Emergenza covid-19 e telemedicina: intervento psicoeducativo multifamiliare in contesto forense

Marco Lombardi1, Roberta Ortenzi1,2, Jessica Sanna1, Martina Pecorari1, Maria Chiara Scenti1, Cristina Iannini1, Brunella Lagrotteria1-3, Cristina Mancini1, Giovanna Paoletti1, Giuseppe Nicolò1,2,4

1Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche ASL Roma 5; 2Scuola di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (APC) Roma; 3Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva Roma; 4Scuola Italiana Cognitivismo Clinico (SICC) Roma.

Riassunto. Scopo. Lo scopo del lavoro è descrivere l’intervento psicoeducativo multifamiliare svolto presso la REMS “Castore” della ASL Roma 5 in remoto durante l’emergenza sanitaria da covid-19. Metodi. I modelli teorici utilizzati sono stati l’intervento psicoeducativo integrato di Falloon e l’intervento psicoeducativo multifamiliare basato sul problem solving di Veltro. l’intervento psicoeducativo multifamiliare è stato effettuato da giugno ad agosto 2020, per 8 incontri settimanali della durata di 90 minuti, condotti da due tecnici della riabilitazione psichiatrica e da altre figure professionali. Il campione oggetto di studio era costituito da 6 famiglie. L’assessment per i familiari ha previsto: questionario sui problemi familiari, Brief-COPE, questionario sulla salute in generale; agli utenti è stato somministrato The Level of Expressed Emotion Scale per la valutazione dell’emotività espressa. Risultati. L’analisi dei dati ha evidenziato un basso livello di carico soggettivo e oggettivo dei familiari, e una percezione molto alta di essere supportati dal servizio REMS. Ha rilevato, inoltre, stili di coping orientati alla ricerca di soluzioni pratiche e all’accettazione degli eventi e una modalità di comunicazione assertiva. Discussione. Il basso carico soggettivo e oggettivo si può ascrivere alle condizioni di sicurezza implicite all’internamento in REMS e all’assenza di incombenze svolte per lo più dagli operatori. Il ricorso a coping pratici più che emotivi suggerisce un ipercontrollo emotivo o la percezione di uno stigma, con tendenza alla chiusura e isolamento. Conclusione. L’intervento psicoeducativo multifamiliare ha permesso l’instaurarsi di una relazione di fiducia con l’équipe. Le famiglie coinvolte non avevano beneficiato in passato di altri interventi psicoeducativi; emerge, dunque, la necessità di un coinvolgimento precoce nel processo di cura come possibile strumento di prevenzione e gestione delle ricadute e della recidiva di reato.

Parole chiave. Covid-19, intervento psicoeducativo multifamiliare, psichiatria forense, REMS, telemedicina.

Covid-19 emergency and telemedicine: multifamily psychoeducational intervention in a forensic setting.

Summary. Aim. The aim is to describe remote multifamily psychoeducational intervention led by REMS “Castore” team (an Italian health care facility for offenders who suffer from mental disorders and socially dangerous) in ASL Roma 5, a local health authority, during covid-19 emergency. Methods. The applied theoretical models have been the integrated psychoeducational intervention by I. Falloon and the multifamily psychoeducational intervention based on problem solving by F. Veltro. The multifamily psychoeducational intervention was attempted by inpatients’ relatives from June to August 2020 with 8 weekly meetings of 90’ each led by two psychiatric rehabilitation therapists and healthcare experts. Six families were involved in the study and its members were assessed by questionnaire on family problems, Brief-COPE and general health questionnaire tests. Users were assessed by Level of Expressed Emotion Scale test for their expressed emotion. Results. Data analysis highlighted the general low level of subjective and objective burden for family members in association with a high perception of that support provided by REMS. Furthermore, the study has shown those coping approaches oriented to the research of practical solutions, acceptance of events and assertive communication. Discussion. The low subjective and objective burden may be attributed to implicit security conditions in REMS and the absence of tasks mainly carried out by experts. Those coping styles oriented to more practical than emotional approaches suggest an emotional hyper control or stigma perception leading to isolation and loneliness. Conclusions. The multifamily psychoeducational intervention has allowed a trustworthy relationship with REMS. Considering that the families involved in the study have never benefited by other psychoeducational interventions before, their early involvement appears to be a potential tool for preventing and managing crisis as well as minimizing recidivism.

Key words. Covid-19, forensic psychiatry, multifamily psychoeducational intervention, REMS, telemedicine.

Introduzione

La legge 81/2014, che ha portato a conclusione il processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, ha decretato che la presa in carico dei pazienti psichiatrici autori di reato è di piena competenza dei dipartimenti di salute mentale attraverso l’attuazione di progetti di cura e riabilitazione individuali1.

Le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), all’interno della rete dei servizi territoriali per la salute mentale, rappresentano le strutture residenziali sanitarie per il trattamento di pazienti psichiatrici autori di reato in misura di sicurezza detentiva. Tali strutture erogano, quindi, trattamenti intensivi e integrati per pazienti psichiatrici ad alto carico assistenziale, modulando le esigenze di cura della persona con le esigenze generali di sicurezza legate alla cornice giudiziaria.

Il percorso terapeutico, dunque, attraverso obiettivi clinici, psicoterapici e riabilitativi ha la peculiare esigenza di modificare nel breve e medio termine i possibili fattori di rischio psicopatologici, comportamentali e ambientali alla base delle condotte criminose del paziente, al fine di ridurre o abolire il rischio di recidiva di reato e violenza.

Gli interventi psicosociali per pazienti psichiatrici autori di reato hanno come obiettivo prioritario l’apprendimento e l’incremento di comportamenti adattivi e strategie di coping per lo sviluppo di capacità di autodeterminazione e problem solving, regolazione delle emozioni e controllo degli impulsi, gestione delle relazioni interpersonali e dei ruoli sociali2. Il potenziamento del funzionamento personale e sociale del paziente, associato a una stabilizzazione clinica sostenuta da una adeguata consapevolezza di malattia e aderenza al trattamento terapeutico, rappresentano i presupposti necessari per il reinserimento nell’ambiente familiare e sociale di appartenenza come fine ultimo del processo di cura3.

La REMS “Castore” del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze Patologiche della ASL Roma 5 è stata attivata il 01 luglio 2015 al fine di ospitare 20 pazienti psichiatrici autori di reato, di sesso maschile, residenti nella Regione Lazio, il cui ricovero viene disposto dall’autorità giudiziaria a seguito dell’applicazione di una misura di sicurezza detentiva.

Scopo

Lo scopo del presente lavoro è descrivere l’intervento psicoeducativo multifamiliare effettuato presso la REMS “Castore”, in modalità a distanza attraverso piattaforma digitale a seguito del primo lockdown per l’emergenza sanitaria legata alla pandemia da covid-19.

Quest’ultima ha imposto importanti cambiamenti organizzativi, assistenziali, culturali e professionali nei servizi sanitari, inclusi i servizi di salute mentale, al fine di evitare e contenere il rischio di infezione4. Nella REMS “Castore” le misure adottate hanno previsto: la riorganizzazione di tutte le attività quotidiane in base al principio del distanziamento sociale, il blocco di tutte le attività terapeutico-riabilitative esterne, il blocco dei permessi e delle visite familiari con la necessità di incrementare modalità di comunicazione “in remoto”.

Queste limitazioni hanno impattato con quelle preesistenti legate al contesto forense, amplificando, sia nei pazienti sia nei familiari, lo stress e la sofferenza legati alla lontananza e all’impossibilità di contatti dal vivo.

Materiali e metodi

La cornice teorica dell’intervento psicoeducativo multifamiliare fa riferimento al modello stress-vulnerabilità secondo il quale l’insorgenza dei sintomi del disturbo mentale a cui una persona è predisposta si ha nel momento in cui eventi di vita stressanti impattano su una vulnerabilità psicobiologica, superando la soglia di adattamento biopsicosociale propria della persona5. Il modello di riferimento utilizzato è stato l’intervento psicoeducativo integrato di Ian Falloon elaborato negli anni ’80 del secolo scorso6 e ripreso da Franco Veltro, intorno al 2010, per l’elaborazione dell’intervento psicoeducativo multifamiliare basato sul problem solving7.

Carico familiare, emotività espressa e strategie di coping

Le evidenze scientifiche internazionali, nel corso degli anni, hanno ampiamente dimostrato l’influenza dell’ambiente familiare sul decorso clinico dei disturbi mentali gravi8-10 e, nello specifico della psichiatria forense, le caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale di appartenenza, associate al tipo, livello e grado di accettazione del rientro del soggetto nell’ambiente in cui viveva prima del reato, rappresentavano importanti indicatori esterni di valutazione del livello di pericolosità sociale11.

Con l’entrata in vigore della legge 81/2014 (art. 1, comma 1, lett. b), tuttavia, non ha più alcuna rilevanza, ai fini della valutazione della pericolosità sociale, l’assenza di legami con la famiglia o di una rete sociale valida, onde evitare il rischio di applicare una misura di sicurezza a un soggetto solo sulla base della marginalità sociale in cui versa e non sulle effettive difficoltà psichiche di cui soffre. Ciononostante resta imprescindibile la valutazione di tali aspetti ai fini del progetto terapeutico riabilitativo e di un futuro reinserimento territoriale.

Numerosi studi hanno dimostrato come i familiari di persone che sviluppano un disturbo psichiatrico sperimentino un senso di carico, stress, ansia, depressione, bassa qualità della vita, ridotto supporto sociale e problemi economici12.

L’entità delle problematiche di ordine psicologico, principalmente disturbi d’ansia e dell’umore, risulta essere elevata e può riguardare genitori, fratelli, figli e nipoti. Una percentuale stimata tra il 20% e il 50% dei caregiver di pazienti con patologia psichiatrica presenta sintomi depressivi13; i genitori di pazienti affetti da schizofrenia presentano un rischio fino a 2,7 volte maggiore di dover ricorrere ad assistenza psichiatrica specialistica o prestazioni di supporto sociale al fine di arginare le conseguenze legate al carico assistenziale di un familiare malato14.

Essi, inoltre, possono riferire la percezione di scarsa salute fisica (65,5%), insonnia (53,1%), cefalea (44,2%) ed estrema stanchezza (56,2%). Alcune problematiche risultano essere significativamente più presenti nei familiari di persone con patologia psichiatrica grave rispetto ai membri di famiglie in cui non è presente una patologia psichiatrica, come per esempio problemi del sonno (42,7% vs 28,5%), dolore (39,7% vs 30,4%), cefalea (48% vs 42%) e bruciore di stomaco (31,7% vs 22,9%)13.

L’impatto socioeconomico della malattia mentale si traduce in difficoltà nelle relazioni sociali, scarsa coesione familiare e un ambiente familiare teso. Le difficoltà finanziarie sono dovute ai costi relativi all’assistenza e al trattamento, a minore capacità produttiva, tale che circa 2/3 dei caregiver riporta difficoltà in ambito lavorativo15, e a costi secondari alla malattia13.

I familiari di persone con disturbi psicotici e/o disturbo bipolare riferiscono, dunque, di essere socialmente più isolati, di avere una qualità di vita ridotta e di essere più inclini a condizioni di stress psicosociale e patologia mentale rispetto a familiari di persone con altri disturbi o familiari di persone sane16.

I costrutti di carico familiare17 e di emotività familiare espressa18 costituiscono, dunque, indici rappresentativi del livello di stress familiare quale fattore di rilevanza clinica. L’insieme delle difficoltà pratiche e psicologiche legate alla convivenza e assistenza di un congiunto affetto da patologia psichiatrica prende il nome di “carico familiare”, che può essere distinto in due dimensioni: carico familiare oggettivo (comprende conseguenze pratiche come difficoltà economiche e lavorative, limitazioni nelle relazioni sociali e nella vita familiare, riduzione del tempo libero e difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane) e carico familiare soggettivo (insieme delle conseguenze psicologiche come sentimenti di angoscia e colpa, tristezza, ansia, rabbia, rifiuto e dolore). Livelli elevati di carico familiare sono associati, oltre che a una prognosi peggiore, anche a senso di colpa e conseguenze negative del disturbo percepite dai pazienti e dai familiari. Ciò comporta una notevole riduzione della loro qualità di vita, un maggior numero di ricadute, una maggiore incidenza di disturbi fisici e psicologici dei familiari19. La letteratura ha evidenziato, inoltre, quanto il carico percepito sia strettamente correlato alla presenza di un’alta emotività espressa, quale insieme delle risposte emotive e comportamentali messe in atto nei confronti di un familiare affetto da patologia psichiatrica. L’emotività espressa rappresenta quindi un indicatore del clima emotivo che si genera rispetto all’individuo malato e può essere descritta da cinque dimensioni: scale di rischio (critica, ostilità, ipercoinvolgimento emotivo) e scale di protezione (calore affettivo, commenti positivi). L’alta emotività espressa si riferisce alle famiglie in cui la presenza di stress, determinato dalla patologia di un congiunto, porta a tentativi di coping maladattivi caratterizzati da interazioni disfunzionali; al contrario, una bassa emotività espressa è ascrivibile a una predisposizione alla tolleranza e al supporto, nonché ad aspettative realistiche verso il familiare malato; ciò contribuisce alla creazione di un ambiente protettivo rispetto al decorso della malattia18. Nello specifico, le strategie di coping sono l’insieme dei comportamenti messi in atto per far fronte, tollerare o ridurre le situazioni stressanti che influiscono sulle relazioni familiari e sul decorso del disturbo. Secondo Lazarus e Folkman (1984) le strategie di coping possono essere distinte in problem-oriented ed emotion-focused. Le strategie problem-oriented comprendono le soluzioni pratiche messe in atto per risolvere il problema che genera stress, per es. ricerca di informazioni sul disturbo, comunicazione positiva col paziente, ricerca di supporto da parte di amici, impegno in attività ricreative e di svago. Le strategie emotion-focused includono, invece, le strategie emotive, come per esempio evitamento, collusione, rassegnazione e coercizione, messe in atto per gestire la reazione alla malattia20.

Lo scenario della REMS “Castore”

Se quanto detto vale per i familiari di utenti psichiatrici, ancora più rilevante diventa per i familiari di utenti forensi che, oltre alla patologia, si trovano a dover sostenere anche il peso del percorso giuridico del proprio caro e a doversi confrontare con la lontananza fisica dovuta all’internamento in REMS.

È possibile ipotizzare che le famiglie di pazienti autori di reato presentino livelli importanti di emotività espressa, tali da generare spirali comunicative caratterizzate da atteggiamenti ostili, ipercriticismo o aggressività verbale che possono aumentare impulsività e aggressività nel paziente.

Si evidenzia che gran parte dei reati commessi dai pazienti forensi avviene all’interno dell’ambiente familiare in misura tale che circa il 45,1% delle vittime dei 730 pazienti psichiatrici ricoverati nelle REMS italiane nel periodo tra giugno 2017 e giugno 2018 è costituito da membri del nucleo familiare21. Come si evince dalla figura 1, inoltre, sul campione totale di 79 pazienti ricoverati presso la REMS “Castore” nel periodo compreso tra luglio 2015 e dicembre 2020, il 25% ha commesso reati contro la famiglia (art. 575-623 CP) configurandosi, nella totalità dei casi, come maltrattamenti in famiglia (art. 572 CP). Allo stesso modo, nel 32% dei reati contro la persona (art. 556-574 CP) se ne evidenziano 11 rivolti contro i propri familiari, da atti persecutori a omicidio nei casi più gravi (figura 1).




Studi recenti condotti in Nord America, Europa e Australia hanno dimostrato, ancora, che i pazienti psichiatrici forensi sono tra i più aggressivi della popolazione psichiatrica complessiva, in una percentuale compresa tra il 45,6% (atti aggressivi in strutture forensi ad alta sicurezza) e il 21,3% (atti aggressivi in strutture della salute mentale generiche)22.

È bene sottolineare, tuttavia, che per quanto riguarda i suddetti reati contro la famiglia (nello specifico “maltrattamenti in famiglia”), questi non siano sempre e solamente ascrivibili alle implicazioni riguardanti gli stili comunicativi disfunzionali tra i membri della stessa, e quindi ad alti livelli possibili di emotività espressa. Il 75% dei pazienti psichiatrici autori di reato ricoverati presso la REMS “Castore”, infatti, risulta anche un regolare utilizzatore di sostanze; questo suggerisce che le condotte criminose possano essere anche riferibili ad agiti mirati al reperimento dei mezzi necessari alla reiterazione dell’abuso protratto nel tempo, come per esempio furti in casa, estorsioni, minacce, ecc.

Ancora, è possibile ipotizzare che i familiari possano sentirsi spesso inermi e privi delle giuste risorse o strumenti per affrontare tali problematiche; conseguentemente, l’attivazione di un iter giuridico può diventare l’unica risposta per porre fine all’escalation di aggressività, al fine di tutelare se stessi e la persona cara. Seppur nel breve termine questa scelta possa rivelarsi efficace, col passare del tempo le famiglie iniziano a sperimentare sentimenti di colpa, tristezza e impotenza, a preoccuparsi per la compromissione della relazione con il proprio caro e a temere il momento in cui si ricongiungeranno.

Risulta evidente, pertanto, la necessità di rendere la famiglia un valido supporto, nonché parte attiva del progetto di cura del paziente che dovrà proseguire anche una volta dimesso e reinserito nel territorio di appartenenza. A tal proposito, si rende ulteriormente necessario fornire gli strumenti utili a potenziare i rapporti tra famiglia e servizi di salute mentale territoriali, rendendo più agevoli le dinamiche di interazione con gli stessi e garantendo percorsi di cura alternativi, ove possibile, all’attivazione in extrema ratio di un iter giuridico.

La necessità, dunque, di attivare un Gruppo psicoeducativo multifamiliare in REMS è frutto delle riflessioni finora esposte e ha rappresentato una prio-
rità rispetto alla necessità di superare le problematiche che, in passato, ne hanno impedito la realizzazione. Le difficoltà emerse hanno riguardato, da una parte, la distanza della REMS dai luoghi di residenza dei familiari e le problematiche pratiche legate a una partecipazione dal vivo e protratta nel tempo; dall’altra, la necessità del rispetto della privacy del paziente e dei familiari riguardo la trattazione di informazioni di tipo clinico e giuridico.

Inoltre, laddove siano i familiari a denunciare, si generano nel paziente vissuti di ostilità, rivalsa o abbandono nei loro confronti; allo stesso modo il familiare è portatore di vissuti di paura, rabbia e senso di colpa nei confronti del paziente. È emersa la necessità, pertanto, di instaurare primariamente un’alleanza terapeutica con il paziente e i suoi familiari, necessaria ad affrontare tali peculiari vissuti.

Altro aspetto, infine, è stato una possibile sovrapposizione con ambiti di competenza propri del Centro di Salute Mentale (CSM), al quale non si ha la pretesa di volersi sostituire. A una ulteriore riflessione, tuttavia, tale aspetto è risultato privo di fondamento e, anzi, la partecipazione dei familiari a un intervento psicoeducativo durante l’internamento del proprio congiunto può essere utile per la futura presa in carico del paziente e dei familiari da parte del CSM.

Interventi psicoeducativi multifamiliari

Gli interventi psicoeducativi rivolti ai familiari di persone affette da patologia psichiatrica rappresentano un intervento di comprovata efficacia scientifica (EBM) nella cura e riabilitazione dei disturbi mentali gravi23. La letteratura scientifica elaborata negli anni24-26 ha evidenziato come la psicoeducazione familiare sia in grado di migliorare il decorso della malattia, diminuendo il numero di recidive e ospedalizzazioni, aumentare il grado di conoscenza della malattia, ridurre l’emotività espressa e il carico familiare, migliorare la qualità di vita e la rete sociale del paziente e della famiglia.

I principali modelli di psicoeducazione familiare sono stati elaborati a partire dagli anni ’70 del secolo scorso27-29 come possibile intervento per il trattamento della schizofrenia e una delle prime definizioni di psicoeducazione familiare elaborata in quel periodo la descrive come «un intervento terapeutico che comprende sia l’uso di programmi e materiali informativi sulla malattia e i sintomi, sia l’approccio didattico per insegnare strategie che migliorino le competenze della famiglia nella gestione dello stress. Lo scopo è migliorare la qualità di vita di ciascuno, creando un ambiente familiare temporaneo a bassa intensità, che diminuisca la probabilità di stress e/o recidive ripetute per il paziente, senza aumentare il peso sofferto dalla famiglia»30.

Tale definizione riconosce l’importanza del carico familiare e dell’emotività espressa come fattori in grado di influenzare il decorso della patologia psichiatrica, ma soprattutto specifica come l’intervento psicoeducativo debba essere un intervento combinato per la famiglia di tipo “informativo”, chiarificatore sulla patologia, e di tipo “pratico/esperienziale”, di insegnamento di abilità di coping utili nella quotidianità.

Le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomandano gli interventi per le singole famiglie e/o per gruppi di famiglie come parte integrante del processo terapeutico per i disturbi mentali gravi (esordi psicotici, psicosi e psicosi complesse, disturbo bipolare)31. Gli interventi per le famiglie dovrebbero avere una durata dai 3 mesi a 1 anno, includere almeno 10 incontri, tenere conto della preferenza della famiglia a partecipare a gruppi unifamiliari o multifamiliari, tenere conto del grado di parentela tra il caregiver principale e il paziente, prevedere sedute informative sul disturbo e il trattamento, sedute di problem solving e di gestione della crisi32.

Campione

Il campione oggetto dell’intervento è costituito da 6 famiglie per un totale di 11 familiari (5 genitori, 3 sorelle e 3 fratelli) con età media di 51 anni (ds 10,28) e scolarità di 12,37 (ds 3,20). Nessun familiare aveva mai effettuato interventi psicoeducativi, o di altro tipo, presso i CSM di riferimento del paziente, nonostante la lunga storia di malattia.

Data la natura e modalità dell’intervento psicoeducativo multifamiliare non è stato possibile riferirsi a criteri specifici di inclusione; previo contatto telefonico sono stati inclusi, pertanto, coloro nella possibilità di aderivi in termini di motivazione, tempo e disponibilità di ausili elettronici (connessione internet, dispositivi informatici, dimestichezza con piattaforma Zoom o Skype).

Sulla base della raccolta dati, non sono stati evidenziati drop out.

Tutti i familiari hanno partecipato costantemente alle sedute previste dall’intervento proposto; soltanto due hanno riportato un’assenza.

Gli utenti coinvolti hanno un’età media di 43 anni (ds 7,6) e una scolarità di 8,8 (ds 2,9); l’applicazione della misura di sicurezza che ha disposto l’internamento in REMS riguarda reati contro la famiglia (n. 1), contro la persona (n.3) e contro il patrimonio (n. 1).

Rispetto alle diagnosi il campione è composto da 3 disturbi di personalità antisociale, un disturbo schizoaffettivo, un disturbo borderline e una psicosi non altrimenti specificata (NAS).

Strumenti di valutazione

L’intervento psicoeducativo multifamiliare prevedeva, previo consenso informato, la compilazione di strumenti standardizzati self-report pre- e post-intervento33-36 (tabella 1);




dopo una più ampia riflessione, tuttavia, si è ritenuta più opportuna l’ipotesi di ripetere l’assessment alla dimissione del paziente dalla REMS, ai fini di verificarne l’effettiva efficacia, non altrimenti rilevabile in un contesto in cui i fruitori dell’intervento (pazienti e rispettivi familiari) non hanno la possibilità di incontrarsi in maniera continuativa nel tempo e, di conseguenza, di sperimentare quanto appreso.

Agli utenti è stato somministrato un unico questionario self-report, la Level of Expressed Emotion Scale (LEES), per la valutazione dell’emotività familiare espressa percepita dal soggetto nei confronti del familiare di riferimento, nelle dimensioni di intrusività, risposta emotiva verso la malattia, atteggiamento verso la malattia, tolleranza/aspettativa. Tale strumento si compone di 60 item con risposta dicotomica (V/F)37 (tabella 1).

Struttura dell’intervento

L’intervento psicoeducativo multifamiliare è stato effettuato da giugno ad agosto 2020, attraverso 8 incontri settimanali, della durata di circa 90 minuti, condotti da due tecnici della riabilitazione psichiatrica coadiuvati da uno psicologo, un assistente sociale e un collaboratore professionale sanitario infermiere.

Data l’eterogeneità diagnostica del campione si è ritenuto opportuno effettuare la prima seduta di presentazione dell’intervento e altre tre sedute (disturbo e trattamento, segni precoci di crisi, accesso ai servizi territoriali) in un setting unifamiliare.

Le tematiche riguardanti trasversalmente tutti i familiari sono state trattate, invece, in un setting multifamiliare, favorendo la condivisione di vissuti simili e la possibilità di reciproco apprendimento.

La struttura dell’intervento e i contenuti delle singole sedute sono riportati nella tabella 2 e 3.







Risultati

Le figure 2 e 3 riportano i risultati ottenuti dai familiari al questionario sui problemi familiari e al Brief-COPE.

Contrariamente a quanto ipotizzabile, emerge un basso livello di carico soggettivo, oggettivo e di comportamenti critici verso il paziente. Alta la percezione di essere supportati dalla struttura REMS.

Rispetto alle strategie di coping si rilevano prevalentemente stili orientati alla ricerca di soluzioni pratiche e all’accettazione degli eventi. Meno rappresentati appaiono gli stili emotivi. Non si evidenziano, infine, gli stili disfunzionali come il disimpegno comportamentale e l’uso di sostanze, mentre appaiono rappresentati l’autoaccusa e la negazione (figura 2 e 3).







I risultati ottenuti al questionario sugli stili comunicativi evidenziano una modalità di comunicazione prevalentemente assertiva (punteggio medio di 7,62) rispetto a quella aggressiva (punteggio medio di 5,62) e passiva (punteggio medio di 3,62)

Il questionario sulla salute in generale, infine, rileva che la maggior parte dei familiari (9/11) vive una situazione stressante; soltanto uno di grave stress e soltanto uno riferisce assenza di stress.

Per quanto riguarda il campione di utenti, i risultati alla LEES (figura 4) evidenziano bassi livelli di emotività espressa, in particolare nelle dimensioni risposta emotiva verso la malattia e atteggiamento verso la malattia. Si rilevano punteggi lievemente più alti nelle dimensioni intrusività e tolleranza/aspettativa (figura 4).

Discussioni

I pazienti psichiatrici autori di reato rappresentano una popolazione estremamente complessa ed eterogenea. La ricerca nel campo della psichiatria forense ha evidenziato come tale condizione possa avere un notevole impatto sulle famiglie, che risultano esposte a un maggiore grado di carico rispetto a familiari di pazienti non forensi38.

Una recente revisione della letteratura39 sottolinea come i familiari possano manifestare, riguardo l’internamento di un proprio caro, emozioni ambivalenti e spesso contrastanti tra di loro. Infatti, se l’angoscia associata a rabbia, delusione, frustrazione e senso di colpa risulta essere lo stato emotivo più frequentemente descritto, alcuni familiari sperimentano anche sentimenti di sollievo e speranza per il fatto che il proprio caro sia in un luogo sicuro, con la possibilità di condividere con gli operatori sanitari il carico dell’assistenza.

I sentimenti di sollievo, talvolta, possono essere accompagnati anche da sentimenti di gratitudine, quando i familiari hanno la percezione di essere riconosciuti, sostenuti e ascoltati dagli operatori sanitari con la possibilità di un contatto diretto con gli stessi.

Tuttavia, è stato dimostrato che gli operatori sanitari dei servizi di psichiatria forense hanno minori contatti con i familiari rispetto agli operatori sanitari di altri contesti psichiatrici e, di conseguenza, i familiari dei pazienti psichiatrici autori di reato possono sperimentare la percezione di non essere coinvolti nelle decisioni riguardanti i loro cari o di non ricevere informazioni adeguate38.

Analizzando quanto emerso dai dati raccolti nella nostra esperienza, dunque, è possibile ipotizzare che il basso carico soggettivo sia dovuto alle condizioni di sicurezza implicite nell’internamento in REMS. Sapere che il proprio caro si trova in un luogo di cure, assistito quotidianamente da personale altamente qualificato, ma anche lontano fisicamente e al sicuro dalla possibilità di reiterare condotte criminose, probabilmente induce nel familiare un senso di sicurezza, come confermato anche dall’alta percezione di aiuto ricevuto dalla struttura. Allo stesso modo, il carico oggettivo scarsamente percepito potrebbe essere ascrivibile alla lontananza fisica del paziente dal nucleo familiare e all’assenza, quindi, di particolari incombenze legate alla quotidianità e assolte prevalentemente dagli operatori. Inoltre, come suggerito dai risultati della LEES degli utenti, i familiari mostrano un atteggiamento comprensivo e non colpevolizzante verso il proprio familiare, un buon livello di accettazione della patologia e bassa emotività espressa. Tuttavia, si segnala una lieve percezione negli utenti di un atteggiamento intrusivo o intollerante da parte dei familiari, frequentemente rappresentato anche nelle famiglie di pazienti non forensi e ascrivibile, probabilmente, alla condizione di prolungato stress da essi percepito.

Rispetto agli stili di coping, la letteratura evidenzia nelle famiglie di pazienti con patologie mentali gravi ad alto livello di carico un ricorso maggiore a strategie focalizzate sulle emozioni, come il rifiuto, la negazione o l’evitamento, associate a forme di abuso (alcol, droghe e/o psicofarmaci). Sono descritte inoltre, altre strategie di coping disfunzionali come la riduzione delle relazioni interpersonali per evitare di dare spiegazioni, il divorzio, l’interruzione o l’abbandono del lavoro. Il ricorso al conforto della fede e della religione può rappresentare, al contrario, un meccanismo di coping orientato alle emozioni maggiormente efficace40.

I dati emersi nel campione oggetto di studio si discostano parzialmente da quanto suddetto, dal momento che emerge un basso ricorso a stili disfunzionali di coping, seppure siano rappresentati stili come l’autoaccusa o la negazione. Inoltre, la prevalenza di uno stile di coping orientato al problem solving sembra collegarsi alla necessità di affrontare alcuni risvolti pratici, come la burocrazia legata all’iter giuridico, la lontananza o particolari esigenze del paziente. Il minore ricorso a stili più emotivi lascia ipotizzare una mancata legittimazione dei propri vissuti, un ipercontrollo emotivo o un ambiente invalidante in cui gli aspetti emotivi tendono a non essere riconosciuti. Inoltre, potrebbe essere legato allo stigma percepito dalle famiglie, con relativa tendenza alla chiusura e all’isolamento.

Interessante, infine, la percezione dei familiari di possedere stili comunicativi efficaci, prevalentemente assertivi; ci si interroga sulla possibilità che tale risultato risponda all’esigenza di conservare una buona immagine di sé, al bisogno di deresponsabilizzarsi rispetto a un proprio familiare che, non soltanto presenta una patologia psichiatrica, ma si rende anche autore di condotte criminose.

L’attuazione dell’intervento ha reso possibile, inoltre, l’acquisizione di maggiori informazioni anamnestiche, cliniche ed episodiche, spesso non reperibili dagli utenti. Tale aspetto rappresenta un importante fattore che ribadisce la necessità del lavoro con le famiglie anche in contesti forensi, fornendo l’opportunità di osservare punti di forza e criticità del nucleo familiare, al fine di acquisire informazioni utili alla valutazione clinica e di rischio e di pianificare progetti più mirati di reinserimento sociale41.

La peculiare modalità di erogazione attraverso piattaforma online ha permesso di rendere l’intervento proposto più fruibile da parte dei familiari coinvolti, superando eventuali difficoltà legate a una partecipazione dal vivo. Come emerge in precedenti esperienze di gruppi multifamiliari in contesti psichiatrici forensi inglesi, la distanza tra il luogo di vita dei familiari e il luogo di cura del paziente rappresenta un’importante barriera all’attuazione e implementazione di tali interventi42. Alcuni familiari, inoltre, percepiscono il contesto istituzionale come stigmatizzante e poco accogliente, facendo emergere come la possibilità di utilizzo del web possa essere considerata un fattore facilitante la partecipazione all’intervento per i familiari41 e uno strumento utile per gli operatori43.

La funzione protettiva dello schermo ha permesso, da un lato, di ridurre l’esposizione individuale, contrastando eventuali vissuti spiacevoli legati alla condivisione di tematiche intime e personali; dall’altro, però, nella nostra esperienza, ha ostacolato la creazione di un vero e proprio setting gruppale in cui sentirsi sostenuti e compresi.

Il campione esiguo, certamente poco rappresentativo della popolazione psichiatrica forense generale, è uno dei limiti dello studio. Un importante limite, inoltre, riguarda gli strumenti di valutazione impiegati, non disegnati per popolazioni forensi e non predisposti a considerare diverse variabili come la residenzialità, la restrizione dei contatti o il livello di conoscenze pregresse; il loro utilizzo è risultato, pertanto, complesso e poco indicativo.

La scelta di trattare argomenti di pertinenza giuridica, oltre che clinica, ha messo in luce la necessità, in futuro, di una formazione apposita per gli operatori sanitari o il coinvolgimento di una figura specializzata in tale ambito.

La scarsa conoscenza da parte dei familiari delle diverse opzioni di cura o dei servizi ai quali rivolgersi in caso di necessità rende necessario inserire un questionario di valutazione del livello di conoscenze pregresse. Ciò consentirebbe di strutturare un intervento mirato sui singoli bisogni delle famiglie e di rispondere in maniera più efficace alle loro esigenze.

Come già esposto in precedenza è auspicabile prevedere l’inserimento di un follow-up alle dimissioni del paziente, per valutare l’efficacia a lungo termine dell’intervento nel contesto di vita. Una volta terminato il percorso di cure in REMS, infatti, il paziente viene solitamente inserito in Strutture Residenziali Terapeutico-Riabilitative (SRTR) e, solo in casi molto rari, reinserito direttamente nel territorio. Sarebbe opportuno, pertanto, valutare l’efficacia dell’intervento, una volta revocata la misura di sicurezza, quando il paziente sarà tornato nel suo contesto di appartenenza. Ciò potrà avvenire attraverso il monitoraggio delle conoscenze apprese, verificando l’uso di strategie di coping funzionali e valutando la possibile diminuzione dell’emotività espressa e/o del carico familiare.

Attualmente esiste una solida base di prove di efficacia nell’utilizzo di interventi multifamiliari con i parenti di pazienti affetti da schizofrenia; tuttavia non vi sono ricerche che suggeriscano se tali risultati si possano tradurre su popolazioni di pazienti psichiatrici autori di reato e come tali interventi debbano essere strutturati per adattarsi al contesto forense. Inoltre, la ricerca potrebbe trarre vantaggio dall’esplorazione dell’efficacia degli interventi multifamiliari con altri disturbi prevalenti nella popolazione forense, come i disturbi di personalità e l’abuso di sostanze41.

Bisogna ricordare, infine, che le famiglie oggetto di studio non erano mai state coinvolte in interventi specifici di tipo psicoeducativo. Va evidenziato, tuttavia, che la comorbilità di questa utenza con l’abuso di sostanze inficia notevolmente il quadro psicopatologico, rendendo complessa e articolata la presa in carico territoriale e creando, a volte, confusione nella suddivisione di competenze tra servizi dedicati, come i Servizi pubblici per le Dipendenze (SerD) e i CSM a cui spesso tali utenti risultano non noti o mai afferiti.

L’elevata prevalenza di disturbi di personalità in comorbilità con l’abuso di sostanze all’interno della popolazione psichiatrica forense rappresenta, inoltre, un ulteriore fattore di complessità nella presa in carico di tali pazienti e delle loro famiglie41.

In uno studio42 condotto nel 2015 in un servizio di psichiatria forense inglese riguardo l’attuazione e valutazione di un intervento di psicoeducazione familiare emerge che, così come nella nostra esperienza, i familiari non avevano mai ricevuto in precedenza informazioni riguardo la possibilità di partecipare a interventi di tipo psicoeducativo, sia per la difficoltà di accesso ai servizi sia per una minore diffusione di interventi psicosociali44.

Tale contesto rende piuttosto tardivo il timing dell’intervento psicoeducativo multifamiliare in REMS, ribadendo la necessità di un tempestivo coinvolgimento della famiglia già dal primo accesso ai servizi territoriali, come suggerito anche dalle principali linee guida sui disturbi mentali gravi, non solo come risorsa per il paziente, ma come destinataria anch’essa di cure.

L’accesso precoce e adeguato del paziente ai servizi territoriali e, quindi, l’alleanza tra famiglia e CSM potrebbe ridurre l’utilizzo della denuncia come unica strategia di gestione del paziente e la conseguente mole di utenti per i quali viene attivato un percorso giuridico, riservando l’internamento in REMS solo ai casi più complessi per i quali il ricovero risulta appropriato.

Conclusioni

L’intervento psicoeducativo multifamiliare ha ottenuto un buon livello di gradimento sia da parte dei familiari sia degli operatori coinvolti e, oltre a configurarsi come uno spazio di confronto e scambio di informazioni, ha permesso l’instaurarsi di una relazione di fiducia con l’équipe multidisciplinare.

L’incremento delle opportunità di interconnessione tramite piattaforma digitale ha permesso di superare le distanze fisiche e geografiche che rappresentavano il limite principale per il coinvolgimento delle famiglie nel progetto di cura, evidenziando i potenziali vantaggi dell’utilizzo della tecnologia nell’approccio clinico anche in un contesto forense.

È auspicabile che gli interventi di psicoeducazione per i familiari di pazienti psichiatrici autori di reato possano diventare una pratica consolidata e avvalorata da una ricerca futura in grado di fornirne linee di indirizzo e prove di efficacia.

Coinvolgere e sostenere i familiari nel processo di cura di un paziente psichiatrico ricoverato in REMS può rappresentare un importante strumento, nel breve, medio e lungo termine, utile a incrementare il benessere del nucleo familiare e favorire il futuro reinserimento sociale del paziente stesso.

Ringraziamenti: si ringrazia la Scuola Italiana Cognitivismo Clinico - SICC per l’importante supporto fornito per la realizzazione del presente lavoro.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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