Il contratto di Ulisse in psichiatria alla luce della legge n. 219/2017 su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento

Giulia Ienco1, Corinna Porteri1

1Unità di Bioetica, IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Brescia.

Riassunto. L’espressione “contratto di Ulisse” è utilizzata nel dibattito biogiuridico contemporaneo per definire una serie di strumenti autovincolanti con cui la persona con disturbo mentale ad andamento remittente-recidivante o ciclico può esplicitare le sue direttive anticipate relativamente alle cure psichiatriche (Psychiatric Advance Directives - PAD), in previsione di una fase di crisi causata dal disturbo durante la quale le preferenze del soggetto possono entrare in conflitto con quelle precedentemente espresse. A differenza di altri Paesi, l’Italia non ha una regolamentazione specifica delle PAD; tuttavia, riteniamo che importanti indicazioni possano venire dalla l. 219/2017 che norma gli strumenti del consenso informato, disposizioni anticipate di trattamento e pianificazione condivisa delle cure. L’obiettivo del presente lavoro è fornire una chiave interpretativa dell’uso dell’istituto della pianificazione condivisa delle cure (PCC) in ambito psichiatrico e così contribuire alla discussione sull’attuazione della l. 219/2017 per persone con disturbo mentale. L’articolo presenta una descrizione delle caratteristiche essenziali delle PAD nel contesto internazionale, ne evidenzia il valore come strumento di autodeterminazione del soggetto e considera ostacoli e facilitatori alle direttive risultanti dalla letteratura sul tema. Muovendo da questi elementi e considerando le specificità della PCC nella l. 219/2017, la PCC viene proposta come strumento per l’espressione anticipata di volontà nell’ambito delle malattie mentali, e specificamente di quelle ad andamento remittente-recidivante o ciclico. Lo studio mostra altresì la necessità di un dialogo interdisciplinare tra ambito bioetico, giuridico e clinico che confermi la sostenibilità della PCC come strumento di autodeterminazione preventiva in psichiatria, anche in riferimento al contratto di Ulisse, e offra le indicazioni necessarie per garantirne l’applicabilità.

Parole chiave. Contratto di Ulisse, direttive anticipate psichiatriche, etica, legge 219/2017, pianificazione condivisa delle cure.

Ulysses contract in the light of law 219/2017 on informed consent and advance directives.

Summary. In contemporary bio-juridical debate, the expression ‘Ulysses contract’ is used to define a set of self-binding instruments through which a person who suffers from a mental disorder with a remitting-relapsing or cyclical pattern can make explicit their advance directives regarding psychiatric treatment (PAD), in anticipation of a crisis in which the subject’s preferences may conflict with those previously expressed. Unlike other countries, Italy does not have a specific regulation regarding PAD; however, we believe that important hints may come from law 219/2017 regulating informed consent, advance directives and shared care planning. The aim of this paper is to provide an interpretation of shared care planning (SCP) in psychiatry and thus contribute to the discussion on the implementation of law 219/2017 for people with mental disorders. The article presents a description of PAD in the international context, highlights their value for the subject’s self-determination, and considers obstacles and facilitators to advance directives in psychiatry resulting from the literature. Building on these elements and considering the SCP specificity, SCP is suggested as a tool for making advance decisions on treatment in the context of mental disorders, specifically of those with a remitting-relapsing or cyclical pattern. The study also points to the need for an interdisciplinary dialogue between the bioethical, legal and clinical field in order to confirm the validity of SCP in psychiatry, including with regards to Ulysses contracts, and to provide practical guidance to ensure its applicability.

Key words. Advance care planning, ethics, law 219/2017, psychiatric advance directives, Ulysses contract.

Introduzione

Nel poema omerico dell’Odissea, Ulisse, per ascoltare il pericoloso canto delle Sirene evitandone le infauste conseguenze, chiede ai suoi marinai di legarlo all’albero della nave e di resistere alle richieste di liberarlo fino a quando non fossero stati al sicuro, in modo da proteggere la propria vita e quella dei compagni, resi sordi da tappi di cera nelle orecchie. L’immagine epica della richiesta di Ulisse rappresenta la decisione presa “ora per allora”: l’eroe, in previsione della propria futura vulnerabilità, comunica chiaramente la sua volontà all’equipaggio, dando precise indicazioni rispetto a ciò che avrebbero dovuto fare nel momento in cui egli stesso, privato della ragione, avesse chiesto di essere liberato.

L’espressione “contratto di Ulisse” è utilizzata nel dibattito biogiuridico contemporaneo per definire una serie di strumenti auto-vincolanti (self-binding) con cui la persona con disturbo mentale può esplicitare le sue direttive anticipate relativamente alle cure psichiatriche. A differenza delle direttive anticipate tradizionalmente intese, che sono di norma utilizzate nel contesto di fine vita e raccolgono le volontà del soggetto in vista di una ipotetica situazione futura, le direttive anticipate psichiatriche (nella letteratura internazionale indicate come psychiatric advance directives - PAD) sono definite in previsione dell’evolvere di una situazione patologica già in atto1. Esse possono includere le preferenze dell’interessato sul tipo di trattamento, sulle modalità con cui gestire la fase critica di malattia e, con essa, vari aspetti del quotidiano, ma anche la nomina di una persona con poteri di rappresentanza e indicazioni rispetto al quadro valoriale del paziente, che dovrebbero indirizzare eventuali future decisioni mediche in circostanze non prevedibili o non già previste nella direttiva2,3. In particolare, nella forma del contratto di Ulisse, le direttive sono redatte in vista del sopraggiungere di una fase di crisi causata da un disturbo mentale, caratterizzato da andamento remittente-recidivante o ciclico, durante la quale le preferenze del soggetto possono entrare in conflitto con quelle precedentemente espresse con l’obiettivo di salvaguardare preventivamente l’autodeterminazione rispetto ai trattamenti (autodeterminazione terapeutica) e l’integrità psico-fisica e biografica della persona4.

A differenza di altri Paesi, l’Italia non ha una regolamentazione specifica delle PAD. Tuttavia riteniamo che importanti indicazioni possano venire dalla l. 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, in cui l’autodeterminazione terapeutica preventiva passa attraverso gli istituti delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT, art. 4) e della pianificazione condivisa delle cure (PCC, art. 5)5.

L’obiettivo del presente lavoro è fornire una chiave interpretativa dell’uso dell’istituto della PCC in ambito psichiatrico e così contribuire alla discussione sull’attuazione della l. 219/2017 per persone con disturbo mentale.

L’articolo presenta una descrizione delle caratteristiche essenziali delle PAD nel contesto internazionale, ne evidenzia il valore come strumento di autodeterminazione del soggetto e considera gli ostacoli e i facilitatori alle direttive risultanti dalla letteratura sul tema. Muovendo da questi elementi e considerando le specificità della PCC nella l. 219/2017, viene poi proposta la PCC come strumento per l’espressione anticipata di volontà nell’ambito delle malattie psichiatriche, e specificamente di quelle ad andamento remittente recidivante o ciclico.

Le direttive anticipate in psichiatria: caratteristiche essenziali nel contesto internazionale

Storicamente le PAD originano negli Stati Uniti, dove diversi casi giudiziari tra gli anni ’70 e ’80 hanno portato all’approvazione nel 1990 del Patient Self-Determination Act (PSDA). L’obiettivo primario di questa legge era assicurare ai pazienti l’accesso alle informazioni relative ai loro diritti decisionali in ambito medico e promuovere una comunicazione effettiva delle loro volontà agli operatori sanitari mediante l’utilizzo di direttive anticipate. Dall’approvazione del PSDA, tutti gli stati americani hanno emanato statuti per la disciplina delle “advance directives” (AD). Poiché il PSDA non esclude né i pazienti psichiatrici né i servizi a essi dedicati dalle sue disposizioni, attualmente circa la metà dei Paesi consente di includere nelle AD le volontà relativamente ad alcuni trattamenti psichiatrici mentre l’altra metà prevede istruzioni specifiche per la salute mentale6,7.

Nel resto del mondo l’inquadramento normativo delle PAD è complesso8: per esempio, in Inghilterra e Galles, il Mental Health Act (1983)9 regola la possibilità di definire degli “advance decision-making documents” (ADM-D) con cui rifiutare i trattamenti e nominare una persona che possa fare le veci dell’interessato limitatamente alla terapia elettroconvulsivante e ai trattamenti in comunità, mentre il relativo Code of practice (2015, ultima revisione 2017)10 incoraggia la considerazione dei desideri espressi dalla persona precedentemente alla perdita di capacità e il suo coinvolgimento nelle decisioni di cura. Nella pratica clinica inoltre sono diversi gli ADM-D informali (care plan, joint crisis plan, crisis plan, advance care plan, self-binding advance care plan “Ulysses contracts”) che vengono utilizzati per la gestione continua dei disturbi mentali, specialmente quelli con andamento remittente-recidivante8.

In Scozia le direttive anticipate sono normate nel Mental Health Act (2003, emendato nel 2015)11 quindi specificamente per l’ambito della salute mentale. Sono previsti due tipi di ADM-D: 1) “advance statements” (per definire la gestione di una condizione nel futuro) e 2) “named persons” (per la nomina di una persona che tuteli gli interessi del paziente). Essi non sono vincolanti ma il medico che non li attuasse deve fornirne giustificazione.

L’Irlanda del Nord regola l’ADM in materia di salute mentale e fisica nel Mental Capacity Act (2016)12 che prevede tre tipi di ADM-D: 1) “advance decision” per il rifiuto dei trattamenti; 2) la nomina di “lasting power of attorney” con il compito di decidere quando il paziente non è capace - il documento può includere preferenze e istruzioni; 3) l’indicazione di una “nominated person” da coinvolgere in decisioni che riguardano le cure future.

Nei Paesi Bassi previsioni esplicite riguardo alle self-binding directives sono state incluse nel Dutch Law on Special Admission to Psychiatric Hospital nel 2008, sostituito nel 2020 dal Law on Compulsory Mental Health Care13.

Le PAD sono state riconosciute anche nell’ordinamento indiano14 e, con declinazioni diverse, in alcune giurisdizioni australiane15.

In sintesi, un elemento cardine dell’istituto delle PAD è la nomina del fiduciario che, dotato di poteri di rappresentanza del soggetto in condizioni di sopravvenuta incapacità, deve dare attuazione alle volontà di quest’ultimo, ovvero che, in assenza di volontà formalizzate, in qualità di “substituted judgement”, deve attuare scelte che rispettino la visione del rappresentato e siano nel suo migliore interesse. Inoltre, le PAD hanno in comune di non poter intervenire nell’applicazione del trattamento sanitario coattivo disposto nei termini di legge; di non poter autorizzare trattamenti vietati per legge e dalle linee guida clinico-assistenziali; di definire che l’accertamento dell’effettiva capacità decisionale dell’interessato è rimesso ai sanitari, non essendo necessaria una pronuncia giudiziale di incapacità perché le direttive divengano operative; di tutelare l’autonomia dei sanitari, anche in termini di responsabilità civile e penale, qualora gli stessi disattendessero le indicazioni contenute nella direttiva o dichiarate dal fiduciario perché contrarie alla buona pratica clinica o alle linee guida4. Le PAD variano in relazione ai diversi modelli assistenziali su cui si basano e ai contesti legislativi in cui sono sviluppate differendo rispetto alla misura in cui sono legalmente vincolanti, al coinvolgimento degli operatori sanitari e all’assistenza da parte di facilitatori indipendenti nella loro produzione16.

Le PAD come strumento di autodeterminazione

Attraverso le PAD il soggetto definisce in anticipo le preferenze di cura in previsione di una possibile crisi dettata dal disturbo mentale durante la quale egli stesso potrebbe non essere in grado di decidere o potrebbe esprimere una scelta in conflitto con le decisioni che avrebbe preso in una situazione di equilibrio psichico. In questo senso, le PAD, nonostante nella forma del contratto di Ulisse comportino una temporanea restrizione della libertà di scelta della persona in situazione di crisi, rappresentano uno strumento di autodeterminazione e promozione dell’autonomia perché è la persona stessa a decidere, in anticipo, per sé17.

La coercizione – ovvero tutti quei trattamenti realizzati contro l’esplicita e libera volontà del soggetto, dalla pressione psicologica alla coercizione legale18 – è un tema con cui l’etica in psichiatria si confronta da decenni19,20. Nonostante l’affermazione del principio di autonomia e del diritto all’autodeterminazione del paziente e la condanna della coercizione nel contesto della salute mentale da parte di diversi documenti internazionali21-23, nella pratica clinica si osserva ancora, più frequentemente rispetto ad altri ambiti della cura, il persistere di atteggiamenti paternalistici24.

Al contrario, i sanitari che valorizzano il modello recovery-oriented25, in cui l’offerta di una opportunità di scelta è una componente essenziale per il recupero e il miglioramento della qualità di vita del paziente, individuano nelle PAD uno degli strumenti per realizzare il cambiamento nella cura e superare la coercizione imposta al soggetto26. Le PAD, per essere realizzate, necessitano di una profonda conoscenza di sé, facendosi occasione di un’autentica consapevolezza rispetto alla patologia che consente di immaginare eventuali crisi e possibili soluzioni, quindi di prefissarsi obiettivi personali e raggiungerli. Il presupposto delle PAD è il riconoscimento da parte della persona con disturbo mentale della propria vulnerabilità, motivo per cui ella sceglie responsabilmente di ridurre con il contratto di Ulisse la possibilità di scelta durante la crisi a favore di una auto-determinazione che si esprime prima e dopo la fase critica. L’obbligo concordato e legittimato dal soggetto stesso anziché imposto dall’esterno, per quanto doloroso, rappresenta per il paziente un atto di autodeterminazione27,28, laddove invece la coercizione imposta dall’esterno e percepita come tale dal soggetto è stata correlata all’alterazione dell’alleanza terapeutica, all’evitamento delle cure e a una minore ricerca d’aiuto27,29-31. Come sostenuto da diversi studi32-36, aiutando le persone a mantenere il controllo sulle decisioni relative al proprio trattamento anche in fase di crisi, le PAD rafforzano i sentimenti di autonomia e autodeterminazione, motivano l’aderenza ai regimi terapeutici, migliorano il processo di empowerment nel medio-lungo termine, prolungano la remissione sintomatologica, diminuiscono gli oneri per il sistema sanitario e legale, e alleggeriscono il carico decisionale sui familiari, che non devono più sostituirsi all’interessato nelle decisioni da prendere in situazioni di crisi. Le PAD inoltre, consentendo un trattamento precoce, hanno il potenziale di ridurre la gravità e la durata della fase acuta di malattia e con esse gli interventi coercitivi e i ricoveri obbligatori durante la crisi32-37.

Ostacoli all’implementazione delle PAD

Diverse sono le argomentazioni e le preoccupazioni che si interpongono all’uso delle PAD. I teorici che non concepiscono l’identità personale come un continuo tra passato, presente e futuro concludono contro le direttive anticipate. Secondo questa prospettiva, le volontà attuali non possono essere considerate vincolanti per il Sé di domani, poiché quest’ultimo è considerato differente dall’attuale27. Per altri il timore è che una decisione presa per tutelare l’autenticità del Sé possa compromettere successivamente la possibilità di un cambiamento altrettanto autentico di preferenze38. Ancora, qualcuno ritiene che la legalizzazione delle PAD comporti un rischio di legittimazione della costrizione per tutti gli utenti afferenti ai servizi di salute mentale che potrebbero subire pressioni per definire questo tipo di clausola39. La discussione sul tema è ulteriormente complicata dall’eterogeneità terminologica con cui in letteratura si indicano le direttive contenenti il contratto di Ulisse che rende difficoltoso comprenderne i termini e le modalità di utilizzo40.

Nei Paesi in cui la legislazione regolamenta le PAD, diversi autori hanno indagato le ragioni per cui, a fronte di un elevato livello di interesse rilevato da parte dei diversi stakeholder – pazienti, medici, famigliari ed esperti – coinvolti nella cura, l’effettivo utilizzo delle PAD è limitato14,32,36,41-49. Revisioni della letteratura2,50 mostrano che i dubbi nutriti dagli stakeholder sono di diversa natura e si riflettono sulla possibilità stessa di implementazione di questi strumenti all’interno del sistema sanitario. Le preoccupazioni principali riguardano il timore dei curanti rispetto alla propria responsabilità legale sia nel caso l’attuazione delle direttive porti a esiti clinici sfavorevoli sia nel caso le direttive non vengano seguite. Inoltre, risulterebbe da chiarire il rapporto tra il trattamento involontario (obbligatorio) e le PAD, per non ridurne l’efficacia e l’utilità. Un limite è riscontrato anche nella ristrettezza delle risorse in termini sia di numero di posti letto che potrebbero rendersi necessari per i ricoveri eseguiti sulla base delle PAD, sia di tempo che gli operatori possono dedicare al supporto dell’utente nella redazione delle PAD. La mancanza di consapevolezza e di preparazione sul tema accomuna i vari attori che entrano in contatto con il paziente e il paziente stesso. Più in particolare, i professionisti sanitari temono il rifiuto di ogni trattamento da parte degli interessati e l’espressione di preferenze che interferiscano con gli aspetti clinici se non debitamente aggiornate nel tempo. Inoltre, essi sono riluttanti a facilitare PAD che rischierebbero di influenzare nei contenuti, che potrebbero non condividere o che potrebbero presentare problemi di interpretazione e flessibilità al verificarsi di circostanze inaspettate. Non ultima è la difficoltà di valutazione della capacità della persona con disturbo mentale di prendere decisioni in merito ai trattamenti.

Sul piano logistico, le difficoltà interessano la conservazione delle PAD da parte dell’istituzione che le registra, la possibilità di accesso del personale nel momento di crisi e la mancanza di coordinamento con altri servizi con cui il paziente potrebbe interfacciarsi. Per quanto riguarda gli utenti, si registrano la poca fiducia verso i proxy a cui affidare le proprie scelte di cura e verso i sanitari – che potrebbe essere ulteriormente compromessa in caso di mancato rispetto della direttiva –, il timore di atteggiamenti ostili dei clinici di fronte all’esistenza di direttive, le preoccupazioni circa l’esecutività da parte dei sanitari e la revocabilità delle PAD. Allo stesso tempo, gli utenti manifestano l’esigenza di un supporto informativo rispetto alle implicazioni e ai contenuti delle PAD, di un supporto emotivo che faciliti l’elaborazione di esperienze passate e di un supporto amministrativo per la gestione degli aspetti burocratici2,50, dicendosi più propensi a realizzare una direttiva se gli venisse fornita assistenza nel processo di definizione43.

Facilitatori all’implementazione delle PAD

Per rispondere a queste difficoltà di implementazione delle PAD, diversi autori hanno proposto la “Facilitated Psychiatric Advance Directive” (F-PAD), dimostrandone l’efficacia nel ridurre molte delle preoccupazioni di utenti e sanitari44,51-53. In particolare, gli studi condotti dimostrano che un intervento strutturato di facilitazione delle PAD, condotto da figure debitamente formate – clinici, persone con esperienza di malattia o altro personale esperto – può aiutare i pazienti a superare gli ostacoli legati alla comprensione delle implicazioni pratiche (cliniche, giuridiche e esistenziali) dello strumento, all’espressione delle preferenze e al completamento dei moduli. L’aumento della competenza dei pazienti che ne deriva porta a un effettivo incremento nella redazione di PAD e a una maggiore validità delle stesse quindi a un loro maggiore utilizzo, con un conseguente miglioramento dei sintomi auto-percepiti, una diminuzione del numero di ricoveri obbligatori e un incremento dell’empowerment e della recovery44,51-53.

Nonostante le PAD siano state originariamente concepite per promuovere l’autonomia della persona con disturbo mentale vista come individualità, i risultati delle ricerche mostrano che il loro impatto più significativo si realizza nel contesto di una solida relazione terapeutica, basata sulla fiducia, la comunicazione e la collaborazione tra pazienti e clinici48,54. Questo ha portato a riconoscere il rafforzamento della relazione terapeutica come uno dei benefici delle PAD che, offrendo spazio di collaborazione tra sanitari e malati centrato sulla pianificazione del trattamento, possono consentire anche una riabilitazione più rapida e la riduzione del rischio di danni autoinflitti per l’interessato a causa di comportamenti disinibiti tenuti durante le fasi di ricaduta. Inoltre, nel processo condiviso il paziente ha l’occasione di affrontare eventuali traumi passati legati alle cure e ridurre lo stigma rispetto ai trattamenti involontari, mentre i sanitari possono alleviare il moral distress derivante dalla loro attuazione50.

Infine, la possibilità per il paziente di coinvolgere diversi attori nella discussione delle PAD, tra cui persone di sua fiducia ed eventuali decisori delegati, può accrescerne la fiducia nelle possibilità terapeutiche; al contempo, in caso di crisi l’esistenza di un piano scritto può infondere un senso di sicurezza sia nell’interessato sia nei suoi congiunti50.

Scholten et al.55, a partire da studi che hanno coinvolto gli stakeholder e attraverso un processo di consenso tra gli autori, hanno formulato alcune raccomandazioni per superare le barriere all’implementazione delle PAD. Esse riguardano la definizione di criteri legali, il coinvolgimento di terze parti (parte indipendente, persona di fiducia e persona con esperienza di malattia), individuazione della popolazione target, supporto e rispetto della PAD da parte dei professionisti, contenuto e aggiornamento dei documenti, indicatori di capacità, accessibilità delle PAD nel rispetto della privacy (tabella 1).




Autodeterminazione terapeutica anticipata nella l. 219/2017

In Italia, in assenza di una legge specifica sulle PAD, un importante punto di riferimento in tema di autodeterminazione terapeutica preventiva anche per la persona con disturbo mentale è rappresentato dalla l. 219/2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che salvaguarda il principio dell’autonomia della persona in ogni condizione o fase della vita, anche quando la capacità di esprimere decisioni terapeutiche è temporaneamente o definitivamente compromessa56. Nella legge l’espressione di autonomia si estende al futuro e oltre la perdita di capacità della persona attraverso gli strumenti delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e della pianificazione condivisa delle cure (PCC).

Le DAT (art. 4) consentono a ogni persona maggiorenne e in grado di intendere e di volere di dichiarare le proprie volontà terapeutiche in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, a prescindere dalla diagnosi di una qualsiasi malattia. La PCC (art. 5) permette ai soggetti affetti da “patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta” di programmare un piano terapeutico condiviso con il medico, a cui l’équipe sanitaria deve attenersi qualora la persona si trovi impossibilitata a esprimere il consenso o in una condizione di incapacità. Per quanto riguarda la capacità richiesta al soggetto per realizzare la PCC, si rimanda all’art. 4 che richiede la “capacità di intendere e di volere”.

Lo strumento della PCC, riconosciuto per la prima volta in Italia a livello normativo, mira a definire un piano di cura rispettoso dei desideri del paziente che potrebbe perdere la capacità di autodeterminarsi. Il presupposto della pianificazione è che la stessa si realizzi nella relazione tra paziente e medico, a cui partecipano l’équipe sanitaria e, se il paziente lo desidera, i familiari, il partner dell’unione civile, il convivente o una persona di sua fiducia. La scelta stessa dell’espressione “pianificazione condivisa delle cure” è indicativa del processo di scambio e collaborazione tra gli attori che realizzano la pianificazione anticipata. Ai sensi della normativa inoltre, l’interessato, come nel caso delle DAT, può indicare un fiduciario che lo rappresenti nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie, soprattutto quando non sarà più in grado esprimersi.

La legge non contiene riferimento specifico all’ambito della psichiatria; anche l’art. 3 “Minori e incapaci” si limita a considerare e regolamentare l’espressione di consenso da parte di coloro che sono soggetti a una misura limitativa della capacità legale secondo le norme del Codice Civile in materia (ossia interdizione, inabilitazione, amministratore di sostegno).

Da quanto detto fin qui relativamente all’espe­rienza degli stakeholder e ai possibili ostacoli e facilitatori all’uso delle PAD, ci pare risulti chiaro che lo strumento di maggiore interesse per esprimere preferenze di trattamento anticipate in ambito psichiatrico sia la PCC.

La PCC come strumento di espressione delle direttive anticipate in psichiatria

Legittimità della PCC per le persone con disturbo mentale

La l. 219/2017 non esclude le persone con disturbo mentale dalla possibilità di realizzare la PCC, né per il disturbo mentale né per altra malattia cronica e invalidante o a prognosi infausta. Questo nonostante si registrino nel dettato della legge una rigidità nell’utilizzo della categoria di capacità che mal si adatta alla pratica clinica e alcune difficoltà nell’interpretazione del concetto di capacità57 che si riflettono anche nell’incerta attitudine dei medici verso la PCC in ambito psichiatrico58.

Considerando quindi di poter includere alcuni disturbi mentali, come la schizofrenia o il disturbo bipolare, tra le patologie croniche e invalidanti59,60, con la PCC le preferenze espresse dall’interessato relativamente al trattamento del disturbo mentale diventerebbero parte integrante di un piano di cura che opera anche quando il paziente viene a trovarsi in una condizione di incapacità come nell’acuzie indotta dal disturbo mentale61.

La competenza del soggetto

Perché la decisione presa anticipatamente dal paziente nell’ambito della pianificazione abbia valore, la stessa deve essere espressione delle scelte competenti della persona62. Soprattutto in passato, lo stigma nei confronti dei disturbi mentali ha pregiudicato la presunzione di autonomia dei malati e, con essa, la loro possibilità di esprimere il consenso informato63. La pratica clinica e la letteratura rivelano però che i disturbi mentali presentano un ampio spettro di condizioni patologiche che possono manifestarsi in modo sensibilmente diverso in pazienti con la stessa diagnosi e che un numero variabile di soggetti è ritenuto capace di decisioni mediche64-66. La capacità del soggetto quindi non può essere determinata dalla diagnosi, per es. di schizofrenia o depressione maggiore o disturbo bipolare24, né può essere messa in discussione solo sulla base del rifiuto di un trattamento da parte del paziente64. La competenza è inoltre specifica rispetto al compito e può modificarsi nel tempo, così che la capacità di un paziente di prendere decisioni può variare a seconda della decisione in gioco e del momento in cui gli viene chiesto di prenderla. Per esempio, la capacità del soggetto di individuare un fiduciario può persistere anche quando risulti compromessa la sua facoltà di prendere decisioni riguardanti altri aspetti della salute67, rappresentando uno spazio di autodeterminazione da valorizzare anche in ambito psichiatrico.

La valutazione della capacità decisionale dei soggetti con disturbo mentale eventualmente coinvolti in una pianificazione delle cure è affidata ai clinici, che possono servirsi di strumenti, seppure non tali da garantire l’oggettività del risultato (e.g. il più noto tra questi, il MacCAT-T)68,69, e soprattutto hanno la possibilità di inserire la valutazione stessa all’interno del percorso di cura e pianificazione. Infatti la PCC, centrata sulla condivisione del processo decisionale, fornisce lo spazio entro cui valorizzare la consapevolezza di malattia e le capacità di comprensione e decisione del paziente in modo che possa ricevere i trattamenti da lui stesso considerati proporzionati e si realizzi il principio di una cura individuale per la persona e la sua famiglia70.

In tema di capacità, un possibile ostacolo all’attuazione nella pratica della PCC è costituito dalla circostanza che nella l. 219/2017 la PCC operi con il requisito della capacità usato come “cut-off” (cioè la PCC opera se la persona è incapace, non opera se la persona è capace) anziché come confine poroso1. In vista dell’attuazione della PCC nei momenti di crisi una soluzione potrebbe consistere in un accordo preventivo tra paziente e curante circa i criteri della valutazione di capacità. Del resto, l’attuazione della PCC sarà tanto più possibile ed efficace quanto più la pianificazione sarà accurata nella previsione del futuro e circostanziata nell’indicazione delle volontà della persona.

La relazione medico-paziente

Le PAD sono ritenute strumenti potenzialmente in grado di consolidare le relazioni attorno alla persona con disturbo mentale e di espanderne gli spazi di autonomia, intesa come espressione dei valori della persona da rispettare e promuovere a prescindere dalle manifestazioni del disturbo mentale. Al contempo le PAD richiamano il principio di reciprocità, che mette in dialogo la fiducia del paziente e la responsabilità del medico, il quale non viene pregiudicato nella sua libertà di valutare le circostanze7,26.

Allo stesso modo, una pianificazione basata su un modello relazionale, come quella della l. 219/2017, consente di conciliare il rispetto dell’autonomia del paziente con il rispetto della competenza professionale del medico che informa e propone cure di qualità e adeguate alla situazione clinica della persona. L’autodeterminazione della persona con disturbo mentale si realizza infatti nella PCC in relazione alla responsabilità imposta al team curante dalla vulnerabilità del singolo individuo nella complessità delle sue determinazioni biologiche, sociali, culturali, cognitive nonché delle sue capacità.

Nella legge la PCC è inoltre intesa come un processo in cui la relazione medico-paziente garantisce una facilitazione costante, che non si interrompe dopo la prima fase di pianificazione, accompagnando la persona nell’intero percorso evolutivo della malattia70. È anche prevista la possibilità di aggiornamento della pianificazione in base all’evolversi della condizione clinica su richiesta del paziente stesso o su suggerimento del medico; tale previsione permette quindi di superare il timore dei clinici, inclusi i professionisti della salute mentale, di assecondare preferenze non attuali2,71.

Le persone vicine al paziente

La PCC, coinvolgendo oltre ai medici e all’équipe sanitaria anche i familiari e il fiduciario, se il paziente lo desidera, favorisce particolarmente la creazione di una rete di supporto attorno alla persona con disturbo mentale che contribuisce, tra l’altro, a garantire che il percorso di cura sia centrato sul rispetto e la promozione della volontà del paziente e della sua identità personale1.

La PCC potrebbe attuarsi sia con un fiduciario sia con un amministratore di sostegno, ma risulta importante, in vista di una concreta applicazione, chiarire il tipo di poteri che la persona vuole conferire (attestativi di una volontà pregressa, sostitutivi nelle scelte, integrativi per quanto non previsto). Si pone inoltre il tema dell’eventuale revoca dell’incarico (su cui ritorniamo più avanti) che ha, in questi casi, caratteristiche peculiari legate al problema della capacità e della libertà del soggetto72.

La vincolatività della PCC

Essendo la PCC frutto di un percorso comunicativo e decisionale compiutamente informato e condiviso, la legge stabilisce l’efficacia vincolante della PCC per il curante, elemento essenziale che conferirebbe alle PAD, insieme con l’impianto relazionale, utilità ed efficacia70.

Rimane comunque controverso il tema del possibile cambiamento di volontà della persona che ha realizzato la PCC, in termini di indicazioni di trattamento e fiduciario. Il problema è stato affrontato con riferimento all’amministrazione di sostegno nella discussione sul cosiddetto “patto di rifioritura”73: la proposta prevede che, in caso di dissenso tra amministratore e beneficiario, il giudice tutelare possa autorizzare l’amministratore di sostegno a far luogo comunque al compimento dell’atto superando anche con mezzi coercitivi il dissenso. La proposta, che ha trovato anche applicazione pratica74, è in verità intesa come sostegno alla fragilità e presenta una serie di garanzie a tutela del beneficiario. Tuttavia, come è stato rilevato75, il tema del consenso e dell’adesione alle cure è questione primariamente socio-sanitaria e clinica, in cui il dialogo e il coinvolgimento della persona rimangono centrali per garantire percorsi efficaci e rispettosi della volontà del paziente. In questo contesto è importante che la persona chiarisca nella direttiva, oltre ai poteri conferiti al fiduciario, anche in che termini desidera siano considerate le sue eventuali diverse volontà espresse in un momento successivo.

Obiezioni alle direttive anticipate psichiatriche nel contesto italiano

Alcuni autori hanno sollevato dubbi sulla legittimità giuridica delle PAD nei Paesi che hanno ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD)76 e anche specificamente in Italia nel contesto della l. 219/201777. In particolare, secondo una interpretazione radicale del modello proposto dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità nel commento all’art. 12 della CRPD, nonostante il Comitato stesso sostenga l’uso delle direttive anticipate come strumento per supportare il processo decisionale della persona con disabilità, il richiamo al diritto alla capacità legale della persona con disabilità in ogni situazione (indipendentemente da una valutazione della capacità che verrebbe rifiutata a favore di un sostegno alla capacità decisionale) comporterebbe l’obbligo di dare sempre, anche nelle situazioni di crisi, prevalenza alle preferenze attuali della persona rispetto alle preferenze precedentemente espresse, a eccezione del caso in cui ella non fosse più in grado di esprimere preferenze chiare. Le indicazioni del Comitato renderebbero quindi inefficaci le PAD proprio quando le stesse sarebbero più utili, e cioè nel caso di conflitto tra le preferenze attuali espresse dal paziente al sopraggiungere della crisi dettata dalla malattia mentale e quelle precedentemente espresse.

Tuttavia, oltre alla possibilità di una interpretazione meno radicale e più flessibile della CRPD riguardo alla capacità e al processo decisionale della persona con disabilità, un elemento a favore dell’interpretabilità delle PAD come contratti di Ulisse, ai sensi della CRPD, potrebbe essere rappresentato anche dall’indicazione del Comitato di includere nel testo della direttiva la specifica del momento in cui essa entra in vigore e cessa di avere effetto76. Inoltre il riferimento esplicito alla CRPD per esempio nelle premesse del Mental Health Care Bill (2013), che in India supporta il diritto alle direttive anticipate nell’ambito della salute mentale, testimonia la possibilità di letture diverse della Convenzione. Per quanto riguarda l’Italia, secondo alcuni autori77, alle considerazioni relative alla CRPD si aggiunge che, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, è necessaria una legge ad hoc per costringere un paziente a un trattamento contro la sua volontà. A questo riguardo è però necessario distinguere in ambito psichiatrico fra un trattamento attuato sulla base di una PCC e un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) realizzato ai sensi della normativa vigente.

Un trattamento attuato sulla base delle preferenze espresse dal paziente nella PCC sarebbe infatti comunque realizzato all’interno di un percorso di dialogo e negoziazione con la persona, che si estende anche al tempo della crisi, e sarebbe attuato nel rispetto della sua autodeterminazione anticipatamente espressa e a tutela della salute del paziente con la potenzialità anzi di prevenire un aggravamento della situazione clinica che potrebbe poi al limite richiedere un intervento in TSO.

Conclusioni

Le argomentazioni esposte finora mostrano come la PCC, permettendo al paziente di decidere per sé coerentemente con le proprie preferenze e con la propria esperienza di malattia, rappresenti uno strumento valido di autodeterminazione terapeutica preventiva in ambito psichiatrico, anche in riferimento all’espressione di decisioni anticipate che includono il contratto di Ulisse.

Inoltre, la PCC si configura come uno strumento coerente con le indicazioni contenute in linee guida internazionali sulla gestione di disturbo bipolare, psicosi e schizofrenia78,79. Tali linee guida hanno come presupposto il coinvolgimento attivo del paziente nella pianificazione delle cure, includendo, ove possibile, le persone a lui vicine, e raccomandano l’elaborazione condivisa tra professionisti, pazienti e caregiver di piani personalizzati per la gestione della malattia.

Le nostre considerazioni indicano altresì come auspicabile un intervento giurisprudenziale che chiarisca le criticità della l. 219/2017 nell’implementazione della PCC per pazienti con disturbo mentale e definisca i criteri normativi che possono regolamentare le PAD nel contesto italiano, specialmente quando intese come contratti di Ulisse. Tale intervento dovrebbe tenere conto anche delle norme nazionali che disciplinano gli interventi involontari e adoperarsi per un’interpretazione condivisa della normativa internazionale che possa chiarire, per esempio riguardo alla CRPD, come si debba intendere il riferimento alla capacità legale della persona con disabilità e come si possa declinare nell’ambito delle direttive anticipate psichiatriche il supporto della capacità della persona con disturbo mentale nel processo decisionale relativo alla cura.

Dal punto di vista clinico, emerge la necessità di elaborare buone pratiche condivise per l’implementazione dell’intero processo di PCC in ambito psichiatrico. Le pratiche dovrebbero affrontare aspetti non esplicitamente regolati dalla legge, come la definizione del professionista responsabile dell’avvio della pianificazione; del momento più opportuno per iniziare il processo e per coinvolgere le persone di fiducia e il fiduciario; delle modalità per valutare la capacità decisionale del paziente al momento della realizzazione della PCC e nel momento della crisi e per supportare tale capacità decisionale durante tutto il percorso; dei criteri sulla base dei quali far prevalere le istruzioni già pianificate rispetto alle preferenze attuali del paziente, pur tenendo in considerazione per quanto possibile anche queste ultime; degli aspetti logistici di conservazione e condivisione della PCC tra i professionisti. Questi elementi potrebbero consentire una gestione clinica uniforme e strutturata della PCC in ambito di salute mentale, migliorando la qualità e la coerenza delle cure per i pazienti con disturbo mentale.

Il dialogo interdisciplinare tra ambito bioetico, giuridico e clinico potrà verificare l’effettiva sostenibilità della PCC come strumento di autodeterminazione preventiva in psichiatria, anche in riferimento al contratto di Ulisse, e offrire le indicazioni necessarie per garantirne l’applicabilità.

Conflitto di interessi: le autrici dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Fondi: lo studio è stato finanziato con fondi di Ricerca Corrente del Ministero della Salute e 5x1000 (2019) destinati all’IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli.

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