risonanza emotiva verso la tristezza espressa nei volti delle persone, cosa che contribuirà quindi ad aumentare d’intensità e di durata il proprio vissuto di tristezza. Tale iper-responsività, peraltro, non potrà essere opportunamente modulata in seguito a controlli cognitivi discendenti, come dimostrato dalla ridotta attivazione corticale e di connettività fronto-limbica.
L’alterata connettività dell’amigdala162 con le regioni ventro-mediali rappresenta il substrato neurobiologico del complesso processo psicopatologico che in letteratura prende il nome di bias negativo32,54,163. L’associazione tra ricerca automatica di stimoli di tristezza e maggiore risonanza emotiva verso questa emozione, e in particolar modo verso le espressioni facciali, potrebbe giocare un ruolo nello scatenare gli episodi, ma anche nella loro amplificazione e durata, tanto che qualche autore l’ha proposta quale possibile “marcatore di tratto” per la vulnerabilità al MDD, in accordo con il modello cognitivo della depressione164.
In letteratura risulta come, generalmente, le anomalie funzionali e strutturali precedentemente descritte tendano a normalizzarsi nei pazienti MDD in fase eutimica8,160,161; tuttavia, recenti studi evidenziano come anche tale fase possa essere caratterizzata da residuali anomalie a carico delle regioni neurali tipicamente coinvolte nell’elaborazione delle emozioni42,92,93,95,97,128,165. In particolare, Kerestes et al.93 hanno ipotizzato una relazione positiva fra la durata dell’eutimia e l’aumento dell’attivazione nella dlPFC destra, supportando l’ipotesi di un’alterazione nel funzionamento della OFC sinistra e della dlPFC nel rispondere a stimoli emozionali negativi in fase eutimica; il recupero potrebbe inoltre essere associato a un maggiore funzionamento a scopo compensatorio da parte della dlPCF destra. Infatti, pazienti con MDD in remissione sembrerebbero capaci di utilizzare la dlPFC e il cingolato dorsale anteriore per controllare l’attivazione dell’amigdala e delle regioni a essa collegate, in particolar modo in risposta a stimoli emozionali negativi 93. Tali risultati hanno un’implicazione clinica, oltre che per l’identificazione di marcatori di tratto del disturbo, anche riguardo l’identificazione dei meccanismi che contribuiscono alla remissione93 poiché la dlPFC e la OFC sono implicate nella regolazione delle emozioni e nei processi cognitivi di ordine superiore, quali il controllo cognitivo e le funzioni esecutive.
Le alterazioni funzionali evidenti in corso di episodio di malattia e in fase eutimica vengono normalizzate grazie al trattamento antidepressivo42,45,50,52 e psicoterapeutico con CBT125. Complessivamente i dati sembrano suggerire che alcune alterazioni tendano talvolta a permanere, in particolare a carico della reattività delle strutture sottocorticali (cognitive vulnerability)163 ma che tuttavia possano, in molti casi, essere modulate da meccanismi di ipercompenso discendenti corticali, tanto più efficienti quanto più ci si allontana dall’episodio di malattia. Tali alterazioni non sembrerebbero quindi interpretabili quali meri effetti degli episodi di malattia sul funzionamento mentale. I meccanismi di compenso sopra riportati non sembrano ugualmente efficaci in tutti i pazienti, per esempio ci potremmo aspettare che pazienti con episodi depressivi ricorrenti non raggiungano stabilmente buoni livelli di efficacia 8. L’ipotesi secondo cui esisterebbero alterazioni neurofunzionali che caratterizzano una vulnerabilità di fondo, piuttosto che essere l’effetto degli episodi di malattia, sembra confermata da Liu et al.99 i quali hanno evidenziato come, anche in situazione di resting state, non solo soggetti con MDD, ma anche i loro fratelli sani, mostrino un’incrementata attivazione del giro mediale frontale sinistro non riscontrabile nel gruppo di controllo, concludendo come tale disfunzione possa rappresentare un tratto endofenotipico di vulnerabilità alla patologia.
In conclusione, dai risultati degli studi presi in esame emergono alterazioni neurobiologiche, funzionali e strutturali, che si esprimono a livello fenomenologico in termini di compromissione nella comprensione delle emozioni e sotto forma di tendenza a interpretare eventi a valenza neutra o positiva in chiave negativa. Tali disfunzioni dei processi mentali, fondamentali nella capacità metacognitiva166,167 e nella gestione delle dinamiche interpersonali, sono verosimilmente alla base dei deficit della cognizione sociale normalmente riscontrabili in pazienti MDD. È altresì probabile che tale inclinazione a interpretare negativamente emozioni ed eventi esterni, a partire dalla prima infanzia, rappresenti a sua volta un elemento di vulnerabilità capace di influire negativamente sul decorso di malattia, favorendo l’insorgenza di nuovi episodi in età adulta, come ipotizzato da Beck 163 a proposito del concetto di cognitive vulnerability.
Sarebbe auspicabile che venisse ulteriormente approfondito lo studio della relazione fra le alterazioni neurobiologiche e comportamentali inerenti la cognizione sociale e la funzione metacognitiva nel MDD, anche in considerazione del fatto che sia i trattamenti psicofarmacologici sia la CBT sembrano esercitare effetti di normalizzazione sui circuiti neurali coinvolti nell’elaborazione delle emozioni42,45,50,52,125,168. Nello specifico, mentre un trattamento con terapia farmacologica appare attenuare i livelli di attivazione nelle regioni prefrontali e sottocorticali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, la CBT sembra aumentare i livelli di attivazione neurale nelle regioni associate alla regolazione emotiva e all’elaborazione cognitiva di livello superiore8. Poiché il nostro lavoro si è focalizzato principalmente sull’elaborazione delle emozioni, in futuro sarebbe auspicabile approfondire il ruolo di altre variabili della cognizione sociale, tra cui la ToM169, l’empatia170,171 e la funzione dei neuroni specchio172,173.
LIMITI DELLO STUDIO
Occorre essere cauti nell’interpretazione dei risultati presentati poiché, sebbene mostrino una certa coerenza e una buona relazione con le osservazioni cliniche, diverse variabili potrebbero spiegare le differenze di attivazione neurale riscontrate. I risultati sono inoltre sostanzialmente riferibili alla sola comprensione emotiva e quindi parzialmente generalizzabili a compiti molto più complessi come metacognizione e capacità di mentalizzazione. Non è inoltre chiaro il rapporto tra durata o numero di episodi di malattia nel MDD ed effetti sull’attivazione delle reti neurali 8,93,111 nonché dell’intensità sintomatologica110 sulla capacità di mentalizzazione. Alcuni studi su depressi cronici non sembrano supportare l’ipotesi di un’associazione tra durata della storia clinica e deficit di mentalizzazione113,114; inoltre i meccanismi attraverso i quali la terapia farmacologica e la psicoterapia influenzano i diversi circuiti neurali restano ancora in parte da chiarire.
Un altro limite riguarda l’impatto della comorbilità sull’attivazione neurale, in particolar modo dell’amigdala, durante l’elaborazione delle emozioni: molti studi non hanno ritenuto di isolare tale variabile e quelli che l’hanno indagata non hanno riscontrato sostanziali differenze41. Inoltre, gli studi esaminati non avevano una dimensione del campione equiparabile: alcuni includevano un numero più consistente di soggetti52,94 mentre altri campioni molto più ridotti40,91.
Infine, la complessità dei compiti presentati potrebbe influire sulla performance soprattutto in situazioni caratterizzate da un maggiore carico di malattia e/o elevati livelli di gravità sintomatologica8. La complessità ed eterogeneità dei compiti potrebbe spiegare parte delle differenze riscontrate per cui potrebbe essere utile aumentare la gamma di emozioni esaminate per meglio comprenderne i processi di elaborazione anche se, con l’aumento di tale complessità, c’è il rischio di coinvolgimento di altre regioni neurali, in particolare quelle collegate alla ToM, che ne renderebbe complessa, e da approfondire, la differenziazione174.
CONCLUSIONI
È auspicabile che future linee di ricerca diagnostica e terapeutica tengano in considerazione le alterazioni metacognitive e il loro substrato neurobiologico come elementi importanti alla base della cognizione sociale di pazienti MDD.
Complessivamente i dati emersi dall’analisi della letteratura sembrano supportare l’ipotesi di un ruolo psicopatologico svolto dal deficit di comprensione emotiva nel complesso modello di malattia per il MDD, offrendo la possibilità di approfondire la ricerca, anche pensando a possibili integrazioni dal punto di vista psicoterapeutico potenzialmente utili nel migliorare il funzionamento sociale dei pazienti MDD. Tale deficit rappresenta uno degli elementi chiave sottesi alla ben più complessa alterazione della comprensione sociale tipica del disturbo.
Promettenti evidenze iniziali circa le potenzialità della terapia farmacologica e della psicoterapia nel rendere in parte reversibili, a livello di funzionamento neuronale, questi aspetti disfunzionali, siano essi di stato o di tratto, rappresentano una stimolante prospettiva per la ricerca futura.

Conflitto di interesse: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interesse.
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