Il suicidio del medico: studio di un campione italiano

The physician’s suicide: study of an Italian sample


LILIANA LORETTU1*, Stefano ROSSO1, Irma DAGA1, CRISTIANO DEPALMAS1, PAOLO MILIA1,
ALESSANDRA NIVOLI
1

*E-mail: llorettu@uniss.it


1Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Sperimentali, Università di Sassari, AOU Sassari


RIASSUNTO. Scopo. L’obiettivo di questo studio è esaminare una casistica di suicidi di medici italiani; confrontare i dati ottenuti sul campione di medici italiani con quelli della popolazione generale e con quelli sul suicidio del medico forniti dalla letteratura al fine di rilevare eventuali differenze poi applicabili direttamente in raccomandazioni preventive. Metodi. È stato effettuato un esame retrospettivo di 60 suicidi di medici, dal 2009 al 2019, in Italia. Risultati. Nel campione in studio prevale il genere maschile (77%, 46 casi) e la fascia d’età tra i 50 e i 69 anni (42 casi, 70%). La maggior parte dei sucidi è avvenuto nel Nord Italia (50%, 30 casi). Tra i casi di cui è nota la specializzazione, il 26% (14 casi) riguarda medici di medicina generale, il restante 74% (39 casi) medici specializzati, con una prevalenza di anestesisti (9%, 5 casi), ematologi (8%, 4 casi), pediatri (6%, 3 casi), psichiatri (6%, 3 casi) e oncologi (6%, 3 casi). Per ciò che concerne il metodo del suicidio, il più utilizzato è la precipitazione (16 casi, 30%), seguito dall’avvelenamento/overdose (13 casi, 24%), arma da fuoco (10 casi, 19%), soffocamento/impiccagione (10 casi, 19%) e ferite autoindotte (4 casi, 8%). Il luogo più frequente del suicidio è in 35 casi la casa (59%), in 11 l’ospedale (18%), un altro luogo nei restanti 14 (23%). Sono stati studiati, ove presenti e riportati, eventuali altri fattori di rischio e condizioni predisponenti al suicidio, che sono stati distinti in cinque categorie: depressione/patologia psichiatrica: riportata in 16 casi (28%); altra malattia organica: riportata in 5 casi (8%); problemi correlati al lavoro (stress, burn-out, mobbing, problemi giudiziari correlati al lavoro): riportati in 12 casi (20%); problemi giudiziari non correlati con la professione medica: riportati in 5 casi (8%); problemi familiari e relazionali: riportati in 7 casi (12%). Conclusioni. Il campione non mette in luce differenze significative nei fattori di rischio rispetto ai dati della letteratura per i medici dei paesi occidentali, valgono pertanto le stesse raccomandazioni preventive con alcune precisazioni.


PAROLE CHIAVE: suicidio del medico, salute mentale del medico, burn-out, fattori di rischio.



SUMMARY. Objective. The main objective of the present study is to examine a number of suicides among Italian doctors. We further compared data from our sample with those of suicide in the general population and in the literature, in order to detect any differences that can provide preventive recommendations. Methods. This is a retrospective study of 60 suicides committed by doctors from 2009 to 2019, in Italy. Results. The sample was constituted mainly by men (77%, 46 cases) aged between 50 and 69 years (70%, n=42). Most of the suicides took place in Northern Italy (50%, n=30). Among known medical specialization, 26% (n=14) concerned general practitioners, the remaining 74% (n=39) were specialized doctors, with a prevalence of anesthetists (9%, n=5), haematologists (8 %, n=4), pediatricians (6%, n=3), psychiatrists (6%, n=3) and oncologists (6%, n=3). Regarding the suicide method, the most used was precipitation (30%, n=16), followed by poisoning/overdose (24%, n=13), firearm (19%, n=10), suffocation/hanging (19%, n=10) and self-induced injuries (8%, n=4)). The most frequent place of suicide is in 35 cases was at home (59%), followed by the hospital (18%; n=11), or others (23%; n=14). When possible, any reported risk factors and predisposing conditions for suicide were studied, and divided into five categories: depression/psychiatric pathology (28%, n=16); other organic disease (8%, n=5); work-related problems (stress, burn-out, mobbing, work-related judicial problems) (20%, n=12); judicial problems unrelated to the medical profession (8%, n=5); family and relationship problems (12%, n=7). Conclusions. The risk factors for suicide in our sample of doctors overlap with data from literature for doctors in western countries. Clinical recommendations and prevention strategies for suicide risk are therefore similar.


KEY WORDS: physician suicide, physician mental health, burnout, risk factors.


INTRODUZIONE

La letteratura indica che il suicidio è un rischio occupazionale per il medico1,2. La meta-analisi di Schernahammer indicava come risultato un rischio relativo di morte per suicidio nei medici maschi di 1,41 e nei medici donne di 2,27. La nuova meta-analisi di Duarte mette in luce una riduzione del rischio relativo di suicidio nei medici dal 1980 a oggi, con un rischio relativo significativamente maggiore nei medici donne rispetto alle donne della popolazione generale (1,46) e un rischio relativo significativamente inferiore nei medici maschi rispetto ai maschi della popolazione generale (0,67). Per quanto concerne i metodi utilizzati, secondo alcuni studi l’arma da fuoco, l’avvelenamento e ferite autoindotte sono i mezzi di suicidio più utilizzati fra i medici. Le armi da fuoco rimangono il mezzo più comune tra i medici, così come tra i non medici, tuttavia tra i medici l’avvelenamento e le ferite autoindotte sono mezzi più frequenti che tra i non medici3.

La letteratura sul suicidio del medico presenta numerosi limiti metodologici, spesso riflesso di un fenomeno che non si lascia comprendere facilmente sotto nessun punto di vista, compreso quello della statistica. Lo studio di Gold et al.3 è basato sul National Violent Death Reporting System, un database con informazioni e dettagli su morti violente in cui alcune variabili dipendono dall’interpretazione data da chi ha estratto i dati dai rapporti delle forze dell’ordine e dagli esami tossicologici; è presente una sottostima della prevalenza della reale incidenza della malattia mentale, della depressione e delle circostanze precipitanti, in quanto evidentemente i pazienti non possono essere interrogati sull’anamnesi. La sottostima è sicuramente influenzata anche dalla stigmatizzazione della malattia, che porta i medici a nascondere la malattia mentale, ad autoprescriversi farmaci e a ricercare prescrizioni per vie non convenzionali; i dati post mortem non permettono la certezza su un nesso causale; i dati tossicologici non forniscono informazioni sulla quantità, ma solo sulla presenza, rendendo impossibile determinare se si tratti di uso ricreazionale o ingestione a scopo letale; il database presuppone che le vittime con malattie mentali fossero tutte sotto trattamento e quindi non permette di verificare quanto sia l’impatto delle cure come fattore protettivo; sono classificati senza distinzioni tra i farmaci psichiatrici anche farmaci di uso comune per terapie antalgiche o insonnia; le caratteristiche del campione lo rendono per molti aspetti rappresentativo di un’area geografica specifica, ad esempio i dati sul mezzo suicidario non possono essere applicati a zone in cui le armi da fuoco non sono comunemente diffuse come negli Stati Uniti.

La letteratura offre numerose indicazioni per quanto concerne i fattori di rischio per il suicidio nei medici (ove non diversamente specificato, si fa riferimento allo studio di Gold et al.3). Recenti studi sottolineano che l’ideazione suicidaria inizia già durante gli studi universitari4. L’attività lavorativa (burn out, mobbing, richiami disciplinari) è fattore di rischio5.

Per quanto riguarda i disturbi psichiatrici e l’abuso di sostanze non è stata rilevata una differenza sostanziale in merito alla presenza di disturbi psichiatrici tra i medici rispetto alle altre occupazioni (46% vs 41%), né di umore depresso (42% vs 39%). La depressione è comune nei medici, come nella popolazione generale, l’unica differenza è l’esordio più tardivo nei medici6. Nei medici sono meno frequenti storie di abuso di alcol o dipendenza da sostanze d’abuso (14% vs 23%), mentre sono più frequenti l’uso di antipsicotici, benzodiazepine, barbiturici. Nessuna differenza significativa è stata rilevata per l’uso di antidepressivi, oppioidi, anfetamine, cocaina. La maggior probabilità di soffrire di una malattia mentale non è proporzionata con un maggior trattamento con antidepressivi. Tuttavia un importante limite evidenziato nello studio3 è la carenza di studi in letteratura sulla prevalenza di disturbi psichiatrici tra i medici.

La presenza di una problematica lavorativa è un fattore di rischio più frequente tra i medici, il lutto complicato per la morte di un familiare o una persona cara è più frequente tra i non medici3.

Per quanto concerne l’età, la letteratura segnala nei medici un’età media superiore rispetto ai non medici. Il dato che i medici suicidi sono risultati più spesso sposati (il matrimonio è fattore protettivo per il suicidio nella popolazione generale) è risultato complicato da interpretare. Coppie giovani sembrano avere un aumentato rischio, mentre alcuni studi suggeriscono come il matrimonio sia protettivo per gli uomini, ma non per le donne. Comunque ci sono dati che dimostrano che per pazienti psichiatrici di altre categorie lavorative ad alto reddito, con formazione universitaria, l’essere sposati è un fattore di rischio per il suicidio. In aggiunta, i medici divorziano meno rispetto ai non medici, per cui hanno una maggiore probabilità di essere sposati al momento del suicidio3.

Di maggior importanza sono i problemi strettamente correlati al lavoro. L’identità del medico spesso si incentra così tanto sul ruolo e sulla realizzazione professionale da esserne fortemente dipendente3. Alcuni studi hanno notato una correlazione tra problematiche lavorative (richieste oppressive dei pazienti, conflitti di ruolo, mancanza di controllo sulle condizioni lavorative, molestie o condizioni degradanti, conflitti tra colleghi, burnout, richiami disciplinari per errori medici) e l’aumento del rischio suicidario. Anche il pensionamento è stato proposto come una possibile condizione di “perdita di ruolo” e quindi fattore di rischio per l’ideazione suicidaria, anche se risulta difficile da indagare statisticamente3. Per quanto riguarda la specializzazione, la letteratura suggerisce come gli anestesisti e gli psichiatri abbiano un rischio di suicidio aumentato, anche se gli studi mostrano forti limiti metodologici2,6. Gli anestesisti hanno un rischio maggiore di sviluppare dipendenza da sostanze d’abuso rispetto ai colleghi delle altre specializzazioni7. Gli psichiatri hanno un rischio maggiore di sviluppare “distress mentale”, malattia mentale e burnout rispetto alle altre categorie mediche; viene descritto inoltre negli psichiatri un “disturbo emotivo” causato dal suicidio dei loro pazienti8.

Alcuni studi mostrano come per i medici il suicidio sia un problema più complesso anche per quanto riguarda la ricerca di una soluzione alternativa6. La diagnosi di un disturbo mentale nei medici è ostacolata dalla sua stigmatizzazione tra gli stessi e dalla loro riluttanza a cercare aiuto e cure: solo la metà dei medici cercherebbe aiuto e chiederebbe un trattamento ai colleghi qualora sviluppasse una malattia mentale; un terzo dei medici è concorde sull’opinione che «bisognerebbe evitare di diventare depressi»9-12. Molti medici descrivono come sia complicato proteggere la confidenzialità riguardo i propri problemi di salute mentale, dovendo spesso cercare cure all’esterno della propria comunità medica o evitarla del tutto. Medici con disturbi psichiatrici vanno spesso incontro a discriminazioni più o meno palesi riguardo a licenze mediche, privilegi, assicurazione sanitaria e assicurazione lavorativa. Tra i medici trattati per suicidalità la qualità del trattamento può essere compromessa dal rapporto col terapeuta-collega e dalla deferenza del medico curante verso il “collega-paziente”, lasciato spesso troppo libero di controllare modalità e andamento della terapia6.

Attraverso un’analisi retrospettiva abbiamo tentato di esplorare le caratteristiche principali dei casi di suicidio del medico avvenuti in Italia negli ultimi 10 anni e confrontarle con i dati di letteratura.

MATERIALI E METODI

È stato effettuato un esame retrospettivo di 60 suicidi di medici, dal 2009 al 2019, in Italia. I dati raccolti vengono presentati secondo il criterio descrittivo delle caratteristiche sociodemografiche delle vittime, dei dettagli sulle modalità di suicidio, più una raccolta di informazioni, ove presenti, su fattori di rischio e condizioni predisponenti. Sono stati consultati i database PubMed per ottenere i dati più recenti della letteratura sul fenomeno del suicidio in generale e sul suicidio del medico in particolare; i database ISTAT per ottenere i dati più aggiornati riguardanti il fenomeno del suicidio nella popolazione generale italiana; è stata contattata la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) e consultato il Ministero della Salute per recuperare informazioni statistiche utili sulla professione del medico in Italia.

RISULTATI

Il 77% del campione di medici suicidi è di genere maschile (46 casi), mentre il 23% (14 casi) è di genere femminile. Per quanto riguarda l’età, la maggior parte appartiene alla fascia tra i 50 e i 69 anni (42 casi, 70%). In merito alla distribuzione geografica si evidenzia che il 50% (30 casi) dei suicidi è avvenuto nel Nord Italia, il 20% (12 casi) nel Centro Italia, il 30% (18 casi) nel Sud e Isole (Tabella 1).





Tra i casi di cui è nota la specializzazione, il 26% (14 casi) riguarda medici di medicina generale, il restante 74% (39 casi) medici specializzati, con una prevalenza di anestesisti (9%, 5 casi), ematologi (8%, 4 casi), pediatri (6%, 3 casi), psichiatri (6%, 3 casi) e oncologi (6%, 3 casi) (Tabella 2).




Per ciò che concerne il metodo del suicidio, il più utilizzato è la precipitazione (16 casi, 30%), seguito dall’avvelenamento/overdose (13 casi, 24%), arma da fuoco (10 casi, 19%), soffocamento/impiccagione (10 casi, 19%) e ferite autoindotte (4 casi, 8%). Il luogo più frequente del suicidio è la casa, 35 casi (59%); l’ospedale in 11 casi (18%); un altro luogo nei restanti 14 casi (23%). Eventuali fattori di rischio e condizioni predisponenti al suicidio, ove riportati, sono stati distinti in cinque categorie: presenza di depressione/patologia psichiatrica: 16 casi (28%); malattia organica 5 casi (8%); problemi correlati al lavoro (stress, burn-out, mobbing, problemi giudiziari correlati al lavoro) 12 casi (20%); problemi giudiziari non correlati con la professione medica 5 casi (8%); problemi familiari e relazionali 7 casi (12%) (Tabella 3).




Materiali e METODI

È stato effettuato un esame retrospettivo di 60 suicidi di medici, dal 2009 al 2019, in Italia. I dati raccolti vengono presentati secondo il criterio descrittivo delle caratteristiche sociodemografiche delle vittime, dei dettagli sulle modalità di suicidio, più una raccolta di informazioni, ove presenti, su fattori di rischio e condizioni predisponenti. Sono stati consultati i database PubMed per ottenere i dati più recenti della letteratura sul fenomeno del suicidio in generale e sul suicidio del medico in particolare; i database ISTAT per ottenere i dati più aggiornati riguardanti il fenomeno del suicidio nella popolazione generale italiana; è stata contattata la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) e consultato il Ministero della Salute per recuperare informazioni statistiche utili sulla professione del medico in Italia.

DISCUSSIONE

Il tasso di suicidi in Italia è di circa 7 per 100.000 abitanti. I medici iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, secondo i dati aggiornati al 6 aprile 2020, sono 385.299, per il 66% uomini e il 34% donne. Supponendo che valga anche per l’Italia il rischio relativo indicato in letteratura2, in Italia dovrebbero suicidarsi circa 25 medici ogni anno e il presente studio analizzerebbe quindi un campione rappresentante il 24% dei casi totali attesi.

Una prima riflessione concerne il sesso. Il genere maschile è ampiamente rappresentato nel campione, il dato non si discosta dall’epidemiologia del suicidio nella popolazione generale. La letteratura indica, infatti, per la popolazione generale il sesso maschile come fattore di rischio per il suicidio e dimostra come il tasso di suicidi tra i maschi sia 4 volte quello tra le femmine. In realtà la situazione dovrebbe essere capovolta studiando il fenomeno del suicidio tra i medici, in quanto sui grandi numeri il sesso maschile è risultato più protetto, con un rischio relativo appunto addirittura inferiore a 1 secondo una recentissima rassegna sistematica2. Le percentuali del nostro studio però non sorprendono, alla luce della preponderante componente maschile tra i medici italiani, in particolare nelle fasce d’età in cui è risultato più frequente il suicidio (i medici iscritti all’Ordine nella fascia d’età più a rischio di suicidio, cioè tra i 50 e i 70 anni, sono 111.768 maschi e 74.367 femmine, quindi per il 60% maschi e per il 40% femmine). Si potrebbe ipotizzare che in Italia non si verifichi il capovolgimento, per la professione medica, del rischio suicidario tra i due sessi rispetto alla popolazione generale; tuttavia le numerose variabili coinvolte e l’esiguità del campione dello studio non permette di affermarlo con sicurezza.

Per quanto concerne l’età, il campione conferma che l’età avanzata è un fattore di rischio di suicidio anche tra i medici. L’età media dei casi è in linea con quella indicata dalla letteratura per il suicidio del medico (59±16 per i maschi, 47±17 per le femmine secondo Gold et al.3); nel campione in esame 56,9 nei maschi, 45,7 nelle femmine.

I dati sulla distribuzione geografica del campione, corretti per il numero dei medici iscritti in un ordine provinciale di ciascuna delle 3 aree, conferma anche per i medici i tassi di suicidio della popolazione generale, quindi una maggiore frequenza al Nord, a seguire al Centro e poi nel Sud e Isole.

Per quanto concerne la specializzazione, il campione mette in luce la nettissima prevalenza dei medici di medicina generale. In Italia si tratta della specializzazione medica preponderante, quindi i numeri sono sotto quel punto di vista proporzionati; nonostante questo appare evidente un rischio suicidario aumentato in questa categoria. Risulta difficile confrontare, in ogni caso, i numeri del campione con i dati ancor più carenti della letteratura, che tra l’altro prendono in considerazione sistemi sanitari di Stati organizzati in modo diverso dal nostro. Però, quel poco su cui la letteratura “si sbilancia”, ovvero un rischio aumentato in anestesisti e psichiatri, appare, nonostante tutti i limiti confermato anche dall’esiguo campione italiano.

Nel campione oggetto di studio la modalità di suicidio più utilizzata è la precipitazione (30%, 16 casi); dato curioso, perché non è al primo posto né tra i mezzi utilizzati nella popolazione generale italiana (in cui comunque è al secondo posto), né tra quelli indicati dalla letteratura sul suicidio del medico. Al secondo posto l’avvelenamento/overdose (24%, 13 casi) ricalca quasi perfettamente la percentuale indicata in letteratura (23,5%), superando di molto il dato del 6% nella popolazione generale italiana; in merito verosimilmente giocano un ruolo importante la maggior disponibilità di farmaci e la conoscenza di dosi ed effetti tossici. In molti casi non è specificata la sostanza utilizzata, però in 2 casi è precisato l’utilizzo di un’iniezione letale di cloruro di potassio (un medico di medicina generale e un gastroenterologo), barbiturici e superalcolici (in un caso riguardante uno psichiatra), un’iniezione di cianuro (per un oncologo) e un’overdose da digitalici (per un cardiochirurgo). In 5 casi sui 13, quindi nel 38% dei casi di avvelenamento/overdose, l’iniezione o comunque l’assunzione è avvenuta in ospedale (nel proprio ufficio o in bagno).

Le armi da fuoco risultano al terzo posto (19%, 10 casi), allo stesso posto in classifica tra i mezzi suicidari utilizzati nella popolazione generale in Italia. Il dato si discosta dai dati di letteratura che, tuttavia, essendo prevalentemente basata su studi americani, risulta influenzata dalla nota maggior disponibilità del mezzo rispetto ai paesi europei, inclusa l’Italia.

In quasi tutti i casi di ferite autoindotte (3 su 4) il mezzo utilizzato è stato il bisturi, strumento facilmente a disposizione per il medico.

Un dato emerso dal campione che merita sicuramente attenzione, e che purtroppo non ha termini di confronto perché non indagato in letteratura, è il luogo del suicidio, avvenuto in un ben 18% dei casi (11) sul luogo di lavoro, l’ospedale o lo studio medico.

La carenza di informazioni sulle altre condizioni predisponenti è probabilmente il più importante degli innegabili limiti del presente studio.

In ogni caso, la condizione più frequentemente riscontrata è la patologia psichiatrica (16 casi); in particolare la depressione è riportata in 14 casi (20%) e in altri due è riportata una diagnosi certa di “sindrome suicidaria” e “patologica ideazione autosoppressiva”. Questo elemento conferma i dati della letteratura, che riconosce alla patologia mentale un ruolo importante tra i fattori di rischio. Il rischio di suicidio, secondo la letteratura, è esponenzialmente aumentato (42 volte) in chi ha in anamnesi un precedente tentativo di suicidio, dato rilevato in 3 casi (5%).

In 5 casi è stato riscontrata la presenza di un importante problema di salute diverso dalla patologia psichiatrica, in particolare: in 1 caso convalescenza dopo un intervento importante, in 1 caso un ricovero in ospedale (il paziente scompare dall’ospedale in cui era ricoverato), in 2 casi malattie croniche, in 1 caso la recente diagnosi di una malattia incurabile (il medico si getta dal 10° piano dell’ospedale appena ricevuta la triste notizia).

In 2 casi (3%) è presente storia familiare di suicidio: in un caso il figlio, nell’altro il fratello (quest’ultimo, tra l’altro, nello stesso luogo).

In 3 casi (5%) è presente un lutto recente; in 2 di questi, in realtà, si tratta di doppio suicidio (in un caso il figlio un anno e mezzo prima, nell’altro il suicidio della compagna del medico è stato scoperto dallo stesso poco prima che compiesse a sua volta lo stesso gesto).

Dimostrano un ruolo rilevante anche nel campione dello studio i problemi correlati al lavoro (20% dei casi): 4 casi di stress lavoro-correlato, 1 caso di burnout, 1 caso di mobbing da parte dei colleghi, una non meglio precisata “delusione lavorativa”; in 5 casi problemi giudiziari correlati al lavoro (accuse di assenteismo, truffa, esercizio abusivo, abuso d’ufficio, malasanità, reati contro la pubblica amministrazione e abuso sui minori – quest’ultimo per un pediatra).

In 3 casi sono stati riportati problemi giudiziari non correlati direttamente al lavoro: 1 caso di condanna per violenza sessuale, 1 caso di suicidio il giorno prima del processo che vedeva il medico imputato per omicidio colposo, in 1 caso il medico era coinvolto in più inchieste giudiziarie.

Sono stati riscontrati 3 casi (5%) di omicidio-suicidio: in un caso il medico ha soffocato la moglie e sparato al figlio di 4 anni prima di suicidarsi; in un altro caso il medico ha sparato alla moglie e poi si è suicidato; in un terzo particolare caso una dottoressa si è suicidata dopo aver sparato al cuore a bruciapelo al marito, costretto su una carrozzella da un ictus.

In un caso particolare un medico, il cui figlio farmacista era stato accusato di traffici di farmaci antitumorali, si è suicidato lasciando un messaggio contro la magistratura.

Tra i 9 casi (15%) catalogati con “problemi familiari e relazionali”, infine, rientrano situazioni in realtà abbastanza differenti: in 3 casi un generico “problemi familiari”, in 2 casi “solitudine”, 3 casi di delusione amorosa (in due giovani specializzande e un giovane medico), in un caso particolare un grave problema di salute in un familiare (il terzo caso di omicidio-suicidio sopra descritto).

Infine, l’assenza di problemi strettamente economici tra i fattori di rischio del suicidio del medico, come riportato in letteratura, è confermata anche dal campione in studio (è riportato un solo caso particolare e sicuramente outlier di una dottoressa di origini straniere il cui titolo, peraltro, non era stato riconosciuto in Italia).

In conclusione, il presente studio condotto su un campione di medici italiani suicidati dal 2009 al 2019 ha confermato in linea generale i dati della letteratura internazionale, con le dovute precisazioni.

CONCLUSIONI

Nella Tabella 4 si riassume il profilo del medico ad alto rischio di suicidio: nella colonna di sinistra è riportato un riassunto dei dati della letteratura (riedizione di un box contenuto nell’articolo di Center et al.)6 e gli stessi dati sono confrontati con quanto rilevato per i medici italiani alla luce dei risultati del presente studio (quando non sono state rilevate differenze sono state unite le due colonne).




Il presente lavoro ha importanti limiti. Un primo limite è costituito dalla esiguità del campione, che tuttavia rappresenta quello che è ufficialmente riportato, ma che è anche indicatore di un numero oscuro di casi non ufficializzati.

Un altro limite è costituito dalla esiguità delle informazioni raccolte e della loro fonte, che non permettono uno studio completo di tutti i possibili fattori di rischio per la suicidalità dei medici in Italia. Rappresenta a ogni modo per il nostro Paese un primo tentativo di studio di un fenomeno molto complesso e difficile da indagare. Questo e i futuri studi che saranno ancora necessari per approfondire il tema dovrebbero essere in grado di apportare beneficialità alla salute mentale del medico. Considerato che la letteratura indica un rischio maggiore per le donne e che la professione del medico si sta femminilizzando, potrebbe essere utile porre maggiore attenzione nel prossimo futuro alla qualità delle condizioni lavorative delle colleghe.

Al momento valgono anche per i medici italiani e il SSN le raccomandazioni preventive scaturite dagli studi internazionali6:

1. Per i medici:

• imparare a riconoscere la depressione e il rischio suicidario in loro stessi e istruire studenti di medicina e specializzandi a fare altrettanto;

• stabilire contatti costanti con forme di assistenza sanitaria preventiva per disturbi dell’umore, abuso di sostanze e/o rischio suicidario;

• informarsi sulle forme di tutela della confidenzialità sulle informazioni sul proprio stato di salute e disabilità.

2. Per il SSN:

• operare screening di routine sulla qualità delle condizioni lavorative e sullo stato di salute mentale dei propri dipendenti, implementando gli screening sulla depressione e, quando questa è sospetta, indagare sempre sull’ideazione suicidaria;

• istituire iniziative di educazione sanitaria e promozione alla salute più marcatamente incentrate sulla salute mentale, con lo scopo primario non scontato di eradicazione dello stigma della malattia mentale anche dai medici e da tutto il personale sanitario, prima ancora che dai pazienti.


Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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